28 anni fa, a Capaci…

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 27/05/2020
Sapremo mai tutta la verità?

“ Un uomo non muore mai in modo definitivo, finché resta un punto di riferimento delle discussioni e delle azioni di quanti lo seguono “ Giovanni Falcone

28 anni… sembra incredibile che sia passato tanto tempo dall’agguato di Capaci. Forse perché è ancora così presente in noi quella tremenda ferita, sono ancora così vivide quelle immagini piene di violenza, di morte, di sfida, di disprezzo. Mentre la rabbia ci bruciava il cervello, ci mordeva il cuore non solo di fronte alla protervia della mafia, ma soprattutto davanti all’inettitudine, alla vigliaccheria, alla pochezza, alla corruzione della classe dirigente e dell’intera compagine politica, tutta sotto accusa. E che fosse un sentimento condiviso lo si vide due giorni dopo, il 25 maggio 1992, ai funerali delle vittime: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Antonio Montinari e Vito Schifani. Unico superstite l'agente Giuseppe Costanza, che viaggiava sull'automobile guidata da Falcone.

Giuseppe D’Avanzo, giornalista della Repubblica, pubblica sul funerale una cronaca emozionante, incalzante, stringente, carica di pathos: “Ed è un grido di disgusto che accoglie Giovanni Spadolini che apre il corteo delle autorità. C'è il ministro della Giustizia, Claudio Martelli; il ministro degli Interni, Vincenzo Scotti. Hanno il volto impietrito e cereo. Sono loro che hanno creduto in Giovanni Falcone, nella sua intelligenza, nella sua capacità di dare corpo ad una nuova strategia giudiziaria e investigativa. Eppure toccano a loro le monetine, le urla, gli spintoni. Alle loro spalle, serrano le file il segretario generale del Quirinale Sergio Berlinguer, i sottosegretari agli Interni e alla Giustizia, il capo della Polizia, i comandanti dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, il capo dei servizi segreti e il vicesegretario della Dc, Sergio Mattarella, il vicesegretario del Csm Giovanni Galloni […] E ancora: ci sono i consiglieri di Palermo, il sindaco Domenico Lo Vasco in fascia tricolore, le gerarchie giudiziarie del Palazzo dei Veleni e dei Palazzi di Roma che in Giovanni Falcone hanno visto sempre lo "straniero", il "nemico" da umiliare, calunniare, sconfiggere. Sono gli uomini che lo costrinsero ad andar via. Per tutti c'è un solo grido: "Assassini". "Assassini, assassini". "Mafiosi, mafiosi". "Complici, complici". L'urlo sale, si gonfia dell'eco, si abbatte sul volto di Spadolini, Martelli e Scotti come uno schiaffo, come un pugno.
Gli agenti di polizia che, in lacrime, sono accanto alle bare dei propri tre compagni ondeggiano. C'è chi grida "mafioso" verso il corteo in grigio. C'è chi urla: "Andate via, via di qui. Sono i nostri morti, non i vostri. Andate via di qui. Tornate a Roma, tornate alle vostre tangenti". C'è un ragazzone del servizio scorte che insegue Galloni per aggredirlo. Gli grida sulla faccia: "Assassino". Lo trascinano via. Un gruppo di poliziotti fende a gomitate la folla travolgendo ogni cosa. Si impossessano di una, due bare. Si sente dire: "Andiamo via noi, portiamoci i nostri morti in Questura". E' il parapiglia. Il feretro di Rocco Di Cillo sale tra facce livide e occhi gonfi di lacrime. "Assassini, assassini". "Vergogna". La scorta del Quirinale si stringe intorno a Spadolini. Lascia scoperti, senza difesa Martelli e Scotti. Stretti l'uno all'altro, dinanzi alla bara di Giovanni Falcone, i due ministri non si difendono, si lasciano trascinare, strattonare, insultare. Non hanno la forza di reagire, forse non vogliono nemmeno reagire. Martelli ha le mani sulla bara di Falcone e così resta fino a quando lo portano via di peso…”

La cronaca di quel giorno angoscioso andrebbe letta tutta e per questo in appendice vi lascio il link dell’articolo.

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Ma a infuocare l’atmosfera già rovente di quel giorno, è la consapevolezza diffusa della corruzione della classe politica, sotto accusa dal febbraio di quello stesso sciagurato 1992, da quando era stato arrestato il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ( proprio lo stesso istituto, al centro oggi di indagini sulle morti degli anziani per coronavirus). Chiesa era stato beccato con una tangente di 7 milioni di lire in tasca, versati dall'imprenditore Luca Magni, che gestiva una piccola società di pulizie e che voleva assicurarsi la vittoria nell'appalto per i servizi all'ospizio. Anni dopo il Magni ebbe a commentare “io sono andato fallito, ma lui continua ad avere i miliardi”, chiudendo «La morale della favola di Tangentopoli è che in questo Paese gli onesti sono perdenti».

E’proprio infatti da quell’arresto di Chiesa che prese piede quella stagione di “Mani pulite” che scoperchiò il verminaio di corruzione che imputridiva i maggiori partiti italiani. E allora a noi, però, pareva di essere davvero a una svolta epocale: si ripuliva il paese da una classe politica marcia e nel frattempo Falcone e Borsellino annientavano la mafia: due giudici siciliani che insieme ad altri magistrati isolani come loro stavano facendo pulizia in casa propria: la Sicilia stava cambiando pelle, si scrostava di dosso tanti, troppi e annosi luoghi comuni umilianti e offensivi. In tutto il paese si cominciava a fare pulizia anche negli angoli oscuri della politica: a nord, come dicevamo, Tangentopoli stava rivelando un traffico di tangenti, un groviglio di connessioni e di affari fra politica e imprese, mai immaginato prima. Qualcosa si stava muovendo e si aveva la sensazione di essere a un passo da un cambiamento epocale, da un rinnovamento generale. Quel boato spaventoso a Capaci ci risvegliò da quel bel sogno.

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Falcone e Borsellino

Ma davvero c’era solo la mafia dietro a quella tragedia? Adesso noi sappiamo che c’era “gente estranea alla mafia” nel complotto. Secondo la rivista “Antimafia” un pentito, certo Pietro Riggio - che pare avesse una doppia vita: agente di polizia penitenziaria e insieme mafioso del clan di Caltanissetta – sosterrebbe che, coivolto nella strage di Capaci, ci fosse anche un ex poliziotto, conosciuto come il “turco”, che avrebbe partecipato alla fase esecutiva della strage, collocando l’esplosivo nel canale di scolo dell’autostrada.

Forse è anche per questi nuovi elementi che nelle motivazioni del più recente processo Capaci bis, si parla di “ambienti esterni a Cosa nostra” che “si possano essere trovati, in un determinato periodo storico, in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti ed incoraggiandone le azioni”. Del resto già dal 2009 in un articolo di Repubblica a firma di Attilio Bolzoni, si parla anche di un agente segreto dalla faccia mostruosamente sfregiata, che tutti chiamano “il mostro”. Scrive Bolzoni: “Diciassette anni dopo si sta riscrivendo la storia degli attentati mafiosi che hanno fatto tremare l'Italia. Ci sono testimoni che parlano di altri mandanti, ci sono indizi che portano alla ragionevole convinzione che non sia stata solo la mafia a uccidere Falcone e Borsellino o a mettere bombe. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su via Mariano D'Amelio. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su Capaci. É stata ufficialmente riaperta anche l'inchiesta sull'Addaura, su quei cinquantotto candelotti di dinamite piazzati nel giugno dell'89 nella scogliera davanti alla casa di Giovanni Falcone. Una trama. Una sorta di "strategia della tensione" - questa l'ipotesi dei procuratori di Caltanissetta titolari delle inchieste sulle stragi palermitane - che parte dagli anni precedenti all'estate del 1992 e finisce con i morti dei Georgofili a Firenze e quegli altri di via Palestro a Milano. Gli elementi raccolti in questi ultimi mesi fanno prendere forma a una vicenda che non è circoscritta solo e soltanto a Totò Riina e ai suoi Corleonesi, tutti condannati all'ergastolo come esecutori e mandanti di quelle stragi. C'è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti "presenze" - indagine dopo indagine - di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio, tutti a proteggersi gli uni con gli altri come in un patto di sangue.”

Dunque sono anni che le rivelazioni di pentiti e collaboratori di giustizia avvalorerebbero la tesi che nella strage fosse attiva una parte “infedele” e deviata dello Stato, che aveva l’intento di fermare Falcone e Borsellino. E allora davvero non si comprende perché l’anno scorso il giudice Nino Di Matteo, il pm che ha istruito il processo sulla Trattativa Stato- Mafia e che vive sotto scorta da anni perché minacciato dalla mafia, sia stato rimosso dall’appena eletto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, dal nuovo pool sulle stragi che è stato costituito. Cosa aveva detto di così grave? In realtà assolutamente nulla di nuovo o di eclatante. Infatti Di Matteo, intervistato da Andrea Purgatori nella puntata del 20 maggio 2019 del programma Atlantide su La7, a una domanda sui retroscena della strage di Capaci, ha risposto che era “altamente probabile che insieme agli uomini di cosa nostra abbiano partecipato alla strage…  anche altri uomini estranei a Cosa nostra”. Una riflessione, come ha spiegato in premessa il magistrato, che arrivava dalla letture delle sentenze già emesse, per far luce “sulla presenza di “entità esterne nei delitti eccellenti di mafia”.

E allora? Non sono forse anni che viene detto e scritto anche di più di quello che, con assoluta prudenza, ha accennato Di Matteo? Si sapeva già da tempo del ritrovamento a Capaci del biglietto scritto da un agente dei SS, di un guanto con tracce di DNA femminile, ma soprattutto si dice che abbiano avuto un ruolo nella fase esecutiva della strage anche qualche elemento dell’organizzazione di Gladio, tanto cara a Cossiga. Tutti riferimenti già noti: basta cercare con Google e si trovano decine di articoli su questi elementi che non sono affatto inediti. Ripeto: e dunque perché questa esclusione?

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Di Matteo

Ma c’è chi sostiene che ci sarebbe ben altro. Un articolo di qualche giorno fa sul Riformista, scritto da Paolo Guzzanti, parla addirittura di una pista russa dietro l’agguato di Capaci. Debbo dire che la mia personale considerazione di Guzzanti, sia da un punto di vista professionale che umano è prossima allo zero, tuttavia mi corre l’obbligo, per dovere di informazione, di segnalare anche il suo articolo.

In esso si parla di persone che conosciamo bene: “Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga durante un caffè nel suo studio mi disse quel che segue e che scrisse in versione succinta nelle sue memorie. Mi disse Cossiga: “L’ambasciatore sovietico e poi russo Adamishin un giorno venne da me e mi fece una scenata. Disse che noi italiani, stavamo compiendo un delitto alle spalle del popolo russo perché non facevamo nulla per impedire che il tesoro dell’Unione Sovietica fosse spedito in Italia per essere riciclato, pagando una gigantesca tangente, affinché tornasse poi in Russia nelle mani di bande di predoni e oligarchi”. Cossiga disse ad Adamishin di non saperne nulla ma che se ne sarebbe occupato. Chiamò infatti Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio, il quale gli disse: “Io non posso promuovere un’inchiesta che irriterebbe i comunisti ma ho un’idea migliore: perché non chiamiamo Giovanni Falcone che se ne sta tristissimo a via Arenula e non gli proponi un incarico diplomatico come figura di altissimo profilo che aiuti i magistrati russi nella loro inchiesta? Così, Cossiga chiamò Falcone che accettò letteralmente pazzo di gioia, diceva Cossiga: “Giovanni non aveva bisogno dei poteri di un procuratore perché c’era Paolo Borsellino, suo amico fraterno, che avrebbe compiuto le operazioni giudiziarie che Falcone avrebbe suggerito. Fu così che Andreotti chiese alla Farnesina una serie di autorizzazioni che avrebbero abilitato Falcone a muoversi, andare a Mosca o in qualsiasi altro posto e ricevere con discrezione i magistrati russi, sapendo di poter contare per gli aspetti giudiziari su Paolo Borsellino. L’indagine di Falcone con i russi andò avanti alacremente: si trattava di rimettere insieme i flussi di denaro che provenivano dalla Russia, si fermavano in una banca italiana e di lì ripartivano per andare a finire in Sicilia in una serie di scatole o matrioske, dalle quali spillava – pagate le transazioni miliardarie – denaro pulito che tornava in Russia. La quantità di denaro è ignota. Cossiga mi disse di aver convocato un alto dirigente comunista cui chiese se avesse saputo di questa storia e che il dirigente – sempre nelle parole di Cossiga – rispose: “L’hanno offerto anche a me, ma ho rifiutato. Ma se ti dicessi chi dell’alto mondo della finanza non si è rifiutato, cadresti dalla sedia”. Cossiga non mi disse quel nome e l’alto dirigente da lui citato, negò dopo la sua morte che ci fosse alcunché di vero su un tale colloquio…”

Guzzanti cita a conforto delle sue tesi anche libri e personaggi, guarda caso tutti legati alla destra più convinta. Accludo in ogni modo anche il link del suo articolo, che consiglio comunque di leggere, come tutti gli altri citati.

Teniamo però presente che il crollo del partito comunista sovietico è del 1991 e che a Cossiga piaceva molto insinuare piste russe, come fece nel sequestro Moro, forse anche per depistare l’attenzione dal ruolo di Gladio e dei nostrani SS. Ma certo oggi, a leggere la cronologia del 1992 ci saltano agli occhi due fatti che fanno pensare: il 24 aprile si dimise il governo Andreotti e il 25 aprile Francesco Cossiga diede le dimissioni dalla sua carica di presidente della Repubblica. Perché? Le due cose hanno relazione fra loro? Ma soprattutto ce l’hanno con Capaci? Sapevano qualcosa di quello che sarebbe accaduto? E cosa sapevano? Non volevano comunque avere ruoli di primo piano in un’altra tragedia, dopo quello che era successo a Moro? Sono morti e non lo sapremo mai, possiamo solo ragionarci su, ascoltando nel frattempo, sulla trama di sfondo di quegli anni, altre voci e testimonianze, questa volta credibili e autorevoli, come quella di Rosy Bindi, ad esempio, sul delitto Bachelet del 1980.

Vittorio Bachelet era il vicepresidente del Csm, e in quegli anni in cui la magistratura era così esposta al terrorismo era riuscito a rasserenare i rapporti tra politica e magistratura. “ In questi quarant’anni - ha detto la Bindi - mi sono fatta l’idea che, consapevolmente o no, le Brigate Rosse siano state lo strumento di poteri occulti dell’Italia di quegli anni, come la P2, che approfittarono in quel passaggio in maniera esplicita anche del terrorismo nero e della mafia. Parti deviate dello stato e le massonerie deviate si servirono delle Br per ostacolare il progetto moroteo con l’assassinio di Moro e quella Sicilia delle carte in regola che costò la vita il 6 gennaio a Piersanti Mattarella. Bachelet era il vicepresidente del Csm che si adoperava per ricostruire gli equilibri costituzionali tra i poteri dello Stato”. 

Noi possiamo aggiungere solo che nel 1980 ci fu anche la strage alla stazione di Bologna. Un’altra strage di destra. Un’altra strage di stato impunita.

E nel 1992, quando comincia Tangentopoli, possiamo aggiungere un’ultima considerazione: che nessuno dei corrotti protagonisti era stato minimamente sfiorato dalle Br (ma và?!)…

Un’ultima domanda: perché il povero Giuseppe Costanza, sopravvissuto all’esplosione di Capaci, nella stessa auto in cui viaggiavano Falcone e la Morvillo, non è stato mai invitato alle celebrazioni della strage? Addirittura è stato emarginato anche nel suo posto di lavoro e trattato come un paria, come se fosse colpa sua di non essere morto con gli altri. E questo è un altro mistero, in questa vicenda già oscura di suo. Del resto Angiolo Pellegrini, ora generale, allora comandante della sezione Anticrimine dell’Arma dei Carabinieri di Palermo, braccio destro di Falcone nella “conversione” di Buscetta e che si battè contro Cosa Nostra accanto a nomi eccellenti come quelli di Dalla Chiesa, Chinnici, D’Aleo, Montana, Cassarà, Falcone e Borsellino, nel suo libro “Noi, gli uomini di Falcone. La guerra che ci impedirono di vincere”, con la collaborazione di Francesco Condoluce e la prefazione di Attilio Bolzoni, ha scritto: “ Potevamo arrestarli tutti, mafiosi e pezzi infedeli dello Stato. Ma qualcuno, ai piani alti, sul più bello si è tirato indietro.” E’ ancora così?

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E dunque, sapremo mai davvero cosa e chi c’era dietro non solo a Capaci, ma anche dietro alle stragi di stato, al delitto Moro, a tutta la melma viscida e schifosa su cui galleggia e pattina il nostro Paese? Penso che se la gente si abituasse a leggere, ascoltare e vedere oltre le apparenze e le spiegazioni ufficiali, almeno sarebbe più difficile per i poteri forti tirare i fili, senza essere sgamati. Vorrei essere più ottimista, ma francamente mi viene in salita.

Barbara Fois

 

Alcuni approfondimenti

https://www.repubblica.it/online/politica/falconedue/queigiornitre/queigiornitre.html

https://web.archive.org/web/20140102192231/http://archiviostorico.corriere.it/2000/agosto/27/Magni_oggi_non_denuncerei_Mario_co_0_0008274532.shtml

http://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/235-politica/77746-delitto-bachelet-bindi-poteri-occulti-usarono-le-br-per-privare-l-italia-dei-suoi-uomini-migliori.html

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/10/23/news/mafia_l_ultima_verita_sulla_strage_di_capaci_un_ex_poliziotto_sistemo_l_esplosivo_sotto_l_autostrada_-239208533/

https://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/cronaca/mafia-8/inchieste-riaperte/inchieste-riaperte.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/26/mafia-nino-di-matteo-estromesso-da-pool-su-entita-esterne-punito-per-unintervista-ma-diceva-cose-gia-note/5208235/

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/05/26/news/addaura_trovato_il_dna_di_uno_degli_attentatori-4352623/

 

 

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