Donna, vita, libertà

di Barbara Fois - liberacittadinanza.it - 09/03/2023
Dov’è finita oggi la protesta delle donne in Iran?

Da dicembre scorso ad oggi si sono spente le luci sulla protesta delle donna in Iran. Certo, la guerra in Ucraina fa sempre la parte del leone sulle pagine dei nostri giornali e nei palinsesti delle varie emittenti TV. E poi c’è stato il terrificante terremoto in Turchia e in Siria, a cui è seguita la tragedia di Cutro, con decine di povere creature in fuga ( che spesso provenivano proprio da quelle regioni distrutte) finite uccise dal mare in tempesta, ma anche dall’indifferenza colpevole degli uomini. Come non bastasse, si è aggiunta la catastrofe ferroviaria fra Atene e Salonicco, in Grecia. E’ per questo che nessuno parla più delle donne in Iran? Chissà… è vero, sono tempi in cui non ci facciamo mancare niente, in cui la Natura mostra tutti i guasti, il degrado, lo scempio che ne abbiamo fatto per decenni. Ma soprattutto sono tempi in cui – dopo l’isolamento forzato della pandemia – siamo psicologicamente incapaci di rispondere in qualche modo a tutto quello che ci accade intorno.

Distratti, indifferenti, egoisti, crudeli, stupidi, vuoti, sì certo, ma anche spaventati, incapaci di empatia, anestetizzati, mitridatizzati dalle immagini scioccanti da cui siamo bombardati quotidianamente, finiamo per seguire solo le notizie più eclatanti, come quelli che del giornale leggono solo i titoli, ma ci stufiamo presto anche di questo. E così le donne iraniane sono sparite dal nostro orizzonte e non ci siamo più chiesti: ma che ne è stato di loro? E’ invece importantissimo che ce lo chiediamo almeno noi donne, tutte. E non perché è l’8 marzo, la festa della specie a rischio, nella riserva del panda femmina. Ma perché è importante che riusciamo, almeno noi donne occidentali – anche noi comunque vittime di femminicidi, di violenze, di mobbing, di discriminazioni, di impari opportunità, di disparità di salari, etc. e dunque in grado di capire meglio di chiunque – a dare forza a queste donne che lottano contro un potere cieco, ignorante e sadico. Capire cosa succede a quelle donne disperate riuscirà ad aprirci gli occhi e a farci capire che non siamo al riparo nemmeno noi da rigurgiti misogini ( da quanto tempo continuamente cercano di neutralizzare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza ? e come mai tanti femminicidi?) e che con consapevolezza e solidarietà possiamo diventare una sponda per tutte quelle donne, iraniane, afgane, coreane, indiane, siriane, africane, etc. che stanno davvero molto peggio di noi e che hanno bisogno di un aiuto concreto e solidale e soprattutto di sapere che noi ci siamo, per loro e per noi stesse.

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In realtà tuttavia sappiamo ben poco di quello che le donne iraniane hanno passato e passano, di come sono arrivate a questo punto di repressione, di annullamento, di persecuzione. A pensarci è un po’ come se prima del 16 settembre del 2022 non ci fosse mai stato niente, come se prima dell’assasinio di Stato di Mahsa Amini a Teheran, non avessero mai avuto voce, non avessero mai protestato. In realtà sono decenni che protestano, ma il fatto è che l’Occidente non le ha mai ascoltate, non le ha mai seguite con continuità, con interesse.

Eppure dal settembre scorso fino a tutto dicembre 2022 sono 74 le donne morte ammazzate dalla “polizia morale” iraniana, picchiate, bastonate, torturate, sparate, pugnalate, violentate, massacrate impunemente. E tuttavia non demordono, non si arrendono, non si piegano. E dobbiamo ringraziare un uomo, Andrea Purgatori, che in questo 8 marzo ha dedicato il suo programma, Atlantide, alla rivolta delle donne in Iran. Con testimonianze e immagini emozionanti, da togliere il fiato

Non sappiamo molto delle donne iraniane, dicevamo, ma quanto sappiamo della storia di quel paese? Poco e niente. A parte gli studi di scuola : i Persiani, Ciro, Dario e il coraggio degli Spartani, cos’altro ci ricordiamo dell’antica Persia? Mah…. Vagamente ci ricordiamo che i Medi unificarono l’Iran in un unico impero nel 625 a.C. e che circa un secolo dopo Ciro il grande fondò l’impero Achemenide con capitale Persepoli, che comprendeva un immenso territorio che raccoglieva in sé ben tre continenti, perché dai Balcani si estendeva fino al Nord Africa e comprendeva anche l’Asia centrale, diventando il più grande impero mondiale. Fu l’unica civiltà in tutta la storia “… a collegare, nel 480 a.C., oltre il 40% della popolazione mondiale di allora, pari a circa 49,4 milioni di persone, su un totale complessivo 112,4 milioni. Successivamente in quell'area si succedettero i Seleucidi, poi i Parti, e infine l'Impero sasanide, che governò l'Iran per quasi 1000 anni. L'Impero romano e poi il suo successore, l'Impero bizantino, furono rivali storici per lungo tempo.” La svolta decisiva è stata comunque la conquista dell’Islam di quei territori, sostituendo il zoroastrismo e il cristianesimo con la religione musulmana.

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Il resto del tempo fino a noi è pieno di lacune. Sappiamo che la Persia diventò Iran nel 1935 e (almeno quelli di noi più agé ) vagamente ci ricordiamo i pettegolezzi, negli anni ’50/60, sullo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi e la tragica fine del suo matrimonio con la bellissima Soraya Esfandiary, ripudiata perché sterile e sostituita da Farah Diba, che invece di figli gliene diede 5. Al di là dei gossip di cui erano pieni i rotocalchi femminili di allora, c’erano forti tensioni nel paese, dovute a una occidentalizzazione forzata, ma soprattutto all’appiattimento della Persia alla politica americana, tanto che fra gli oppositori dello Scià non c’erano solo i fanatici religiosi guidati da Khomeini, ma anche molti giovani comunisti. Infatti lo scià aveva stipulato, negli anni, molti accordi che riguardavano il petrolio, prodotto e venduto alle cosiddette “7 Sorelle” e all’ENI di Enrico Mattei, nella qualità di titolari delle concessioni e degli impianti di estrazione del petrolio, per cui il 25% dei proventi petroliferi andavano agli stranieri, mentre il 75% rimaneva in mano iraniana, ma nonostante ciò il clero sciita e gli oppositori lo accusavano di aver venduto l'Iran agli statunitensi.

La cosa in realtà era un po’ più complessa di così: “Nel 1951 il Primo Ministro iraniano Mohammad Mossadeq nazionalizzò l'industria petrolifera, allora controllata dagli inglesi della APOC/BP. La reazione britannica fu molto dura e fu alla base della Crisi di Abadan, che vide l'embargo totale delle esportazioni iraniane di petrolio. Dopo la deposizione di Mohammad Mossadeq, per far tornare il petrolio iraniano sui mercati gli Stati Uniti costituirono il Consorzio per l'Iran, composto dalle sette principali compagnie petrolifere del tempo. Il Consorzio acquistava il petrolio dall'ente petrolifero nazionale iraniano NIOC in regime di monopolio e lo rivendeva sui mercati al netto delle spese per il risarcimento della nazionalizzazione della BP. Mattei chiese che anche l'Agip potesse far parte del Consorzio per l'Iran, ma la sua richiesta fu respinta.” Come si vede dietro alle proteste contro il regime dello scià, c’era solo la lotta per accapparrarsi il petrolio.

Ed è per questo che gli USA protessero e foraggiarono l’ayatollah Khomeini, esule all’estero, e crearono le condizioni per cacciare via lo scià. E’ sempre lo stesso modus operandi, che ha portato Saddam Hussein, al potere in Iraq nel 1979 (una coincidenza?) e anche lui responsabile della politica petrolifera dell’Iraq, poi sostituito dai Talebani, tanto per dirne una. Si sostituiscono i dittatorelli locali (anche loro manovrati dagli USA), per impedire che si creino giovani democrazie, che potrebbero crescere e sostituirli nel governo del paese, e si preferisce mettere al potere dei pazzi deficienti stravolti dalle loro povere idee grette e ottuse, che però terranno i popoli nell’ignoranza e nell’assoggettamento, proni a subire qualunque angaria, avvelenati dalla paura, ma lasciandoli liberi dal saccheggiare le risorse del posto. Secondo questo schema la monarchia persiana si trasformò, coi moti del 1978-79 in repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla legge coranica detta shari’a. E il deposto scià si rifugiò in Francia. Ma poi chi aveva contribuito a spodestarlo, e non era un integralista islamico, si pentì dolorosamente di aver facilitato l’arrivo di Khomeini. Soprattutto se ne accorsero le donne del feroce cambiamento, limitate in tutte le loro libertà personali, private dell’istruzione e di ogni altro diritto sociale. Così nel marzo 1979, donne e ragazze iraniane, soprattutto nelle città, e i loro sostenitori maschi presero parte a una settimana di manifestazioni a Teheran, a partire dalla Giornata internazionale della donna, per protestare contro l’editto del nuovo regime islamista, che, fra le tante cose, obbligava le donne a indossare l’hijab. Le manifestanti espressero un profondo senso di tradimento per la direzione presa dalla rivoluzione iraniana, allora vecchia di sole poche settimane. “All’alba della libertà, non abbiamo libertà”, gridavano i manifestanti. I loro ranghi crescevano di giorno in giorno, raggiungendo almeno 50.000 dimostranti.

Il movimento attirò la solidarietà internazionale, di molte donne impegnate politicamente, come Kate Millett, scrittrice e attivista statunitense, che viaggiò per unirsi a loro, e la francese Simone de Beauvoir. “ In patria, le femministe iraniane ottennero il sostegno dei People’s Fedayeen, un gruppo marxista-leninista che si era impegnato nella resistenza armata contro la monarchia appoggiata dagli americani prima che fosse rovesciata dalla rivoluzione. Per qualche giorno, i Fedayeen formarono un cordone protettivo, separando i manifestanti dalla folla di islamisti che cercavano di attaccarli fisicamente. Ma col tempo, influenzati da una visita di Yasser Arafat e altri, i Fedayn ritirarono il loro sostegno per paura di indebolire la rivoluzione in un momento in cui, era convinzione diffusa, il governo degli Stati Uniti era pronto ad attaccare e restaurare lo scià. Negli anni successivi, il movimento femminista iraniano sembrò morire, o almeno diventare clandestino.”

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Più di quarant’anni dopo Mahsa (Jin) Amini, una donna curda di ventidue anni, arriva a Teheran in vacanza con la sua famiglia e, il 13 settembre 2022, viene arrestata, picchiata e uccisa dagli agenti della famigerata polizia morale. Cosa aveva fatto di così grave? L’accusa è stata quella di indossare l’hijab in modo improprio, perché lasciava scoperte alcune ciocche di capelli. Per questo e solo per questo è stata portata via dalla polizia e tre giorni dopo è morta per lesioni cerebrali. Qualcuno sostiene che è stata adocchiata fra la folla perchè era vestita con abiti curdi e che questo è stato forse importante quanto l’essere “mal velata”. Ma la sua morte è stata un boomerang che sta travolgendo il regime degli ayatollah e del capo supremo Khamenei. Il rifiuto dello stato di indagare sulle cause della sua morte, o di offrire scuse, ha ulteriormente alimentato la rabbia delle manifestanti, che hanno cominciato a gridare: “Non aver paura, non aver paura, siamo tutti insieme”. Ma c’è molto di più: lo slogan “Donne vita libertà” Jin, Jîyan, Azadî (donna, vita, libertà) è il motto che nasce nei quaderni delle donne curde. Leggiamo su “Artribune”: “Nella rivoluzione contro il governo centrale di Baghdad negli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, era infatti già presente un pensiero simile: Jîn, Jîyan, Azadî (vivere, vita, libertà). Il motto attuale si ispira alla lotta delle donne curde in Turchia contro l’oppressione statale e il patriarcato, sottolineando l’importanza del ruolo centrale delle donne per creare una società libera. In Siria, le donne curde sono state in prima linea nella lotta contro l’ISIS e questo slogan è stato ampiamente anche da loro utilizzato, fino a divenire un simbolo della lotta di tutte le donne, non solo quelle curde.” E continua: “La società che manifesta oggi ha dimostrato la propria solidarietà a una donna curda, Mahsa Amini, e ha seguito un movimento nato nell’area occidentale del Paese, il Kurdistan. Si sono così rotti i vecchi schemi, quelli che dipingevano i curdi come separatisti o come uno strumento mosso dall’estero, un gesto che ha pochi precedenti nel Medio Oriente, ma che dimostra anche la laicità della società civile iraniana. Jin, Jîyan, Azadî vivrà ancora a lungo, ma per sostenere questo movimento bisogna comprenderlo nel profondo come un pieno diritto e un valore che va al di là della nostra stessa ideologia politica, sociale o religiosa… “ e infine conclude: “In memoria di Mahsa Amini si possono citare le parole del poeta curdo Cano Şakir espresse per un’altra donna che ha perso la vita contro l’ISIS: “Negli orizzonti del mio paese sei diventata un arcobaleno sacro per le donne del mondo. Nella pianura spezzata, il vento tenero dei tuoi capelli ha fatto scorrere fonti e fiumi”.

In nome di Masha oggi le donne iraniane si strappano il velo, lo bruciano e si tagliano ciocche dei loro capelli, seguite in questo gesto di ribellione da moltissime altre donne nel mondo.

“La rivolta innescata in Iran dalla morte della “mal velata” Masha Amini ha prodotto una grave crisi nella repubblica islamica. Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta ormai impossibile, ma la sua fine. A sua volta il regime, messo in discussione in uno dei suoi cardini fondativi, il controllo politico sul corpo femminile, reagisce pesantemente.”

Le “mal velate” sono ritenute artefici di una resistenza alla “morale di stato” da stroncare perché la femminilità non più occultata minaccia insieme la coesione della comunità maschile, che sul controllo sociale  del corpo femminile fonda la sua unità, e l’ordine islamico. Uno dei più inquietanti fantasmi dei turbanti, la seduzione che diventa sedizione, diventa un male da “curare” con ogni mezzo.”

Ma ormai in piazza, a sostegno di queste donne coraggiose, fortissime, dignitose e determinate stanno scendendo anche gli uomini. Per questo vinceranno. E questo deve farci riflettere, care amiche e compagne: “Divide et impera”, dicevano i romani che di politica e di potere ne sapevano assai, cioè dividi le persone e avrai il potere assoluto. Dividi le etnie, dividi gli orientamenti politici, sociali, di genere e potrai imporre la tua volontà. Gli uomini non sono i nostri nemici, non foss’altro che li mettiamo al mondo noi e li educhiamo noi…

Riflettiamoci su, in questa rituale festa che ci riguarda e non smettiamo mai di guardare a quello che avviene in Iran, perché forse è da lì che può arrivare un imput importante per tutte.

Barbara Fois

 

Approfondimenti

https://en.iranhrs.org/74-donne-uccise-durante-la-rivolta-nazionale-delle-donne-iraniane/

https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/iran-la-rivolta-delle-donne-puo-portare-al-potere-i-pasdaran-aqjb1cgt

http://www.rifondazione.it/esteri/index.php/2022/12/16/iran-le-origini-della-rivolta/

https://www.dissentmagazine.org/online_articles/women-life-freedom-iran-uprising-origins

Vedi l’articolo “Iran: le origini della rivolta”, di Janet Afary e Kevin Anderson,docenti presso l’Università della Xalifornia, Santa Barbara. La Traduzione è di Maurizio Acerbo

https://www.artribune.com/dal-mondo/2022/12/donna-vita-liberta-proteste-medio-oriente/

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