Jonathan S. Foer non è esattamente un inguaribile ottimista. Sua madre era un’ebrea polacca, figlia di deportati sopravvissuti ai lager, suo padre Albert è stato per anni presidente dell’antitrust americana. Diciamo due personaggi che hanno visto il capitalismo in faccia. Così Jonathan, che nasce nel 1977, ha respirato l’aria del pessimismo realista tipico dei laici liberal statunitensi. Ogni suo libro mi è piaciuto, almeno in parte, ne suggerisco due : Molto forte, incredibilmente vicino ( Guanda, ed) che tra i primi affronta il tema umano e privato di chi, ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle, capì cosa davvero ci regalava il terzo millennio. E farei paio con Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda, ed. ) in cui Jonathan tratteggia temi complessi come la sostenibilità ambientale, il futuro, la felicità minacciata. Scrive bene, lo assicuro. Ho preso la spigolosa citazione di Foer non per ricordare uno scrittore prolifico e capace, ma perché oggi, mentre scrivo, è il 22 Novembre e noi – come sempre e come al solito - siamo in fiamme ed in trappola.
Avevo 10 anni quando Kennedy è stato ucciso, il 22 novembre del 1963. E’ passata una vita da allora ed in 12 lustri la memoria si è ingorgata. Eppure quando mi ritorna in mente – oggi è il 60mo dall’omicidio di Dallas- rivedo perfettamente le facce attonite di mia Madre e mio Padre, di mia sorella Barbara davanti al televisore che ci portò a casa, dritto dall’altra parte del Mondo, quello che tutti pensarono fosse l’inizio della fine. E invece no, sbagliavamo, perché la fine non esiste. Il mondo è fatto per durare. Tra mille casini, diossine, politici del menga, pattume e guerra e stragi, ma durare.
Per questa resilienza la specie umana, che da allora ad oggi ne ha viste e fatte infinite, è ancora qua, sempre dotata di quell’indomita curiosità che ci ha spinto fuori dalle caverne e portato fino alla Meloni (..nzomma non un progresso esagerato, ma così butta ). Per curiosità, o per tigna, dopo questo lungo tempo possiamo ancora avere voglia di capire che cosa diamine ci abbiano nascosto. Per questo oggi parlo di pallottole fatate. Quelle che fanno il loro mestiere in piena autonomia, dotate di una volontà tutta loro. Almeno così ce le hanno raccontate i padroni dell’informazione, capaci di trattare noi Cittadini per ogni cosa e comunque come imbecilli. Sempre con la nostra complicità.
La pallottola di Kennedy, una e trina.
Sono certo che oggi da qualche parte proietteranno il film di Oliver Stone JFK. L’ho visto naturalmente, e lo rivedrò se lo mandano in onda. E’ la storia di Jim Garrison, il procuratore di New Orleans che per primo e da solo cerco la verità sull’assassinio di Kennedy. La trovò almeno nella sua parte tecnica. Cioè dimostrò che non fu Oswald, da solo e con in mano un fucile scrauso come il Carcano 91, ad ammazzare Jack. Fu un gruppo di tiratori scelti e ben organizzati. Dunque un complotto, dunque.
Per la legge americana l’ipotesi cospirativa richiede un’indagine ed un approfondimento legale ben diverso dall’attentato di un singolo tiratore. Per questa spigolatura legale gli attentati più eclatanti da Bob Kennedy, a Luther King, a Regan ( ma anche le varie stragi nelle scuole ) sono dichiarati come one man,one gun. Perché il gesto di un singolo e magari folle può essere archiviato. Vediamo come Garrison, ragionando sulla parte meccanica che il processo di New Orleans per primo rese pubblica, dimostro l’esistenza certa di un complotto.
Secondo la commissione Warren, che si occupò del caso JFK, fu un uomo che agiva da solo ad uccidere il Presidente. Dato che era impossibile nascondere le ferite multiple che coinvolgevano oltre lui anche il governatore Connally , Warren ed i suoi inventarono la pallottola magica.
Come mostra lo schema questa pallottola sarebbe entrata dall’alto a destra nella testa di Kennedy, per poi uscire a sinistra e – come dice Garrison – fare una magica curva a destra, per poi piegare di nuovo a sinistra entrare nella spalla di Connally, che è seduto davanti a Kennedy, uscire dal davanti verso sinistra e con un’altra semi curva a destra spaccargli il polso.
La storia della pallottola magica fu scritta, come verità dello Stato, in un documento ufficiale. Una rutilante e sfacciata idiozia. E la gente allora se l’è bevuta senza nemmeno ridere. Ora: a parte l’impossibilità tecnica per una qualsiasi pallottola di fare due curve contrastanti in uno spazio di poco superiore al metro, bestialità senza capo né coda, c’è da discutere anche lo strumento usato, cioè il fucile, e valutarlo a fronte del risultato finale dell’attentato, cioè le ferite e la causa di morte.
Il Carcano 91 è considerato da ogni tecnico di armi militari il peggior fucile da guerra del tempo. Era facilmente inceppabile, con un meccanismo a trazione per l’espulsione del bossolo assai duro e lento. In più il modello di Oswald era quello a canna di ridotte dimensioni che ne faceva un’arma buona, forse, per combattere in trincea ed a distanza ravvicinata. Il suo unico vanto era nella spesa, poco costoso. Oswald sicuramente lo comprò, ma per farne cosa chi lo sa. Forse aveva dei topi in cantina. Certo non poteva sparare a qualcuno ad una distanza superiore ai 30 mt con la minima speranza di colpirlo. Ed inoltre dato il calibro usato, non poteva procurare le larghe ferite riscontrate. Non era quello il fucile del killer.
Jack Kennedy viene colpito almeno due volte come mostra il filmato amatoriale di Zapruder, ( qui il link con il suo filmato https://www.schooltube.com/watch/Zapruder-Film-JFK-Assassination-HD_lk8h5ryj0xzxo8.html ) ed al colpo mortale la sua testa praticamente esplode. Davanti a lui il governatore del Texas Connally viene ferito due volte tanto che urla in preda al panico..ci uccidono tutti!! L’attentato avviene in pochi secondi. Oswald con quel diamine di fuciletto che ha una ricarica macchinosa e lenta avrebbe sparato tre colpi centrando con una sola pallottola due persone più volte e con angoli di tiro smaccatamente diversi. E suvvia! Inaccettabile e maldestra bugia. C’è da domandarsi quanta superficialità in questa costruzione della dinamica dei colpi a bersaglio, così macchinosa e grottesca.
Torniamo al fucile. Il calibro del Carcano 91 è 6,5 mm. La pallottola pesa poco più di 9 grammi. Non ha capacità di sfondamento, non spacca le ossa a quella distanza. Per capire cosi si intende guardiamo la differenza con gli altri fucili da guerra, ad esempio un Mauser tedesco. In quell’arma il calibro era di 8 millimetri, il peso del piombo era 16grammi. Un Mauser si poteva spaccare un cranio. Dunque viene scelto come arma ufficiale dell’omicidio del Presidente Kennedy un fucile modesto, impreciso e debole. Sembra che gli ideatori di questa bufala mettano apposta in fila una caterva di cazzate per dimostrarci quanto siamo creduloni. Un’altra menzogna oltre che maldestra, arrogante.
Come diamine si riesca a far credere che una pallottola 6,5 possa penetrare più volte, da angoli varianti, due corpi ed infine frantumare un cranio è uno dei più grandi misteri della moderna comunicazione di massa.
L’ipotesi più probabile è che ci fossero almeno 2 gruppi di fuoco, come per l’attentato a De Gaulle dell’anno prima, o forse 3 come dice Garrison. Vediamo come erano disposti.
Secondo Garrison ed i suoi tecnici i gruppi sono 3, uno sul palazzo con angolo di tiro dall’alto in basso ( T1 ). Il secondo nei giardini, forse sulla collinetta, con angolo di tiro laterale. (T2) ed infine il punto di mira più efficace verso un mezzo in movimento, cioè il tiro semi frontale. (T3), per capirci uguale a quello che uccise Calipari, centrandolo precisamente mentre era seduto a pochi centimetri dalla Sgrena, illesa.
Gli incroci di fuoco ad Ypsilon spiegano il perché delle diverse ferite, le angolazioni diverse d’entrata, le tipologie di ferite con esiti differenti. Vi erano senza dubbio più fucili in azione, di calibro diverso e presumibilmente uno, quello frontale, di grosso calibro o con pallottole blindate.
In quei pochi secondi i colpi sparati sono da 6 a dieci, almeno. Il proiettile che impatta maggiormente e uccide Kennedy spaccandogli il cranio è quello frontale. Il filmato Zapruder mostra infatti Jack che va indietro con la testa, ricevendo il colpo, per poi crollare avanti forse raggiunto dal secondo o terzo colpo sparato da dietro. I movimenti nel filmato, per quanto di qualità modesta, sono evidentissimi. Quando il cranio di Jack colpito da un proiettile, immagino, blindato esplode Jacqueline Kennedy perde la testa e cerca di fuggire arrampicandosi sul cofano posteriore, fermata da un agente che solo allora va vicino alla macchina, fino a quel momento del tutto guarnita, e quasi la respinge dentro.
Questa ricostruzione, che i tecnici della procura di New Orleans descrivono, è quella più probabile. Ad uccidere Kennedy è stato un gruppo altamente tecnico, disposto secondo una logica di agguato militare, che spara per uccidere mirando ad un bersaglio mobile, in mezzo alla gente, con la massima efficacia, con precisione e con una sequenza di fuoco congegnata geometricamente.
Conta poco, nel caso Kennedy, tutta la cornice di continue ambiguità. Una macchina decapottabile che espone a nudo i passeggeri, in una città avversa al Presidente ed in un tempo di tensione crescente è una follia. Il fatto di farla procedere a 12 km all’ora in un viale allo scoperto un’altra follia. Il fatto che la scorta non sia attaccata alla vettura a scudo del Presidente coprendolo fisicamente un ulteriore follia. Metti tutto insieme ed hai un quadro di incredibile idiozia o di criminale complicità a tutti i livelli. Garrison, nella sua arringa, ha tirato in ballo la Cia, Lindon Johnson, l’industria pesante il Viet Nam inteso come business di guerra. Così, ingigantendo, ha compromesso l’esito della causa. Era indimostrabile dietrologia e ricostruzione. Nel caso JFK bastava e basta la davantologia. Davanti abbiamo solo un cumulo di menzogne. Mal impostate, mal recitate, talvolta grottesche eppure, al tempo, accettate.
In ogni caso Jim Garrison in quel triste finale degli anni 60, con davanti anche la morte di Bob Kennedy, ha scoperchiato in modo devastante la pentola di menzogne e manipolazioni.
Davanti agli occhi del mondo intero ha messo l’evidenza di un complotto. Esisteva una squadra di tiratori scelti che si muoveva liberamente, geometrizzando le postazioni con armi militari, fucili che ad un tratto sono diventati evidenti, perché dovevano sparare. Il tutto è avvenuto in un quartiere ristretto, che avrebbe dovuto essere pieno di servizi Segreti e di sicurezza.
La davantologia ci dice con chiarezza: delle due, una è la verità. Se non c’erano perimetri sicuri intorno al Presidente, se la squadra arrivava da fuori USA, allora siamo davanti ad una leggerezza imperdonabile della CIA, come del Mossad per la strage di Hamas nei kibutz. Se invece c’erano le misure di sicurezza più elementare, se il perimetro era presidiato allora siamo davanti ad un complotto ordito dai servizi stessi, in nome e per conto dello Stato.
Ecco perché hanno dovuto sostenere per anni che fosse Oswald da solo. Ecco il perché della pallottola magica. Ecco il quadrato di tutto l’apparato dello Stato per sostenere questa gigantesca bubbola. Perché in ognuna delle due ipotesi, davanti al complotto, lo stato americano fa un orribile figura. Doveva essere per forze un solo attentatore, un folle per poter far sparire tutto. Ed anche lui, fu poi fatto sparire con un colpo di pistola, come ben sappiamo.
E tutti noi, 60 anni dopo, sempre come grattacieli ancora in fiamme, sentendoci in trappola come dice Foer, ci domandiamo davanti a nuove ambiguità: come è possibile che il miglior servizio di sicurezza al mondo, il Mossad, non sapesse cosa Hamas, milizia mercenaria, andasse da mesi preparando? Come è possibile che insediamenti vicini ai bunker dei killer al soldo di Teheran non fossero protetti adeguatamente? E’ stata leggerezza o cosa?
Non abbiamo avuto risposta alla pallottola magica di Kennedy per 60 anni. Non ne abbiamo avute per altre pallottole magiche, quelle del sequestro Moro. Non le avremo per quest’ultimo incendio, così doloroso, così orrendo. Perché noi, Cittadini del Mondo, non contiamo. Paghiamo.