“Scrivete Giorgia!” Col trucco di voler annullare la distanza dagli elettori, mostrandosi semplice come una di loro, Meloni ha introdotto sulla scena lo spirito plebiscitario che anima la sua proposta di premierato assoluto. Sono una di voi, non ci sono barriere tra noi, non mediazioni, non impacci. Non mi faccio irretire dal Palazzo, tra me e voi c’è il colloquio diretto, e ci diamo del tu.
Prendiamola come una confessione. Non c’è il Parlamento: c’è lei. L’impalcatura istituzionale della democrazia rappresentativa è un ostacolo al fecondo rapporto tra capo del governo e popolo. Presa alla lettera, non c’è nemmeno il governo: il governo è lei. Il popolo deve fare il solo sforzo di votarla. Così l’elezione per il Parlamento europeo, dove lei votata in massa dal popolo non andrà e al suo posto andrà chissà chi, sarà la prova generale del voto referendario sul premierato assoluto. Anche il più critico dei costituzionalisti non era stato così tagliente. Giorgia si è confessata: l’essenza della democrazia è il rapporto tra capo e popolo.
Ma fuori dal comizio si smentisce. Prima e dopo. E nel Palazzo tesse la sua rete. Alle complicate mediazioni parlamentari si dedica. Concede alla Lega di esibire l’autonomia regionale differenziata, la secessione dei ricchi che incrina l’unità della Repubblica, in cambio del sostegno al suo premierato, che dovrebbe ricucire i cocci della Repubblica smembrata nell’unità della sua persona. Sfai e fai. Il popolo potrebbe illudere Giorgia e accettare il tu e fare finta di mandarla in Europa; poi, visto che anche lei a modo suo il Parlamento lo prende sul serio, replicare che all’elezione diretta del solo presidente del consiglio preferisce l’elezione diretta, con una seria legge elettorale, dei suoi rappresentanti in Parlamento. Come vuole la Costituzione.