I. Le revisioni costituzionali dovrebbero nascere dal Parlamento. Quella in corso è imposta dal governo.
II. La revisione passa attraverso un Parlamento eletto con una legge di cui sono già stati accertati profili di incostituzionalità: dovrebbe occuparsi di tutto meno che di cambiare la Costituzione. LaCostituzione dovrebbe essere cambiata solo da assemblee elettive elette con sistema proporzionale: plasmate dal premio di maggioranza impongono di fatto una Carta deformata dalla logica maggioritaria.
III. Revisione costituzionale è solo quella in corso che declassa il Senato. Ma i suoi effetti sono intimamente legati alla modifica della legge elettorale. Questa non ha rango costituzionale ma incide con forza sulla forma di governo e quindi sul quadro istituzionale. Nella situazione italiana è impossibile giudicare separatamente riforma del Senato e legge elettorale. La prima rafforza gli effetti della seconda.
Il mostriciattolo.
Dato e non concesso che si dovesse passare a un Senato non elettivo, la soluzione scelta non poteva essere peggiore. Un Senato formato da 95 soggetti scelti dai consigli regionali (e 5 indicati dal Capo dello Stato) è un’assemblea di nominati che non rappresenta nemmeno le regioni ma solo i partiti di maggioranza che le governano. I poteri legislativi attribuiti a questo Senato non elettivo (perfino sulla Costituzione) sono smisurati al confronto con la sua consistenza; ma in realtà solo virtuali. Si inventa il Senato delle regioni nello stesso momento in cui la modifica del Titolo V sottrae alle regioni il governo del territorio per consegnarlo al governo nazionale.
Non stupisce che un Senato così declassato sia formato solo da 100 soggetti. Mentre la Camera resta di 630 deputati. Motivo semplice. Al Senato il premio di maggioranza non dà risultati certi; quindi i senatori potevano essere maltrattati (essi del resto hanno contribuito alla loro fine). Alla Camera il premio dà effetti sicuri e massicci: i deputati dovevano essere tenuti buoni.
Il mostro oligarchico
Le nuova legge elettorale mantiene le soglie di accesso anche se le riduce un po’ per ingraziarsi i piccoli partiti. Mantiene un premio in grado di trasformare una minoranza in maggioranza. E per di più lo attribuisce non a una coalizione ma alla lista che prende più voti. Quindi non solo una minoranza ma un solo partito potrà godere di quel premio. Circa i due terzi degli eletti non avranno alcun rapporto di rappresentanza con i cittadini votanti ma saranno nominati dai vertici dei loro partiti. Il voto dei cittadini non conterà più niente e la Camera sarà in preda a un’arbitraria oligarchia. Il governo potrà pretendere che i suoi progetti di legge siano votati entro sessanta giorni: aula e commissioni parlamentari avranno solo ruolo servile. Tutto il potere sarà del governo e in ultima analisi del suo capo. Dialettica democratica vanificata.
“La costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo” parole di Berlusconi. Il PD ha adottato il suo programma e, col suo aiuto diretto, ha reso ancora più incisivo il potere del governo sul Parlamento. La governabilità è tutto, la rappresentanza politica nulla.
E i cittadini?
I loro strumenti di partecipazione diretta sono erosi: le firme necessarie per la presentazione di leggi di iniziativa popolare o per chiedere referendum sono innalzate a cifre proibitive.
Quanto tempo ci vorrà perché i cittadini che votano PD si accorgano che il loro partito sta smontando la loro Repubblica?