Firenze: Speculazione edilizia

di Pancho Pardi - 21/11/2008

Quando arriva sui giornali l'Urbanistica non è quasi mai argomento allegro: sono in ballo soldi, i soldi generano interessi, gli interessi privati e l'interesse generale entrano in conflitto, entra in scena la magistratura, ed ecco la notizia giornalistica.

Da questo punto di vista Firenze non è molto diversa dalle altre città. Anzi, di fronte al suo centro storico, comprese le parti ottocentesche e anche del primo novecento, spicca il contrasto con le espansioni successive, speculative, disordinate, prive di qualità. E per di più vaste: le aree progressivamente invase dall'edilizia (residenziale, commerciale, produttiva) dopo la seconda guerra mondiale sono ben più ampie di tutta la città costruita fino a quel momento. E l'edilizia di scarsa qualità comincia a dilagare proprio negli anni '50 del novecento.

Sono due i modi principali con cui il processo si manifesta: la saturazione dei vuoti lasciati dalla dismissione di impianti industriali o di altri apparati funzionali (sedi militari, macelli, centrali del latte); l'espansione della città nello spazio circostante, che da tempo non è più campagna.

Le vicende giudiziarie recenti investono a Firenze entrambi i contesti. La questione Fondiaria poggia da anni sull'uso controverso di una vasta area vuota (detta per brevità di Castello) ai margini occidentali e a ridosso dell'aeroporto. Invece la vicenda del nuovissimo centro commerciale con multisala cinematografica si innesta nell'area un tempo occupata dalla Fiat, all'interno del perimetro urbano, sempre sul lato occidentale.

Qui si dovrebbe anche ricordare che quest'area, in nome dello sviluppo industriale, fu data alla Fiat a prezzo ben al di sotto dei valori di mercato, ma è stata rivenduta a carissimo prezzo; siamo nell'ambito classico della socializzazione dei costi di investimento e della privatizzazione degli utili, ma questo ci porterebbe fuori tema.

L'area di Castello è già in parte interessata da insediamenti universitari, su cui ci sarebbe molto da dire: scarsa qualità, carenza di servizi; ma soprattutto nasce qui l'incremento del dissesto finanziario dell'Università fiorentina a causa dell'enorme indebitamento contratto per la sua realizzazione. L'indagine della magistratura verte ora sui progetti per l'ampliamento dell'area edificata a scopi in prevalenza residenziali. Sotto accusa per fatti di natura corruttiva i responsabili comunali della gestione urbanistica e i responsabili della proprietà immobiliare.

Dentro la città, nell'area industria dismessa era già stato inserito da tempo il nuovo Palazzo di giustizia. Senza considerare qui il discutibile progetto architettonico, la cui guglia ingombrante gareggia nel profilo urbano con la cupola del Duomo, colpiscono la mancata funzionalità e il rilevante costo d'esercizio di una struttura finora semi-inutilizzata e destinata al sottoutilizzo per lungo tempo.

L'opera ora al centro della misura giudiziaria occupa lo spazio accanto. Un enorme centro commerciale con grande multisala, cui si sono opposte invano le obiezioni espresse da cittadini, associazioni, gruppi culturali, imprenditori nel campo culturale. Dopo svariate denunce senza esito, l'ultima avanzata dalla lista Unaltracittàunaltromondo, guidata da Ornella De Zordo, consigliera comunale di opposizione, è stata presa in considerazione dalla Procura della Repubblica. L'opera è incominciata solo con una Dia (dichiarazione di inizio lavori) corredata da un solo schizzo sommario e priva di progetti disegnati con precisione. La Procura sospetta inoltre che in corso d'opera il volume sia stato ampliato oltre la cubatura prevista.

Ma, senza voler qui considerare l'aspetto giudiziario, bisogna valutare il senso dell'operazione. Appare in primo piano una logica di riempimento e saturazione. Non si concepisce che una parte dello spazio urbano possa restare vuota e quindi a disposizione di un diverso tipo di uso sociale. Tutto deve essere riempito, ogni poro saturato. Non solo: il piccolo commercio deve essere annichilito dalle grandi organizzazioni commerciali. E le sale cinematografiche classiche, disperse nei vari quartieri, al servizio di un'utenza locale e diffusa, devono essere sostituite da vasti insiemi di sale aggregate tutte nello stesso luogo.

E' facile immaginare le conseguenze. Dove i cinema tradizionali scompaiono si allarga il vuoto intorno; pizzerie, locali aperti di notte si rarefanno e muoiono. La vita pomeridiana e soprattutto notturna (occasionale, certo, ma ogni giorno rinnovata) che un cinema attira intorno a sé viene meno, il quartiere si fa deserto. I suoi abitanti anziani perdono un punto di riferimento.

Tutto invece rifluisce nell'aureola intorno alla multisala. Lì il traffico automobilistico si infittisce e i problemi di posteggio si acutizzano. Un polo aggregativo unico cresce a danno di una pluralità policentrica.

Si deve poi aggiungere che nella piana ci sono già due grandi centri multisala. Non è arduo immaginare che la concorrenza reciproca possa fare nuove vittime. E che fine faranno allora i vasti volumi edificati se non diventare sede virtuale di una nuova fase di speculazione di edilizia residenziale?

Dicono che sia questa la modernità. Se ne può dubitare. Le istituzioni locali che non hanno voluto considerare le ragionevoli critiche dei cittadini debbono ora misurarsi con la critica assai più perentoria dell'azione giudiziaria. Non era meglio accogliere per tempo la richiesta di partecipazione alle decisioni che la cittadinanza attiva aveva avanzato con serietà e buoni argomenti?

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