Può darsi che si tratti di un’ipotesi pubblicitaria destinata a essere sostituita da un’altra. Ma l’idea di proporre come nuovo marchio del partito di Berlusconi un simbolo in cui il nome è la sola parola “Italia” dovrebbe costringere tutti al soprassalto, anche i più scettici. Con tutto ciò che si può pensare della “serva Italia” a nessuno può essere consentita la più sfacciata delle appropriazioni.
Già, alle origini, Forza Italia aveva sequestrato il nome del paese, ma lì per lì il senso comune vi aveva letto soprattutto la mimesi col patriottismo calcistico. Un grido da stadio: sequestro vernacolare, di grado minore. Errore minimizzarlo come furbizia di lusinga calcistica (siamo gli Azzurri!) e trascurarlo nella sua natura espropriatrice.
Nel passaggio successivo, lo slittamento dal Partito al Popolo della libertà esprimeva una brutale mistificazione: negare la propria natura di parte e millantare un’aspirazione universale. Non più partito ma popolo, non più porzione ma totalità. Incardinata su un rapporto prepolitico, di sangue, con il leader. Popolo e capo, anzi capo e popolo.
Ora si colmerebbe la misura. Non basta più neanche il popolo. Ci vuole l’intero paese, la nazione, la Repubblica. “Italia” campeggia in alto nel campo azzurro sorretta dal perentorio “Berlusconi presidente”. Magari salterà su qualcuno a cantare le lodi della consueta genialità pubblicitaria. E certo l’insistenza con cui la scritta Berlusconi presidente ha riempito in questi anni tutti i manifesti del centrodestra, anche quelli sulle beghe di quartiere, risponde a precisa esigenza pubblicitaria. Così come i suoi monologhi alla stampa vanno in scena sotto l’enorme patacca circolare in cui sta scritto, per chi non ci credesse, che lì c’è il presidente del consiglio.
Ma il simbolo con su scritto “Italia-Berlusconi presidente” va oltre il martellamento pubblicitario. Non è solo appropriazione privatistica di bene pubblico. E’ manifestazione conclamata di pulsione totalitaria. Sottrae la Repubblica al paese, la identifica col possesso monocratico.
Se questa fantasia malata dovesse prendere corpo sarà necessario promuovere, oltre al ricorso agli strumenti giuridici, un’autentica rivolta culturale contro l’ignominia.