"Se
nel prossimo referendum d'autunno la riforma del Senato non viene
approvata vado a casa". Così continua a ripetere Renzi. Così la riforma
costituzionale, che dovrebbe essere materia riservata al dibattito
parlamentare, non solo è stata scritta, male, sotto dettatura del
governo ma diventa addirittura condizione obbligata per la sua
sopravvivenza.
Ma cos'ha di speciale questa cosiddetta riforma?
Toglie al Senato l'attività legislativa principale e la facoltà di
votare la fiducia al governo, entrambe riservate solo alla Camera, e lo
trasforma nell'Assemblea delle Regioni e delle autonomie locali.
In
realtà siamo di fronte a una riforma col trucco. Se si voleva superare
il bicameralismo la soluzione più limpida era eliminare del tutto il
Senato. Quanto all'assemblea delle regioni il modello già sperimentato
con successo era quello tedesco, il Bundesrat, dove sono rappresentati i
governi regionali. Invece è stato inventato un Senato ibrido, formato
da 74 consiglieri regionali, eletti nei consigli regionali, 21 sindaci
eletti dai loro colleghi e 5 nominati, per 7 anni, dal Presidente della
Repubblica: un dopolavoro per una casta politica di dubbia qualità. Non
solo: un'assemblea di scarsa legittimità, perché non eletta dai
cittadini, investita al tempo stesso di pochi e troppi poteri. Pochi
perché il suo specifico terreno di competenza, la dimensione
territoriale, è sovrastato dal potere della Camera di legiferare anche
su quello: il governo del territorio non spetta alle regioni ma al
governo centrale! Troppi perché questo Senato, sottratto alla sovranità
popolare, interviene addirittura sulle future riforme costituzionali.
Se
poi si voleva davvero ridurre i costi della politica non si capisce
perché di fronte a un Senato ridotto a 100 componenti la Camera sia
stata lasciata nella pienezza della sua composizione originaria: 630
deputati.
Ma alla fine il confronto delle cifre esprime una sua secca
verità: il Senato conta poco, la Camera è tutto. Resta allora da vedere
se la Camera sia fondata sul rispetto della rappresentanza politica. E
qui c'è l'altro trucco. Il modo di formazione della Camera non sta in
questa riforma costituzionale, ancora da approvare, ma nella legge
elettorale già approvata dal Parlamento. Questa, detta Italicum, è
perfino peggio del precedente Porcellum, già sanzionata dalla Consulta
come parzialmente incostituzionale. Due terzi circa dei membri della
Camera sono nominati dalle segreterie dei partiti prima del voto; la più
grossa delle minoranze ottiene 340 seggi su 630 grazie al premio di
maggioranza. In nome della governabilità la rappresentanza politica è
gravemente distorta; la sovranità popolare è sottomessa al potere di un
solo partito dominato dal suo leader. O il premierato assoluto o vado a
casa: Renzi va preso in parola e l'Italia può benissimo fare a meno di
lui.
Ma è necessario non sottovalutare che la lotta contro questo
disegno antidemocratico è per forza di cose distinta in due azioni
separate. Nell'autunno 2016 ci sarà il referendum confermativo sulla
sola modifica del Senato e chi non sarà d'accordo esprimerà un NO. Ma
solo nell'anno successivo potrà esserci il referendum abrogativo sull'
Italicum e chi non sarà d'accordo esprimerà un SI. C'è una logica
unitaria da tener viva nell'opinione pubblica: sia il Senato sia la
Camera sono sottratti alla sovranità popolare e questa viene sottomessa
al premierato assoluto. Il Comitato per il NO nel referendum del 2016 e
il Comitato per il SI del 2017 sostengono una battaglia civile e
culturale unitaria a salvaguardia della sovranità popolare.
DUE REFERENDUM Con uno si blocca il nuovo SEnato nel 2016, con l'altro si abroga l'Italicum nel 2017. RIUNIONE DEI COMITATI LUNEDI 11 ALLA CAMERA