L’ultimo scritto di Raniero La Valle uscito di recente su Liberacittadinanza mi lascia davvero interdetto. Mi sfugge (è certo un mio limite) il nesso tra il folle alla Casa Bianca e il “dov’è andato Dio” di Nietzsche. Dovrò leggere con più cura. A mia scusa dirò che l’attenzione si è fissata su una frase meno complicata del testo: L’Europa “invece di essere contenta della pace in casa sua” non si rassegna a essere sconfitta in Ucraina. Tocco solo il primo dei temi, il secondo richiede un seminario. Si può chiamare pace ciò che l’intesa sempre più cordiale tra Trump e Putin appresta per il paese invaso e ridotto all’assenza dal negoziato che deciderà il suo futuro? E se quel limbo nefasto può essere chiamato pace perché allora non riconoscere apertamente che lo smisurato capitalista Trump non è affatto folle ma dà ragione in tutto e per tutto all’autocrate contro cui il suo paese aveva scatenato (hanno ripetuto in molti) la guerra per procura? Resta al lato il mistero: aveva sempre pensato così ma non ce l’aveva detto per non rovinarsi il colpo di scena? Interrogativo ormai ozioso. Ma si fa più viva l’altra domanda: si sono accorti i pacifisti che il loro programma “niente armi all’Ucraina!” è attuato con fredda spregiudicatezza dal campione del capitalismo?
Resta la cupa pesantezza del limbo. Il capitalista consegna senza difese il paese invaso e massacrato nelle mani benevole del suo aggressore. Non contento pretende, fissato con una cifra esosa, il pagamento in natura del contributo che il governo USA aveva stanziato (era contrario e l’Ucraina l’avrebbe lasciata al suo destino). Poiché gli è toccato ereditare una situazione sgradevole vuole le terre rare da una terra umiliata e offesa. Così il sarcasmo della storia: quello che ai suoi occhi era solo l’umile salariato della guerra per procura deve, invece di riscuotere, pagare.
Pagare significa rinunciare non alla vittoria militare, che nemmeno i più fantasiosi sognatori si auguravano, ma all’unica vittoria che corrisponde al dettato del diritto internazionale: vedere garantita l’integrità territoriale del paese. Già il Memorandum di Budapest aveva l’aveva stabilita quando nel 1994 l’Ucraina cedette il suo arsenale nucleare alla Russia, con la firma della stessa Russia, degli USA e del Regno Unito. Promessa solenne non mantenuta a tutto danno del paese invaso. Peggio: rinunciare ai territori perduti (guai ai vinti!) e pagare in terre rare.
Dopo aver perso il fiore della sua gioventù, milioni di donne e bambini in esodo biblico, città, industrie, infrastrutture, campagne, regioni intere ricche di risorse, per benevola concessione di La Valle “l’Ucraina può e deve finalmente vivere”. Dopo tutto ciò e in che modo, se è lecito? “senza i missili Nato”, proprio così. Non ce ne sarà bisogno perché la Russia ha già avuto ciò che voleva, non l’aggredirà più perché l’ha già aggredita (anche se per Washington non si può più dire).
Penoso l’accenno a Zelensky, col tono marcato sul suo mestiere precedente (non dissimile dal disprezzo di Trump!) e con l’allusione al desiderio di morire sulla scena, che ammiriamo in Molière e chissà perché dovremmo svalutare nel presidente dell’Ucraina bombardata tutti i giorni, anche in questo preciso istante. Qui scatta inevitabile il confronto: perché nulla su Putin? La penna da sola, a lasciarla fare, avrebbe tante cose da dire…
La Russia compare solo così di sfuggita nell’articolo di La Valle, soggetto silente, enigma che non può essere turbato da critiche, ingessato nella permanenza al potere di un individuo che punta ormai a superare il record di Stalin, primato che l’occidente non invidia all’impero asiatico e neosovietico. Ma una parola per l’Ucraina? Il vero credente non esibisce la fede ma da lui ci si aspetterebbe, se non altro per stile, il conforto della misericordia.