Furio Colombo ha avuto una vita bellissima. Anzi sette vite bellissime. Chi vuole può consultare Wikipedia e vedrà che non è un’esagerazione. Perfino il ritratto sul Foglio, che vorrebbe essere corrosivo, non può evitare di fronte a una vita così variopinta di tradire un po’ d’invidia. Non tutti sono capaci di attraversare i mondi del giornalismo, della cultura e dell’industria, passando con disinvoltura da un mestiere all’altro, senza perdere il proprio carattere originale.
Ma per noi dei movimenti d’inizio secolo, contro Berlusconi e contro l’anomalia italiana (il monopolista televisivo al vertice del potere politico), Furio Colombo resta soprattutto il formidabile direttore dell’Unità. Un giornale storico, ormai fallito e chiuso, che lui insieme ad Antonio Padellaro ha fatto rivivere e brillare fino a quando è stato possibile. L’Unità rinnovata ha per qualche anno rappresentato una delle voci più sonore del protagonismo civile. La foto panoramica in prima pagina su piazza San Giovanni a Roma, 14 settembre 2002, mostrava una “Festa di protesta” di dimensioni mai più ripetute: colmava tutti i dintorni in tutte le direzioni, viali, vie, altre piazze limitrofe, oltre le Mura Aureliane. Una protesta che il centrosinistra di allora si preoccupò soprattutto di smorzare, lusingare e addomesticare; un mondo che non trovò in sé la forza di organizzarsi per proporre un’autentica rappresentanza politica. E si accontentò di riversare le sue forze nelle vittorie dei referendum del 2006 contro la riforma costituzionale di Berlusconi, del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua, del 2016 contro la riforma costituzionale di Renzi. Buoni risultati ma troppo poco al confronto con le speranze degli esordi.
Dopo l’esperienza dell’Unità, Colombo fu tra i fondatori del Fatto quotidiano, sulle cui pagine ha esercitato la propria vocazione di stringente polemista. E poiché un polemista lo si ricorda anche per le sue polemiche, mi sembra utile ricordare qui le risposte date da Furio a Paolo Flores d’Arcais nell’intervista sulle pagine di MicroMega nel 2022 (che la rivista on line ha ripubblicato in questi giorni: https://www.micromega.net/furio-colombo-lascia-fatto-quotidiano).
Tema scottante, la discussione con Travaglio, divenuto direttore del Fatto, e l’uscita dal giornale che aveva contribuito a fondare. Alla richiesta di un perché Colombo non si fa pregare: la causa è lo schieramento del giornale contro l’Ucraina e a favore della Russia, espresso poi in forma esplicita nella serata romana organizzata dal quotidiano con il ruolo di protagonista affidato ad Alessandro Orsini. Inaccettabile per Colombo la giustificazione dell’invasione russa con l’aggressività dell’occidente (chi attacca, poveretto, si limita a difendersi e chi si difende è in realtà il vero aggressore). Inaccettabile la conclusione: se non dobbiamo dare armi all’Ucraina disarmiamo l’aggredito senza poter disarmare l’aggressore. Così la pace è l’effetto della resa incondizionata dell’Ucraina. Se fosse ancora tra noi Colombo potrebbe spiegare, con la sua ironia, che la ricetta per la pace illustrata dal Fatto (e da buona parte della sinistra italiana) è ora nelle intenzioni e nelle mani di Trump!