Gli ultimi “incidenti” riguardano un operaio di 58 anni morto perché rimasto incastrato nel macchinario dove lavorava nell’azienda Aristoncavi di Vicenza, mentre un altro operaio di 50 anni è rimasto schiacciato da una balla di carta da macero di una cartiera del gruppo RDM di Udine, un terzo operaio di 47 anni è morto folgorato mentre faceva manutenzione in un impianto fotovoltaico in provincia di Frosinone.
Nonostante siano trascorsi 31 anni dal recepimento delle Direttive Europe attraverso la legge n. 626 e la sua successiva legge integrativa n. 81 de 2008 “testo Unico Sulla Sicurezza”, continua lo stillicidio di infortuni con una media di 3 morti a giorno sul lavoro.
Ma la Meloni (sic) annuncia che metterà 650 milioni di euro a favore della sicurezza sul lavoro... peraltro sono soldi Inail accantonati dai contributi dei lavoratori e non presi, ad esempio, dai 73 miliardi che il governo intendo destinare nei prossimi due anni agli incrementi degli armamenti.
Non c’e’ dubbio che anche questa volta se un operaio muore incastrato nel macchinario ed un altro perché gli cade una balla di cartone sulla testa, un altro ancora folgorato, significa che mancavano i dispositivi di sicurezza affinché ciò non accadesse ... quindi anche questa volta non si tratta di incidente ma di omicidio.
Occorre capire che i circa 1.400 morti sul lavoro ogni anno, sono un prezzo che chi ha il potere economico e finanziario fanno pagare alla classe lavoratrice la quale oltre a morire sul lavoro deve anche lavorare con paghe da fame.
In questo contesto il governo Meloni, è al servizio del padronato, quindi è il responsabile politico principale di questa situazione. Non va mai dimenticato ciò che il governo Meloni ha fatto per incentivare le morti sul lavoro in quasi tre anni del suo governo.
Questo:
- Essa ha fatto una serie di provvedimenti finalizzati alla cementificazione, inquinamenti, deregolamentando ancor più il mercato del lavoro ,, “togliendo regole che loro chiamano “lacci e lacciuoli” con la frantumazione del medesimo lavoro, con distruzione dello stato sociale, con impoverimento di massa dei ceti subordinati;
- il governo ha fatto leggi come quelle della deregolamentazione degli appalti con la possibilità di subappalti a cascata al massimo ribasso scaricando i costi sui lavoratori i quali sono i primi a morire per “incidenti” sul lavori;
- il governo ha stabilito di far fare i controlli della ASL nelle aziende con il preavviso obbligatorio, al fine di ripristinare i dispositivi di sicurezza e di fare uscire dalle aziende tutti i lavoratori a nero presenti al lavoro prima che l’Ispettore del lavoro entri in azienda.
Nonostante siano trascorsi 31 anni dal recepimento delle Direttive Europe attraverso la legge n. 626 e la sua successiva legge integrativa n. 81 de 2008 “testo Unico Sulla Sicurezza”, continua lo stillicidio di infortuni con una media di 3 morti a giorno sul lavoro.
Ma la Meloni (sic) annuncia che metterà 650 milioni di euro a favore della sicurezza sul lavoro... peraltro sono soldi Inail accantonati dai contributi dei lavoratori e non presi, ad esempio, dai 73 miliardi che il governo intendo destinare nei prossimi due anni agli incrementi degli armamenti.
Non c’e’ dubbio che anche questa volta se un operaio muore incastrato nel macchinario ed un altro perché gli cade una balla di cartone sulla testa, un altro ancora folgorato, significa che mancavano i dispositivi di sicurezza affinché ciò non accadesse ... quindi anche questa volta non si tratta di incidente ma di omicidio.
Occorre capire che i circa 1.400 morti sul lavoro ogni anno, sono un prezzo che chi ha il potere economico e finanziario fanno pagare alla classe lavoratrice la quale oltre a morire sul lavoro deve anche lavorare con paghe da fame.
In questo contesto il governo Meloni, è al servizio del padronato, quindi è il responsabile politico principale di questa situazione. Non va mai dimenticato ciò che il governo Meloni ha fatto per incentivare le morti sul lavoro in quasi tre anni del suo governo.
Questo:
- Essa ha fatto una serie di provvedimenti finalizzati alla cementificazione, inquinamenti, deregolamentando ancor più il mercato del lavoro ,, “togliendo regole che loro chiamano “lacci e lacciuoli” con la frantumazione del medesimo lavoro, con distruzione dello stato sociale, con impoverimento di massa dei ceti subordinati;
- il governo ha fatto leggi come quelle della deregolamentazione degli appalti con la possibilità di subappalti a cascata al massimo ribasso scaricando i costi sui lavoratori i quali sono i primi a morire per “incidenti” sul lavori;
- il governo ha stabilito di far fare i controlli della ASL nelle aziende con il preavviso obbligatorio, al fine di ripristinare i dispositivi di sicurezza e di fare uscire dalle aziende tutti i lavoratori a nero presenti al lavoro prima che l’Ispettore del lavoro entri in azienda.
Ma la logica dei governi al servizio de datori di lavoro, che considerano il lavoratore “merce”, con una impostazione ideologica liberista non è solo della Meloni, essa è iniziata dalla meta degli anni 80 e si è consolidata nel febbraio del 2003 con il governo Berlusconi fece approvare la legge n. 30 “Biagi”, la quale prevede ben 45 forme di lavoro flessibile e precario ... legge che non è mai stata abolita da nessun governo di centrodestra o di centrosinistra ed è ancora in atto: il 75% di tutti i novi assunti avviene tramite la legge “Biagi” . Inoltre Renzi il 29 agosto del 2014 , ha abolito l’art. 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori in attuazione del Jobs Act, dando la possibilità alle imprese di licenziare senza un giusto motivo anche i lavoratori con contratto fisso a tempo indeterminato. Il fatto che le imprese abbiano ottenuto la possibilità di licenziare “liberamente”, non ha portato più occupazione come andavano dicendo... ma solo più ricatti, infortuni e morti sul lavoro.
Cosa che come sappiamo si cerca di abolire votando SI al referendum sui 4 quesititi del lavoro, che si terrà l’8 e 9 giugno 2025.
Cosa che come sappiamo si cerca di abolire votando SI al referendum sui 4 quesititi del lavoro, che si terrà l’8 e 9 giugno 2025.
Ma le cause dei 1.400 morti ogni anno sul lavoro non sono solo quelle sopra elencate vi è ben altro e riguardano tutta l’organizzazione del lavoro.
Anche le stragi sul lavoro, avvenute nel solo nell’anno 2024 evidenziano la tragica realtà dell’Italia: il 16 febbraio, con il crollo di una trave alla Esselunga di Firenze con 5 morti; il 9 aprile la strage con 7 lavoratori uccisi alla centrale idroelettrica sull’Appennino bolognese; infine la tragedia con 5 morti allo stoccaggio ENI di Calenzano, ecc.. accompagnata dai 3 morti uccisi ogni giorno sul lavoro … Ciò non avviene certo a causa di un destino cinico e baro… ma è tutto ‘ legato ad una organizzazione capitalista del lavoro che mette al centro il profitto e la speculazione finanziaria a danno della prevenzione e sicurezza, mettendo in conto (come ho già detto) l’uccisione di circa 1.400 lavoratori ogni anno.
Le vere cause degli omicidi sul lavoro , dipendono soprattutto dalle scelte delle imprese ed anche dalle politiche legislative dei governi (sia quelli del passato che quello attuale) che sostanzialmente operano come richiede la Confindustria. Quello che avviene con i morti di lavoro nelle aziende, vede la maggioranza dei datori di lavoro , trascurare gli investimenti finalizzati alla prevenzione e sicurezza ed al fine di fare più profitti , essi riducono il personale aumentando i carichi di lavoro a chi resta, non fanno formazione informazione ed addestramento adeguato, danno paghe di fame ed allungano gli orari di lavoro con gli operai devono fare straordinari necessari per sopravvivere, incrementano i cariche ed i ritmi di lavoro con i drammi causati della stanchezza, non fanno investimenti preventivi alla fonte e molto spesso tolgono anche i i dispositivi di sicurezza al fine di incrementare i ritmi di lavoro.
Le vere cause degli omicidi sul lavoro , dipendono soprattutto dalle scelte delle imprese ed anche dalle politiche legislative dei governi (sia quelli del passato che quello attuale) che sostanzialmente operano come richiede la Confindustria. Quello che avviene con i morti di lavoro nelle aziende, vede la maggioranza dei datori di lavoro , trascurare gli investimenti finalizzati alla prevenzione e sicurezza ed al fine di fare più profitti , essi riducono il personale aumentando i carichi di lavoro a chi resta, non fanno formazione informazione ed addestramento adeguato, danno paghe di fame ed allungano gli orari di lavoro con gli operai devono fare straordinari necessari per sopravvivere, incrementano i cariche ed i ritmi di lavoro con i drammi causati della stanchezza, non fanno investimenti preventivi alla fonte e molto spesso tolgono anche i i dispositivi di sicurezza al fine di incrementare i ritmi di lavoro.
Personalmente, sulle cause e sul cosa fare nei luoghi di lavoro, posso parlarne in base alle mie esperienze dirette , avendo svolto per decenni incarichi sindacali, (anche in merito alla prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro) e come Segretario responsabile in CGIL ai vari livelli: provinciale, regionale, nazionale, di diversa natura , anche come responsabile nella categoria dei Chimici, in quella dei metalmeccanici e Confederale in merito alle problematiche sulla sicurezza nei luoghi di lavoro...
Quindi le mie considerazioni sulle cause ed il cosa fare, partono dalle mie esperienze che mi fanno affermare che i più controlli ispettivi non risolveranno minimamente il problema .
Queste le mie considerazioni :
1) Primo: Attualmente nelle aziende, gli aspetti fondamentali della legge 81 “Testo Unico Sulla Sicurezza” , si basano su un sistema di prevenzione “partecipativa” , che coinvolge cinque diversi soggetti : Il Datore di Lavoro, Il Responsabile alla Prevenzione e Protezione dell’azienda, il Medico Competente, le RLS (Rappresentanti Lavoratori alla Sicurezza) ed i lavoratori. Ma in realtà quello che avviene nella valutazione dei rischi esistenti e nell’eventuale programma di interventi da effettuare per eliminarli , viene effettuato in modo sostanzialmente burocratico al fine di riempire gli appositi moduli e mettere in regola l’azienda con “la legge”... senza il coinvolgimento delle RSU e soprattutto senza il coinvolgimento reale dei lavoratori. Quindi le RLS, quando vanno al confronto con gli altri tre soggetti (datore di lavoro, RPP, Medico Competente) rischiano di non avere le giuste conoscenze proveniente dai lavoratori interessati e nella valutazione dei rischi esistenti, restano subordinate alle indicazioni degli altri soggetti, che sono tutti legati all’interesse della parte datoriale.
Quindi le mie considerazioni sulle cause ed il cosa fare, partono dalle mie esperienze che mi fanno affermare che i più controlli ispettivi non risolveranno minimamente il problema .
Queste le mie considerazioni :
1) Primo: Attualmente nelle aziende, gli aspetti fondamentali della legge 81 “Testo Unico Sulla Sicurezza” , si basano su un sistema di prevenzione “partecipativa” , che coinvolge cinque diversi soggetti : Il Datore di Lavoro, Il Responsabile alla Prevenzione e Protezione dell’azienda, il Medico Competente, le RLS (Rappresentanti Lavoratori alla Sicurezza) ed i lavoratori. Ma in realtà quello che avviene nella valutazione dei rischi esistenti e nell’eventuale programma di interventi da effettuare per eliminarli , viene effettuato in modo sostanzialmente burocratico al fine di riempire gli appositi moduli e mettere in regola l’azienda con “la legge”... senza il coinvolgimento delle RSU e soprattutto senza il coinvolgimento reale dei lavoratori. Quindi le RLS, quando vanno al confronto con gli altri tre soggetti (datore di lavoro, RPP, Medico Competente) rischiano di non avere le giuste conoscenze proveniente dai lavoratori interessati e nella valutazione dei rischi esistenti, restano subordinate alle indicazioni degli altri soggetti, che sono tutti legati all’interesse della parte datoriale.
2) Secondo: la seconda riflessione che dobbiamo fare, riguarda la qualità dei processi produttivi e degli interventi necessari alla prevenzione. Sappiamo che la stragrande maggioranza degli infortuni, è dovuto al mancato rispetto delle norme e delle regole del quadro legislativo, nonché dalla qualità dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro. Se verifichiamo con attenzione la qualità e l’incidenza degli infortuni, ci accorgiamo che questi avvengono in stragrande maggioranza tra i lavoratori precari, quelli che lavorano in appalto e subappalto, nelle false cooperative, nelle piccole aziende... dove spesso le imprese per incrementare la “produttività” nonché i profitti, tolgono anche le misure protettive sugli impianti... inoltre molti lavoratori finito il proprio turno continuano con gli straordinari per arrotondare il salario, aumentando i rischi per stanchezza... E’ quindi del tutto evidente il fatto che non basta la definizione delle norme di sicurezza in modo burocratico, ma è invece necessario dover intervenire “mettendo le mani nella qualità dei processi industriali, negli orari di lavoro e salari, in quelli produttivi ed organizzativi, nonché una adeguata formazione, informazione ed addestramento ai lavoratori interessati.
3) Terzo: certo le strategie industriali, non sono tutte identiche, e sicuramente vi sono anche imprenditori che spendono risorse economiche verso la ricerca, l’innovazione tecnologica dei processi e dei prodotti , puntando alla qualità ed efficienza con un occhio di riguardo anche agli investimenti da destinare alla prevenzione ... ma la maggioranza delle imprese Italiane vedono ancora gli investimenti da destinare alla prevenzione e sicurezza come costi aggiuntivi da evitare o limitare ed inoltre cercano di risparmiare sul costo del lavoro, adottando un modello organizzativo con molti lavoratori flessibili, precari, senza diritti. Un esempio macroscopico lo troviamo nella cantieristica navale , dove per ogni lavoratore fisso ve ne sono almeno due assunti a tempo determinato, o in false cooperative, o in appalto , o in affitto, o occasionali... con contratti “pirata” senza diritti e paghe di “merda”. Questi lavoratori non solo sono costretti ad accettare condizioni d lavoro vessatorie, ma spesso anche ogni sorta di ricatto perché se reclamano sulle condizioni di lavoro magari ricorrendo alla RLS, vengono licenziati. Basta ricordare Luana D’Orazio morta in una azienda tessile di Prato dove per incrementare la produzione avevano tolto i dispositivi tecnici di sicurezza.
Fatte le suddette considerazioni , credo che oggi, per capire cosa è necessario fare, dobbiamo prendere atto che il modello di sviluppo economico che si è gradualmente affermato negli ultimi 35 anni , ha una logica perversa che nei luoghi di lavoro, anziché prevenire i rischi di infortuni, mette in conto (come già detto) circa 1.400 morti ogni anno. In sostanza a partire dalla metà degli anni 80, si è voluto affermare di proposito un modello di sviluppo economico profondamente distorto che si basa sulla centralità del profitto, con una competitività da ottenere attraverso bassi salari, pochi investimenti destinati alla prevenzione, e a danno della qualità del lavoro e soprattutto della vita di chi lavora.
Quello che allora serve per affrontare la situazione sopra descritta, è il governo reale dei processi produttivi ed organizzativi , con un Sindacato che non deve lasciare soli le RLS ed i lavoratori , ma che si prefigge di contrattare nel profondo le necessarie modifiche organizzative (compresi gli orari di lavoro) nei processi lavorativi, gli investimenti di prevenzione alla fonte sugli impianti, l’abolizione della legge “Biagi” , la reintroduzione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il disconoscimento dei sindacato non rappresentativi ed i loro contratti pirata.
OGGI si parla della necessità di far effettuare più controlli ai servizi ispettive denunciandone la carenza . E’ vero che essi sono pochi: 3.000 ispettori Inail, 1.000 Inps, 500 ispettori dell’arma dei Carabinieri . Con questi numero di Ispettori l’azienda che non è in regola può rischiare di essere controllata una sola volta in 18 anni, ma anche se viene controllata , come sappiamo il governo di Berlusconi ha depenalizzato il Testo Unico sulla Sicurezza , per cui al massimo i datori di lavoro rischiano un multa ma non andranno mai in galera.
Credo che di fronte al suddetto scenario , gli incrementi annunciati dal governo degli Ispettori del lavoro per i controlli, e le denunce agli Organi ispettivi, anche se necessari , sono solo “un brodino caldo” che non smuoveranno la realtà dei morti sul lavoro ... e tantomeno non servono i protocolli di intesa tra le parti sociali ed istituzionali....
A mio parere, anche i 4 quesiti sul lavoro promossi dalla CGIL con i questi referendari dell’8 e 9 giugno, pur essendo importanti, essi non bastano.
Oggi è il sindacato Confederale e di Categoria che deve intervenire a partire dai luoghi di lavoro rilanciando anche la contrattazione del come e per cosa si lavora.
Credo che dobbiamo ricordarci come già negli anni 50/60 i morti sul lavoro raggiungevano cifre gravissime : nel 1963 ci furono le maggiori morti con 4.644 infortuni mortali... e le vere risposte certe con la riduzione degli infortuni ed i morti sul lavoro, si sono avuti alla fine degli anni 70.
Bisogna quindi ritornare al metodo adottato negli anni 70 .
Occorre:
a) Fare assemblee dei lavoratori in ogni reparto, promosse da sindacato assieme alle RSU/RLS, al medico competete ed ai periti dei servizi di medicina del lavoro, dove (anche tramite questionari) si individuano i rischi esistenti negli impianti, nell’ambiente, nei processi produttivi ed organizzativi... valorizzando la partecipazione e la soggettività dei lavoratori;
b) Successivamente il servizio di medicina del lavoro della ASL, occorre che proceda all’indagine tecnica e medica , a partire da quelle che sono le indicazioni pervenute dai lavoratori;
c) Svolta l’indagine e scritta la relazione tecnica e medica , è necessario aprire un confronto con la direzione aziendale, per contrattare con l’azienda tutti gli interventi di prevenzione e sicurezza previsti nella relazione, da effettuare senza limitare i costi, sviluppando il conflitto necessario;
d) Infine occorre che i lavoratori rifiutino ogni forma di lavoro a rischio, ma per poterlo fare è necessario ripristinare l’art, 18 dello Statuto dei lavoratori ed abolire la legge n. 30 detta anche “legge Biagi”
Credo che di fronte al suddetto scenario , gli incrementi annunciati dal governo degli Ispettori del lavoro per i controlli, e le denunce agli Organi ispettivi, anche se necessari , sono solo “un brodino caldo” che non smuoveranno la realtà dei morti sul lavoro ... e tantomeno non servono i protocolli di intesa tra le parti sociali ed istituzionali....
A mio parere, anche i 4 quesiti sul lavoro promossi dalla CGIL con i questi referendari dell’8 e 9 giugno, pur essendo importanti, essi non bastano.
Oggi è il sindacato Confederale e di Categoria che deve intervenire a partire dai luoghi di lavoro rilanciando anche la contrattazione del come e per cosa si lavora.
Credo che dobbiamo ricordarci come già negli anni 50/60 i morti sul lavoro raggiungevano cifre gravissime : nel 1963 ci furono le maggiori morti con 4.644 infortuni mortali... e le vere risposte certe con la riduzione degli infortuni ed i morti sul lavoro, si sono avuti alla fine degli anni 70.
Bisogna quindi ritornare al metodo adottato negli anni 70 .
Occorre:
a) Fare assemblee dei lavoratori in ogni reparto, promosse da sindacato assieme alle RSU/RLS, al medico competete ed ai periti dei servizi di medicina del lavoro, dove (anche tramite questionari) si individuano i rischi esistenti negli impianti, nell’ambiente, nei processi produttivi ed organizzativi... valorizzando la partecipazione e la soggettività dei lavoratori;
b) Successivamente il servizio di medicina del lavoro della ASL, occorre che proceda all’indagine tecnica e medica , a partire da quelle che sono le indicazioni pervenute dai lavoratori;
c) Svolta l’indagine e scritta la relazione tecnica e medica , è necessario aprire un confronto con la direzione aziendale, per contrattare con l’azienda tutti gli interventi di prevenzione e sicurezza previsti nella relazione, da effettuare senza limitare i costi, sviluppando il conflitto necessario;
d) Infine occorre che i lavoratori rifiutino ogni forma di lavoro a rischio, ma per poterlo fare è necessario ripristinare l’art, 18 dello Statuto dei lavoratori ed abolire la legge n. 30 detta anche “legge Biagi”
Inoltre ritengo anche che gli stipendi bassi inferiori a quelli di 30 fa, con 6,5 milioni di pensionati che percepiscono meno di 1000 euro al mese, mentre i prezzi e tariffe sono raddoppiate, sono un incentivo a fare straordinari o a ritornare al lavoro anche da pensionati , divenendo causa di infortuni sul lavoro spesso non denunciati perché fatti da lavoranti a nero.
Ora, appare chiaro che le controparti non sono solo i componenti del governo delle destre , liberisti, “ e zerbini dei padroni”, ma è il Sindacato che deve ripartire dalla centralità dei luoghi di lavoro con vertenze articolate in ogni azienda , perché quello che ho sopra descritto è una catena che solo un sindacato di Classe che mobiliti su una vera piattaforma rivendicativa la classe operaia nelle fabbriche , possono e devono cercare di spezzare.
Ora, appare chiaro che le controparti non sono solo i componenti del governo delle destre , liberisti, “ e zerbini dei padroni”, ma è il Sindacato che deve ripartire dalla centralità dei luoghi di lavoro con vertenze articolate in ogni azienda , perché quello che ho sopra descritto è una catena che solo un sindacato di Classe che mobiliti su una vera piattaforma rivendicativa la classe operaia nelle fabbriche , possono e devono cercare di spezzare.
Umberto Franchi , già Dirigente Sindacale CGIL 6 maggio 2025