Canili: verso il superamento delle gabbie

di Sabrina Milazzo - 06/04/2019
Si instaurano particolari connessioni tra cani che, liberi di farlo, si scelgono tra loro. Inoltre coloro che hanno sofferto situazioni psichiche dolorose, recuperando il loro benessere, aderiscono poi volentieri ad un progetto di aiuto che coinvolga anche esseri umani, come se la solidarietà nascesse anche dalla condivisione di stati d’animo
La Puglia, regione ben nota per i suoi problemi di randagismo, si è distinta per aver messo in atto una strategia alternativa al classico canile. E’ stata infatti inaugurata nell’estate del 2018 a Cerignola la prima Oasi canina senza gabbie, che verrà gestita dall’associazione “Gli amici di Balto”. “L’oasi” spiega la Presidente Chiara Valentino, “nasce dall’idea che quelli che oggi sono i canili devono trasformarsi in luoghi più umani senza gabbie dove gli animali, liberi in piccoli gruppi da 4-5 cani compatibili, devono esclusivamente transitare e non restarci a vita”. Sarà un centro polifunzionale che non si baserà solo più sui fondi comunali, ma proporrà dei servizi alla cittadinanza, finalizzati alla corretta educazione della popolazione alla convivenza con gli animali, perché purtroppo la mancata conoscenza dell’ “altro” animale che si ha davanti è la vera causa di abbandoni e maltrattamenti. Il progetto prevede inoltre la riammissione in quel territorio dei cani ferali (i cani selvatici che hanno paura degli esseri umani), che verranno monitorati dai volontari - attività possibile perché la popolazione è stata educata alla convivenza con gli animali e quindi non sussiste il problema delle uccisioni dei branchi liberi (Cerignola è il secondo territorio più esteso d’l’Italia con alta percentuale di aree rurali pertanto c’è presenza di popolazione canina inselvatichita e quindi inadottabile). I canili in Italia sono nati a seguito del Regolamento di Polizia Veterinaria n. 320 – art. 54 – dell’ 8 febbraio 1954, volto a tutelare la salute pubblica dalle zoonosi, ed in particolare dalla rabbia. Da moltissimi anni la rabbia è ormai stata debellata, quindi i canili non hanno più la funzione di contenimento delle malattie contagiose per cui erano stati progettati.Tuttavia il pregiudizio di luogo sporco e scomodo è ancora ben presente: non a caso i canili sono realizzati ai margini o decisamente al di fuori dei centri abitati, vicino alle discariche e ai campi nomadi, luoghi dove la popolazione non si avvicina volentieri. Nel 1991 è arrivata la Legge quadro n. 281, perfezionata successivamente dalla legge 189/04, promossa dalle associazioni animaliste, che ha introdotto il concetto di “benessere animale” e abolito la pratica della soppressione dei cani abbandonati dopo una breve permanenza in canile. Oggi è necessario fare un ulteriore passo avanti andando nella direzione indicata dall’iniziativa promossa dall’Oasi in Puglia. Il canile non deve essere un ricovero permanente dove tenere ammassati i cani, ma una sistemazione temporanea; lo scopo principale dei rifugi dovrebbe essere quello di valorizzare i cani per migliorarne l’adozione e offrire un servizio di consulenza per prevenire i problemi relativi al fenomeno della rinuncia-abbandono. Per “benessere” animale (includendo ovviamente anche la razza umana) si intende sia il benessere fisico che quello mentale. Il comportamento degli individui è motivato dalla ricerca del soddisfacimento di cinque bisogni fondamentali, che devono essere soddisfatti in ordine gerarchico: bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione. Pertanto una condizione di benessere deve prevedere il soddisfacimento di cinque libertà: libertà da sete e fame, libertà di avere un ambiente fisico adeguato, libertà dal dolore e dalle malattie, libertà di manifestare le caratteristiche specie-specifiche normali e la libertà dalla paura. Nei migliori canili attualmente si possono soddisfare la libertà dalla sete e dalla fame e dalle malattie (in molti altri nemmeno quelle); restano quindi inappagate le esigenze sociali, emotive e comportamentali – i cani ferali sono quelli condannati a vita, perché inadottabili, se non da persone che hanno ampi spazi all’aperto a disposizione. Per questo motivo può capitare che nel primo periodo dopo l’adozione si presentino delle problematiche a livello comunicativo tra cane ed adottante. Il cane arriva da una situazione di elevato stress, in cui ha dovuto sviluppare delle strategie di adattamento per sopravvivere al rumore costante, alla noia, in alcuni casi alla necessità di difendere le risorse; dopo i primi giorni, in cui è generalmente frastornato, proverà a riproporre i comportamenti che ha adottato in canile, perché non conosce nulla del nuovo ambiente, e questo può causare delle problematiche, superabili in un’ottica di dialogo e comprensione reciproca, ma insormontabili se l’uomo si mette nella posizione superiore di colui “che ha salvato il cane” e che quindi merita gratitudine assoluta e attribuisce ai comportamenti del cane interpretazioni di carattere umano (dispetti, aggressività, etc..). Ci indigniamo giustamente per gli zoo, ma i canili spesso li ricordano fin troppo, luoghi di detenzione a vita, senza aver commesso alcuna colpa. I cani selvatici probabilmente hanno una vita più breve e muoiono di malattie che potrebbero essere facilmente debellate se fossero cani “di famiglia”, ma davvero la loro qualità di vita è peggiore di quelli rinchiusi a vita? Vivono in branchi familiari, allevano i piccoli insieme. Che diritto abbiamo di privarli della loro libertà?

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