Il 7 gennaio 2015, attorno alle 11.30, un commando di tre uomini con giubbotto antiproiettile e armi da guerra ha attaccato la sede del giornale satirico “Charlie Hebdo” mentre era in corso la riunione settimanale di redazione. Dodici i morti, tra i quali il direttore Stephan Charbonnier, detto Charb, e i tre più noti vignettisti (Cabu, Tignous e Georges Wolinski), e due poliziotti, oltre a numerosi feriti. Quindici minuti prima dell'attacco, il settimanale satirico aveva pubblicato sul proprio profilo Twitter una vignetta su Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico Dopo l'attentato il commando, che durante l'azione ha gridato frasi inneggianti ad Allah e alla punizione del Charlie Hebdo, è fuggito in auto. Si è trattato del più grave attentato terroristico in Francia dal 1961.
Immediatamente, attraverso il web, lo slogan diventa in tutto il mondo “Je suis Charlie “: la gente si identifica con quel giornale, che è diventato rapidamente il simbolo della libertà di espressione, di parola, di satira. Una mamma mette su facebook la foto del pugnetto del suo bimbo appena nato e nel braccialetto di riconoscimento ha scritto “Je suis Charlie”.
Spontaneamente le persone si radunano nelle piazze di mezza Europa e tutte innalzano cartelli con la scritta che è ormai lo slogan della protesta corale per un atto così vile, ottuso, stupidamente e inutilmente violento.
La reazione più straordinaria, il segnale più giusto l’hanno dato i vignettisti di tutto il mondo libero, disegnando vignette di tutti i tipi, valanghe di vignette che inondano il web, i giornali, facebook con la loro carica graffiante, irriverente e divertente.
Ora dobbiamo solo sperare che non si apra anche da noi la caccia al musulmano e non ci si avviti tutti in una spirale senza fine di odio e di violenza, perché così faremmo solo il gioco dei terroristi e di chi li manovra. Ma dobbiamo poter contare anche sui musulmani moderati e colti, che debbono prendere le distanze dal terrorismo islamico in modo meno tiepido, ma più netto e deciso di quanto non abbiano fatto fino ad ora.
Quello che lascia perplessi è perché accanirsi su un settimanale tutto sommato abbastanza di “nicchia”, un po’ come era il nostro “Cuore” fondato da Michele Serra, o meglio “Il Male” fondato da Pino Zac e poi guidato da Vauro e Vincino.
“Charlie Hebdo” è un giornale graffiante di satira politica, ma i giornalisti e i vignettisti uccisi, fino a ieri erano conosciuti e seguiti solo da una certa parte del pubblico: quella più avvertita, più colta, più consapevole, politicamente impegnata e schierata, oggi invece i loro nomi e il giornale appartengono al mondo E sono stati proprio i terroristi che volevano zittire quelle voci libere a far loro da megafono.
Ricordiamoli qui: il direttore del settimanale Stéphane Charbonnier, detto Charb, Jean Cabut detto Cabu, Georges Wolinski, Bernard Maris detto “Zio Bernard”, Bernard Verlhac detto Tignous, Michelle Renaud, un ospite della redazione, Philippe Honorè, disegnatore anche lui, Mustapha Ourrad, era un correttore, Ahmed Merabet, poliziotto, Franck Brinsolaro, la guardia del corpo del direttore Charb, Michel Renaud, fondatore di Carnet de Voyage, Frederic Boisseau, responsabile
della manutenzione, Elsa Cayat, analista e giornalista.
Fra tutti questi nomi spicca quello di George Wolinsky e il nostro pensiero commosso e dolente corre indietro, molto indietro nel passato, al tempo in cui l’abbiamo conosciuto: quando nell’aprile del 1965 la rivista Linus cominciò le sue pubblicazioni e a noi ragazzi di allora si aprì un mondo nuovo: il mondo dei fumetti.
Per noi che fino a quel momento avevamo letto solo giornaletti come Topolino o il Monello, o Nembo Kid o nel migliore dei casi Tex Willer, il contatto con questo diverso tipo di comic, cambiò soprattutto il modo di considerare e di leggere i fumetti, e in un certo senso cambiò la nostra vita. Perché imparavamo che i fumetti erano il mezzo più veloce e incisivo di veicolare messaggi molto diversi, convogliare il dissenso e la protesta, criticare e mettere alla berlina i potenti e fare politica - oltre che satira - proprio nel modo nuovo che anche noi stavamo sperimentando, fuori dai partiti, nell’oceanico e composito Movimento Studentesco. Un modo fantasioso di pensare fuori dagli schemi, di comunicare con immediatezza idee e opinioni.
E poi nelle pagine di Linus non c’erano solo fumetti, ma anche articoli di giovani autori che poi sono diventati famosi come Umberto Eco, Stefano Benni, Alessandro Baricco e moltissimi altri.
In quella rivista Oreste del Buono ( il direttore) e quella truppa di geniali matti che lo avevano fondato (la “formula” era di Giovanni Gandini), attraverso fumetti di grande qualità e raffinatezza,
ci faceva conoscere realtà politiche diverse, radunando su quelle pagine il meglio dei disegnatori e dei cartoonist di tutto il mondo.
Dall’America arrivava non solo Schulz e i suoi straordinari Peanuts, ma anche Doonesbury, che ci faceva conoscere un’altra faccia degli USA: quella colta, democratica, politically correct, che combatteva come noi europei contro la guerra del Viet-Nam; l’America della Berkeley University, della contestazione , che aveva la voce e la musica di Joan Baez e di Bob Dylan. E dall’America arrivava anche il raffinato Jules Feiffer, con la sua danzatrice folle, che volteggiava nelle sue strisce, fra incomunicabilità ed elucubrazioni psicanalitiche, portata dal vento e dalla pioggia.
E fra gli italiani imparavamo a conoscere Guido Crepax creatore della celeberrima Valentina, che esordì proprio sulle pagine di Linus, col suo segno così raffinato, un po’ decadente e le sue storie sempre intrise di magia e di erotismo. E come non amare l’avventuroso Corto Maltese di Hugo Pratt; Chiappori col suo uomo capovolto; Milo Manara con le sue burrose donnine; Andrea Pazienza così duro, amaro e spigoloso; Enzo Lunari e il suo Ghirighiz e Alan Ford di Bonvi. Per non dire dei disegnatori latino aericani come Mordillo e Quino con la sua straordinaria Mafalda. Dalla Francia arrivava Copi e la sua donna seduta che parlava con polli pieni di saggezza; Claire Bretécher con la sua pagina dei frustrati e le sue storie sul “bolotto occidentale”. E infine George Wolinsky così fastidiosamente trasgressivo, col suo tratto dissacrante e provocatorio, intriso di sesso e di sarcasmo.
E adesso è morto, ucciso in modo insensato dall’ignoranza, dalla stupidità, dal cieco fanatismo. Lui che con tutti quei disegnatori e intellettuali militanti ci aveva fatto crescere e capire. Lui che a 80 anni continuava la sua battaglia, ancora sulle barricate, mentre qui noi naufraghiamo nel marciume, nella corruzione, nel nulla, incapaci di reagire, di combattere, di difendere valori che ormai sembrano spariti nel fango di una politica vergognosa.
Ora non abbiamo più parole. Ma è necessario, essenziale ritrovarle dentro di noi, insieme alla voglia di combattere. E’ fondamentale ricordarci che avevamo ragione quando gridavamo sfidando l’establishment politico: “una risata vi seppellirà!!!!!”