Babbo Natale non abita più qui

di Barbara Fois - 24/12/2014
Quest’anno è inutile scrivere a Babbo Natale: non c’è più. E’ un’altra di quelle cose che un tempo facevano parte della nostra vita e che la crisi si è portata via.

Nel 2008 su diversi muri della Grecia apparve una variazione della anglosassone frase beneaugurale “Merry Christmas and a happy new year”, che diceva “Merry crisis and a happy new fear!” (buona crisi e felice nuova paura). Ormai però è uno slogan che appare sui muri di mezzo mondo e adesso il periodo dell’anno è anche quello giusto. Già. E non fa nemmeno più sorridere. La nuova grande paura è non solo della crisi economica che ha impoverito tutta la gente del mondo, a parte una piccola lobby di finanzieri, banche, signori della guerra e petrolieri, che seminando guerre e morte ovunque si sono arricchiti oltre ogni possibile immaginazione. La nuova paura è soprattutto quella di un futuro oscuro, squallido e senza speranza e non solo per le nuove generazioni. Basta guardarci intorno e anche con una sola occhiata possiamo constatare l’entità del danno.

Le strade piene di negozi di una volta ora sono invece piene di vetrine spente, dietro a cui c’erano solide ditte che sono fallite, hanno chiuso i battenti e hanno mandato a spasso il personale. Le fabbriche chiudono o si trasferiscono all’estero, dove la manodopera non è professionalmente formata, ma costa meno e le materie prime sono più scadenti, ma a buon prezzo. Il profitto è l’unica legge di questa triste epoca di degrado e corruzione.

Coì lo scandalo della cupola mafioso-politica-affaristica di Roma, quello dell’EXPO di Milano o del MOSE di Venezia ci hanno indignato ma non colto alla sprovvista. Le sentenze dell’Aquila o di Casale ci hanno scosso ma non sorpreso, la depenalizzazione del reato di omissione di soccorso ci ripugna ma non è inattesa: tutti questi accadimenti infatti sono solo tappe della discesa agli inferi che questo paese ha intrapreso da tempo, seguendo una classe politica immorale che fa solo ribrezzo e finge di rinnovarsi, ma in realtà ha soltanto l’obiettivo di perpetuarsi.

E tuttavia non dovremmo assecondare il fatalismo, dovremmo reagire in modo più netto, più incisivo di qualche articolo o di qualche manifestazione. Il fatto è che nulla riesce più a scuoterci davvero: siamo come la leggendaria ed emblematica rana nell’acqua calda che diviene progressivamente bollente: come lei siamo stati lessati senza nemmeno accorgercene, o magari ce ne siamo accorti ma non ci potevamo fare niente o quasi. Perché non credevamo più in nulla.

Siamo così abituati a vedere immagini splatter e drammatiche, a sentire storie ammannite da reality d’accatto, a vedere bambini malati sbattuti in primo piano in TV, con tanti saluti al rispetto della loro privacy, pur di chiedere soldi per organizzazioni di cui non si sa nulla, che il cinismo e l’incredulità è cresciuto in noi, insieme a una durezza di cuore mai vista prima. Tutto infatti sembra così irreale attraverso lo schermo, così falso e creato solo per fregarci ancora, ricorrendo al pietismo più vomitevole e insistendo sulle nostre donazioni, nemmeno una tantum, ma addirittura con scadenze mensili. Le organizzazioni che ci sfiancano, con l’insistenza e l’esibizione spudorate delle proprie piaghe - tipica dei mendicati dei romanzi picareschi - non si sa chi siano, chi ci sia dietro e come gestiscano i proventi di queste questue infinite.

Lo scetticismo ci ha reso sospettosi e diffidenti: troppa gente corrotta intorno a noi, troppe fregature prese in tante raccolte fondi mai giunte alle popolazioni terremotate o alluvionate a cui erano rivolte.

Poi magari impatti in una storia vera e allora resti basita e ti dici che tutto questo schifo che ci circonda è anche peggio di come appare. Ho ricevuto la telefonata di una mia carissima allieva: mi raccontava di aver perso il lavoro per via della crisi e di aver trovato come unica occupazione - dopo mille domande, colloqui e inutili test attitudinali – quella terribile del recupero crediti. Me lo confessava con vergogna e dolore, mi diceva degli insulti presi, delle cornette sbattute in faccia, ma anche della gente disperata che la supplicava per avere ancora un po’ di tempo, un po’ di respiro. Mi raccontava dei suoi ritorni a casa, la sera, sfinita e col morale a terra, ma nella impossibilità di licenziarsi: ha un bimbo piccolo e un mutuo da pagare.

L’ascoltavo con angoscia, frustrata dalla mia impotenza e dalla cosiderazione che la sua condizione di disagio e di dolore è la stessa di tanti giovani che non trovano lavoro, o quello che trovano non vorrebbero mai averlo trovato.

Davanti a queste storie, la rana lessata che c’è in noi ha un sussulto di ribellione, ma ormai siamo consapevoli di essere sprofondati fin troppo in fondo nella palude del marcio e forse siamo anche anestetizzati dalla generale, fatalistica apatia, da un “cupio dissolvi” senza ritorno. Il peggio è proprio questo: non avere più nessuna illusione sul futuro e nessuna fiducia nelle proprie possibilità di opporsi a quello che sembra un ineluttabile destino.

Poi improvvisamente ti imbatti in una notizia che rischiara la tua giornata e restituisce la speranza nella gente e nel futuro: risale al 3 dicembre scorso : “Non voleva che la sua azienda finisse nelle mani di qualche "estraneo". Ecco perché Leonardo Martini, imprenditore vicentino morto all'età di 72 anni, ha deciso di lasciarla in eredità ai suoi 25 dipendenti. Non aveva figli e dal 1967 gestiva la Dioma, ditta specializzata nella componentistica di plastica per l'industria automobilistica. I funerali sono stati celebrati in forma laica in uno dei capannoni di quella che fu la "sua" fabbrica.

E tu ti dici, rubando lo slogan di Obama “Yes we can!” , sì possiamo farcela! Possiamo riavere un futuro, una speranza. Ci sono ancora persone che hanno la capacità di sognare e di credere.

Ma solo due giorni dopo leggi “Leonardo Martini, fondatore della ditta di stampi in materiale plastico «Dioma srl» morto pochi giorni fa senza eredi diretti, non ha lasciato l’azienda ai dipendenti, come aveva detto loro, alla compagna e agli amici più stretti. A ereditare il pacchetto azionario è la sola Cristina De Rosso, entrata in azienda trent’anni fa come segretaria e divenuta nel tempo responsabile amministrativo e procuratrice della società. È stata convocata solo lei dal notaio, mercoledì pomeriggio, quando è emersa nero su bianco una volontà diversa da quella su cui amici e dipendenti avrebbero messo la mano sul fuoco. «Noi dipendenti Dioma siamo stati informati che il signor Leonardo Martini nelle sue volontà testamentarie ha lasciato l’intera responsabilità dell’azienda alla nostra collega e dipendente Cristina De Rosso, da oltre trent’anni responsabile amministrativo e finanziario, nonché procuratore della società », recita il comunicato diffuso ieri dal responsabile commerciale Manillo Clavena a nome delle maestranze.”

Ecco qui. Già, dovevamo saperlo: non esistono i miracoli. E’ per questo che Babbo Natale se ne è andato, ha dato forfet. E ci ha lasciato nella nostra bagna. Tanto, non ci credeva più nessuno in lui….

 

Natale 2014

E dunque che senso ha adesso farvi gli auguri di buon Natale? Forse nessuno.

Ma io per “cazzimma” come dicono a Napoli, o “ ppe’ ttigna” come dicono a Roma, non mi rassegno e non credo all’ineluttabilità del destino. E dunque “Buon Natale e felice anno nuovo!” cari amici e compagni, non rinunciamo senza combattere alle nostre aspirazioni.Crediamoci ancora nella nostra capacità di riscatto, nella nostra voglia di cambiare, crediamoci anche oltre la ragione e al di là del buon senso, perché noi siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni…

Merry crisis1 

 

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