C’era una volta…

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 09/02/2013
L’Italia della campagna elettorale non sembra un paese reale, ma uscito da un libro di favole amare: si raccontano solo frottole, menzogne, balle, promesse e inganni, fantasie sfrenate, incubi e sogni e a raccontarli sono personaggi surreali

C’era una volta… e purtroppo c’è ancora , un paese di smemorati, ingenui e creduloni, abitato dal popolo dei Cottolenghi, a cui un piccolo gruppo, la casta dei Furbacchioni, aveva sottratto il potere e raccontava loro, come fossero ancora bambini, una serie di favole per tenerli buoni e avere mano libera per sfruttarli e derubarli. Questo paese si chiamava Fantasitalia.

La casta dei Furbacchioni era formata da diversi gruppi, a capo dei quali c’erano dei personaggi molto noti e potenti, sempre in lizza fra loro. Spiccava fra tutti il Basso Mentitore, un bugiardo di professione più falso di tutti, un Pinocchio logorroico, un barone di Münchausen capace di sparare balle a raffica e di inventarsi storie incredibili, come un Gulliver fatto di crack. Gli piacevano le ragazzine giovani di cui si circondava e a parte queste e le menzogne, la caratteristica principale del suo programma elettorale era la sua irrealizzabilità, perché inventato di sana pianta e senza nessuno spunto realistico.

C’era poi un fantasista fallito detto il “Grullo” parlante, che si era inventato il ruolo di guru della setta degli “stellati”, un gruppo fideistico che faceva voto del silenzio e lasciava al loro guru di parlare e pensare per tutti loro. Il suo modo di comunicare era urlare insulti e invitare i terroristi a compiere stragi nel parlamento del suo paese. Non si capiva bene quale fosse il suo obiettivo reale, se non quello di compiere qualche vendetta personale.

Il capo di quelli di Mezzo era il signore di Loden, legato alla lega dei Danarosi e gran Maestro Spread degli Oscuri Numeri. Il suono della sua voce era terribile: faceva addormentare chiunque la udisse e questo anestetico era la sua potente arma segreta.

Il gruppo più numeroso era guidato dal gran Tacchino maculato, del popolo dei Bradipi, nella terra del Culatello. La sua caratteristica era l’indecisione ed era nota la sua passione per le foto di gruppo. Il suo alleato principale era il signore della Lisca, capo dei Sibilanti, conosciuto anche come L’uomo dall’orecchino di perla. Viveva nella terra del Tacco ed era nota la sua passione per la Natura.

Poi c’era il Biascicoso, capo dei Verdicchi Boccaloni, che credevano nel dio del Grande Fiume, si travestivano con elmi cornuti e combattevano contro tutto e tutti.

Il più nuovo contendente, aspirante a far parte della gran Casta dei Furbacchioni, era il Togato, a capo della schiera dei Legulei, a cui si erano aggiunti i superstiti dei Falcemartelli, un glorioso e antico gruppo, che praticava il suicidio di massa.

Tutte queste tribù periodicamente si riunivano in una gara a chi le spara più grosse e il giudizio era lasciato ai Cottolenghi, che dovevano esprimere il proprio parere attraverso un complesso sistema di votazione. Chi vinceva si prendeva il cosiddetto Grande Sperpero Pubblico e non doveva dar conto a nessuno di quello che faceva. Però, col tempo, il Basso Mentitore e la sua banda, che le sparavano più grosse di tutti e vincevano sempre, entusiasmando i Cottolenghi, si erano fatti fuori tutte le risorse e adesso questi ultimi erano stati costretti a consegnare all’ Ingiusto Erario, metà delle proprie sostanze, cadendo in povertà. Nonostante fosse un popolo profondamente stupido e credulone, anche i Cottolenghi cominciavano a irritarsi e pensavano di cambiare il capo del Grande Sperpero, ma la scelta non era facile.

Le balle dette erano troppe e davvero troppo grosse e ormai i Cottolenghi non riuscivano più a capire chi li avrebbe fregati meglio e non sapevano più a chi consegnare la palma del Primo Turlupinatore che avrebbe governato il paese a capo del Grande Sperpero Pubblico.

Come finisce questa favola? Difficile dirlo: è atipica rispetto a tutte le fiabe che si conoscono: non c’è un eroe e non c’è un antieroe, cioè un cattivo. Anzi: ce ne sono troppi, più o meno mascherati, e dunque chiunque vinca di loro abbiamo perso tutti. E’ una favola in nero, ma senza il fascino e l’eleganza del dark, senza mistero, senza passione.

Avrebbe più glamour e finezza una corsa di maiali al trogolo: ci sarebbe almeno una sorta di primordiale, rude, elementare e naturale innocenza. Ma non è così. Siamo a Fantasitalia, dove una comparsata ad un talk del mattino diventa un “legittimo impedimento” allo svolgimento di un processo: siamo all’assurdo, al surreale, alla follia.

Dunque sappiamo benissimo che è una storia che nasce male e non può finire bene, e che nonostante tutti i nostri tentativi per renderla almeno un po’ originale, rimane quella che è: una gara di menzogne e di avidità. Noi sappiamo benissimo che resteremo comunque delusi, qualsiasi cosa accada, ma facciamo finta di credere che qualche cosa finalmente cambierà e che la notte finirà per dare il passo all’alba. Fingiamo di stare al gioco, ma senza più illusioni. E questa è veramente la fine della storia.

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