Sono 35 anni ad oggi che il corpo di Moro fu ritrovato in una Renault 4 rossa, dopo 55 giorni di prigionia. Un periodo in cui non fu tentato nulla per liberarlo. In genere infatti in queste circostanze o si tratta per la vita dell’ostaggio o si compie un atto di forza per liberarlo. In quei 55 giorni invece non si fece nulla di nulla. A parte dire in tutte le salse che non si sarebbe aperta nessuna trattativa. Perché? Perché la DC aveva bisogno di un agnello sacrificale: perdeva voti e si era alle porte delle elezioni, che si preannunciavano disastrose. Come nel libro di Sciascia “Todo modo”.
C’erano poi i servizi segreti americani e soprattutto Kissinger, che vedeva di malocchio un dialogo coi comunisti e che aveva già minacciato Moro più volte per il suo atteggiamento di apertura alla sinistra italiana. E c’erano quelli italiani e dietro a loro forze oscure della destra più incoercibile e quella parte più corrotta della Massoneria.E chissà chi altri… Aveva molti nemici il povero Moro, troppi per un uomo solo e così poco potente. Era la vittima perfetta.
Se ne accorse anche lui in quei lunghissimi, angosciosi 55 giorni, chiuso in un budello senz’aria, pressato dagli interrogatori, angosciato di non ricevere risposta dai suoi compagni di partito. E così cominciò a scrivere e scrisse e scrisse: lettere, pensieri, considerazioni, che formano un “memoriale”, una sorta di zibaldone che è lo specchio non solo della DC, ma della politica italiana di quel periodo.
Moro un po’ prega, un po’ minaccia, ma soprattutto si appella al buonsenso e all’umanità dei potenti, quegli stessi suoi “amici” che solo poco tempo prima ha difeso con orgogliosa baldanza “Noi non ci faremo processare nelle piazze!”… ma lui – ironia del destino – finisce processato in un oscuro covo di sedicenti Brigate Rosse.
In realtà, infatti, chi siano e cosa ci sia dietro questo sequestro è ancora immerso nel buio più fitto, come del resto troppi misteri italiani. Ma certo c’erano due persone che ne conoscevano ogni retroscena e che ormai sono morti entrambi, portandosi dietro la verità: Francesco Cossiga, allora ministro dell’Interno e Giulio Andreotti, presidente del Consiglio.
Nelle sue lettere ai suoi compagni di partito, come dicevamo, Moro un po’ prega e un po’ minaccia, ma è consapevole di essere disarmato e che le sue più o meno velate minacce di rivelare chissà che segreti, non possono preoccuparli più di tanto. A loro basterà dire che in realtà non è lui che scrive, ma un uomo plagiato e costretto dai suoi carcerieri a dire cose insensate. E infatti questa è la linea di difesa della DC. Abbandonano Moro al suo destino e si preoccupano solo della figura che possono fare loro. Aggiustano la verità, come hanno sempre fatto.
Scalfaro ricordò a suo tempo di aver detto a Zaccagnini, allora segretario della DC “ Ma se ci fossi tu al suo posto, lui che farebbe? Tratterebbe?” e Zaccagnini risponde solo col silenzio. Certo, perché sa che Moro avrebbe trattato, lui, il grande mediatore, lo avrebbe fatto senz’altro e sarebbe arrivato certamente ad un accordo. Ma gli altri? Gli altri come Piccoli si lasciano scappare frasi come “Se torna per noi son dolori!!”, mentre c’è chi afferma convinto “Che torni a casa o lo uccidano, comunque politicamente è già morto.” Insomma, la DC, il suo partito, che lui ha difeso sempre con passione, si dimostra quello che è sempre stato: un partito di ometti, cinici e spregiudicati, corrotti e vili. Non valeva la pena di finire così per difenderli!
Questa è la consapevole amarezza del leader prigioniero e scriverà nel suo memoriale pagine di fuoco sui suoi compagni di partito. Soprattutto in una lettera amara e tagliente, nella quale passa in rassegna i propri compagni di partito e analizza il loro atteggiamento nei suoi confronti, per poi annunciare le proprie dimissioni irrevocabili dalla DC.
Le parole sono graffianti, la
descrizione dei personaggi precisa, calzante, brutale, veritiera:
“Andreotti è restato indifferente, livido, assente, chiuso nel
suo cupo sogno di gloria. Se quella era la legge, anche se l’umanità
poteva giocare a mio favore, anche se qualche vecchio detenuto
provato dal carcere sarebbe potuto andare all'estero, rendendosi
inoffensivo, doveva mandare avanti il suo disegno reazionario, non
deludere i comunisti, non deludere i tedeschi e chi sa quant'altro
ancora. Che significava in presenza di tutto questo il dolore
insanabile di una vecchia sposa, lo sfascio di una famiglia, la
reazione, una volta passate le elezioni, irresistibile della D.C.?
Che significava tutto questo per Andreotti, una volta conquistato il
potere per fare il male come sempre ha fatto il male nella sua vita?
Tutto questo non significava niente. Bastava che Berlinguer stesse al
gioco con incredibile leggerezza. Andreotti sarebbe stato il padrone
della D.C., anzi padrone della vita e della morte di democristiani e
no, con la pallida ombra di Zaccagnini, dolente senza dolore,
preoccupato senza preoccupazione, appassionato senza passione, il
peggiore segretario che abbia avuto la D.C.
Non parlo delle figure
di contorno che non meritano l'onore della citazione…….
Tornando poi a Lei, On. Andreotti, per nostra
disgrazia e per disgrazia del Paese (che non tarderà ad
accorgersene) a capo del Governo, non è mia intenzione rievocare la
grigia carriera. Non è questa una colpa. Si può essere grigi, ma
onesti; grigi, ma buoni; grigi, ma pieni di fervore. Ebbene, On.
Andreotti, è proprio questo che Le manca. Lei ha potuto
disinvoltamente navigare tra Zaccagnini e Fanfani, imitando un De
Gasperi inimitabile che è a milioni di anni luce lontano da Lei. Ma
Le manca proprio il fervore umano. Le manca quell'insieme di bontà,
saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi
democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è di questi.
Durerà un po' più, un po' meno, ma passerà senza
lasciare traccia. Non Le basterà la cortesia diplomatica
del Presidente Carter, che Le dà (si vede che se ne intende poco)
tutti i successi del trentennio democristiano, per passare alla
storia. Passerà alla triste cronaca,
soprattutto ora, che Le si addice……” Mai parole furono più
profetiche.
Dal buio della prigione Moro alza il suo grido, violento come un anatema “Il mio sangue ricadrà su di voi!”, che ha il sapore apocalittico e spaventoso della maledizione del vecchio Achab contro Moby Dick: “Dal cuore dell’inferno io ti trafiggo, in nome dell’odio sputo il mio ultimo respiro su di te, maledetto mostro!” . Ognuno ha la sua “Balena Bianca”.
Barbara Fois
Per approfondimenti sul Caso Moro vedi:
http://www.carovanaperlacostituzione.it/menunew/inchiestamoro/fois80330