Passata la prima ondata di emozione ora, a mente fredda, cominciano a spuntare i “distinguo”, da una parte e dall’altra dei “popoli del Libro”, fra musulmani, cristiani ed ebrei. Fra religiosi e laici, fra credenti e atei, fra integralisti e illuministi.
C’è chi comincia anche a prendere le distanze dalla redazione di Charlie Hebdo. Lo ha fatto certamente David Brooks nel suo editoriale sul New York Times, che titola il suo polemico articolo di fondo “I’am not Charlie Hebdo” e scrive “I giornalisti di Charlie Hebdo sono celebrati come dei martiri della libertà di opinione, ma analizziamo meglio la questione: se avessero cercato di pubblicare il loro giornale satirico in qualsiasi università americana nelle ultime due decadi sarebbero durati 30 secondi. Gli studenti e le facoltà li avrebbero accusati di incitamento all'odio". Come se il giornale francese fosse un qualsiasi foglio goliardico. E continua "Mentre siamo mortificati per il massacro dei giornalisti e del direttore avvenuto a Parigi, è il momento per avanzare un approccio meno ipocrita nei confronti delle nostre figure più controverse, dei provocatori e degli autori di satira…Crescendo impariamo ad aprire le conversazioni ascoltando e non insultando".
Il suo perbenismo quacchero, tipico della società americana, non è una eccezione: infatti nessun giornale o canale televisivo USA ha pubblicato le vignette del Charlie Hebdo. Sarà forse perché la componente musulmana nella società americana è consistente e coincide in gran parte con la comunità afro-americana, sempre sul filo di una rivolta ed è certo che, pubblicando alcune vignette del Charlie Hebdo, le possibilità di sollevare proteste e rivolte sono piuttosto alte.
Veramente però, a guardare le vignette pubblicate dal Charlie Hebdo, scopriamo che il bersaglio non è solo la religione musulmana, ma anche quella cristiana e quella ebrea, in parti uguali. Maometto è preso in giro tanto quanto Gesù e quanto lo stesso Dio. Ma nessuno degli altri credenti ha pensato di andare a sparare ai vignettisti.
(Al cesso tutte le religioni)
Se ci sono infiniti siti sul web #Je suis Charlie, c’è anche chi ha creato #JeSuisAhmed in nome del poliziotto musulmano barbaramente ucciso con un colpo di grazia davanti alla redazione del Charlie Hebdo e su cui è scritto “Io non sono Charlie. Io sono Ahmed, il poliziotto morto. Charlie Hebdo metteva in ridicolo la mia fede e la mia cultura e io sono morto per difendere il suo diritto di farlo". Impeccabile ragionamento, degno di Voltaire.
Ma poi continuando a leggere fra le pieghe di internet, entriamo nelle sabbie mobili delle posizioni più disparate: c’è chi si chiede “ Al di là della ovvia condanna della strage, mi domando: ma era proprio necessario prendere in giro i musulmani e la loro fede?Ha un senso provocarli così, sapendo quanto sono suscettibili? Che cosa se ne ricava se non chiuderli ancora di più nel loro ottuso fanatismo?”.
Ma c’ è anche la reazione opposta, quella viscerale dell’assessore ( del Centro sinistra!) alla cultura e alle politiche giovanili di Bonorva ( un paesino sardo in provincia di Sassari) che scrive su facebook “Voglio che questo post sia chiaro: non accetto richieste d'amicizia da parte di musulmani. Per quanto mi riguarda, e vista l'emergenza di questi anni circa il vostro "popolo" potete morire ammazzati tutti. Compresi i bambini». E continua rabbiosa “ Siete feccia che prolifera in nome di un dio che ignorate essere come quello degli altri esseri umani. Venite a farci la guerra a casa? Spero solo che il mondo vi elimini come Hitler, per errore, ha sterminato i poveri ebrei. Voi avreste dovuto subire l'olocausto. E gradirei anche che nessuno commentasse.” Naturalmente a nulla sono valse le sue scuse postume e le sue dimissioni: la bufera politica e istituzionale non ha ancora perso il suo vigore.
Altre minacce arrivano sul web con un video e un post su Twitter da parte di un gruppo di hacker chiamato Anonymous. L’uomo nel video ha sul viso la maschera di Guy Fawkes e il suo messaggio è rivolto ad Al Qaida, allo Stato Islamico e a tutti i terroristi musulmani e dice: "terroristi, vi dichiariamo guerra", aggiungendo che Anonymous rintraccerà e chiuderà tutti gli account sui social network collegati ai gruppi terroristici, per vendicare quanti sono stati uccisi nella strage. Intanto su Twitter centinaia di utenti in tutto il mondo rilanciano l'hashtag #OpCharlieHebdo.
Ma non si può fare di ogni erba un fascio: chiamati in causa senza colpa, i musulmani benpensanti si sentono feriti e doppiamente colpiti, guardati con sospetto dal resto del mondo e ricattati dagli integralisti che li chiamano traditori. Dei vignettisti musulmani hanno fatto a nostro avviso delle bellissime vignette che illustrano questa situazione e nel contempo onorano i colleghi del Charlie Hebdo:
Ma c’è chi ha insinuato che non ci sia raffigurata altro che pietà per sé stessi – diventati oggetto di odio – piuttosto che pietà per i morti. Il motivo di questa interpretazione è chiaro: fra di noi e dentro ciascuno di noi, e nemmeno poi tanto in fondo, c’è un antico odio mai sopito, una diffidenza sempre rinnovata, un desiderio di schiacciare il diverso, che concorrono a creare un clima di violenza, come un fremito di bollore sotto il pelo dell’acqua. E ci vuol poco a farlo uscire allo scoperto, ma a far zampillare l’ostilità e l’intolleranza non sono solo gli integralisti islamici, ma anche quelli cristiani ed ebrei. Come sempre.
E adesso – come non bastasse – crescono le retrologie, le ipotesi di complotto, coloro che dicono “ma dietro questa violenza chi ci sarà, cosa si vuol raggiungere?” e chi commenta che sarà come sempre una guerra fra poveri, voluta dai potenti… E di potenti ce n’erano un bel po’ ieri a Parigi: capi di stato da tutto il mondo, dall’israeliano Benjamin Netanyahu al presidente palestinese Abu Mazen, al re di Giordania Abdullah II con sua moglie, oltre ai soliti capi europei, oltre a milioni di persone. Ma c’erano anche i dittatori africani e questo a molti fuoriusciti di quei paesi ha dato giustamente abbastanza fastidio. Invece Putin non si è visto, eppure lui di libertà di stampa ne sa abbastanza: come dimenticare l’assassinio della giornalista Anna Politkoskaja – rea di essersi occupata degli orrori perpetrati dai russi durante la guerra di repressione e l’occupazione della Cecenia – e il massacro di Stanislav Markelov, un giovane avvocato idealista, e di Anastasia Baburova, giovanissima giornalista, praticante del giornale Novaja Gazeta, il bisettimanale per cui scriveva anche la Politkoskaja. La libertà di parola, infatti, non dispiace solo ai terroristi islamici. In realtà non piace mai al potere. Come la satira. Alla quale, per sua stessa natura, non possiamo chiedere che sia soft, rispettosa, politically correct. La satira deve essere e fare quello per cui è nata: pungere, “friggere”, pizzicare, ferire fino ad essere corrosiva, fastidiosa, qualche volta fino alla volgarità, sopra le righe, tagliente e scomoda. E’ da circa tremila anni che ha queste caratteristiche e questi fini: i terroristi debbono rassegnarsi. E non solo loro…
Non abbiamo dubbi che la satira vada preservata e difesa così com’è, ne abbiamo invece su questa vicenda dei giornalisti e vignettisti massacrati da un commando di terroristi dilettanti. Più ci pensiamo e più ci pare confusa, torbida e sopra le righe.
Intanto non è chiaro chi ci sarebbe dietro i terroristi dell’attacco al Charlie Hebdo, sia a quello al market Kacher: al Qaeda? L’Isis? Da quello che dice Coulibaly, uno dei terroristi (quello nel market ebraico), in un video postumo, dietro ci sarebbe l’Isis. Ma il motivo della scelta di questo obiettivo rimane oscuro, non è spiegato e non c’entra nulla con un giornale di satira politica. L’uomo nel video farfuglia sulle colpe dell’occidente ( che ci sono, inutile negarlo), ma il suo discorso è vago "Mi rivolgo al califfo dei musulmani Abu Bakr al-Baghdadi, califfo Ibrahim", esordisce Coulibaly che poi giustifica gli attentati come "rappresaglia" per gli attacchi contro il califfato. Contro il califfato?? E che c’entra l’attacco a un market kacher col califfo?
I due fratelli terroristi Kouachi, autori del massacro al Charlie Hebdo, dopo aver ucciso 12 persone non avevano nemmeno un piano per fuggire e scomparire, tanto che sono morti come topi in trappola. Eppure dicevano di essere finanziati da al-Qaeda dello Yemen. Un finanziamento molto contenuto, da tempi di crisi, direi.
E comunque secondo Coulibaly lui e i due fratelli i arebbero “coordinati”. Ma che caspita vuol dire? Coordinati a far cosa? A noi pare che questi due atti non si colleghino fra loro, che non ci sia una strategia comune, un obiettivo preciso, ma piuttosto sembrano solo il frutto di uno spontaneistico, insensato fai-da-te da dilettanti, senza alcuna preparazione né militare, né strategica.
La rivendicazione di al-Qaeda arrivata con un video su Youtube di uno dei suoi responsabili Harith bin Ghazi al-Nadhari non ha chiarito il nesso fra i due fatti terroristici. Secondo al-Qaeda la Francia “smetta di attaccare l’Islam, i suoi simboli e i musulmani o ci saranno nuove operazioni terroristiche”, dice nel videomessaggio. “Alcuni dei figli di Francia sono stati irrispettosi con i profeti di Allah, e quindi un gruppo tra i soldati di Allah ha marciato contro di loro, a cui hanno insegnato il rispetto e i limiti della libertà di espressione. I soldati che amano Allah e i suoi messaggeri sono arrivati a voi, e loro non hanno paura della morte ma adorano il martirio per la causa di Allah”.
Dopo questo messaggio senza mordente e poco convincente tutti i grandi del mondo si riuniscono a Parigi per una colossale manifestazione di forza… ma verso chi?Verso gli sproloqui di al-Qaeda? Come fosse la prima volta! E come mai si svegliano ora, dopo che dal giorno precedente circolavano voci su un possibile attentato?C’è qualcosa di eccessivo, qualcosa che lascia perplessi, una reazione sproporzionata ( e per favore nessuno pensi che sto sottovalutando l’importanza di quei poveri morti!!), ma abbiamo visto tragedie altrettanto grandi se non di più, senza tutto questo spiegamento di forze, a livello internazionale. Perfino l’11 settembre 2001 non ha visto a New York raduni di capi di stato del genere, a livello internazionale.
Ma forse allora la classe politica non era così scaduta, non era così distante dalla gente, così disprezzata. Ieri tutti quei potenti riuniti sembravano più che altro un gruppo di reduci. Si stringevano gli uni agli altri con aria smarrita e timorosa e hanno marciato per pochi metri, dopo di che si sono dispersi e sono spariti. Ma che caspita di senso aveva una presenza del genere? Ha marcato ancora di più la differenza fra la loro inconsistenza e la determinazione e il coraggio della gente comune, che è scesa in piazza coi propri figli, dimostrando così non solo di non avere paura, ma di essere pronta a difendere il proprio mondo, il proprio modo di pensare e di vivere.
Forse i potenti pensavano di doverci essere per non rischiare di perdere anche quel barlume di credibilità che gli resta, per mostrarsi vicini alla gente, alla loro rabbia, alla determinazione e al desiderio di riaffermare la propria identità, il proprio passato, la propria cultura. Ma a noi è rimasto il dubbio che si siano radunati non contro i terroristi, ma perché non volevano restare soli dall’altra parte del muro di disprezzo, soli senza più una identità, un seguito, un credito. Marciavano sottobraccio, in parata, salutando la folla con aria fintamente amichevole, soltanto per sé stessi.
Barbara Fois