Pasolini: una morte piena di dubbi

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 03/03/2016
Dopo 40 anni dal suo assassinio, la Procura chiude l’inchiesta, ma ci sono ancora troppi dubbi e sul web circola una petizione per riaprire le indagini

Il 5 marzo prossimo sarebbe stato il compleanno di Pier Paolo Pasolini: avrebbe compiuto 94 anni, era nato infatti nel 1922 a Bologna. Ma è stato ucciso 40 anni fa,  in un luogo squallido e degradato: all’Idroscalo, nel lungo mare di Ostia. Una morte violenta che ha lasciato dietro di sé troppi dubbi, che qualche anno fa sono stati confermati dalla testimonianza tardiva del suo presunto assassino: Pino Pelosi, allora minorenne. Dopo aver scontato a suo tempo tutta la pena, nel 2005 il Pelosi si decise a confessare una verità sorprendente: non era stato lui ad aggredire e uccidere lo scrittore, ma almeno cinque persone che avevano picchiato anche lui, minacciando rappresaglie contro i suoi genitori. Così lui si era fatto tutti gli anni della condanna in carcere zitto zitto, aggrappato a una versione dei fatti che screditava Pasolini. Anche dopo la sua scarcerazione aveva taciuto. Solo nel 2005, dopo la morte dei suoi genitori e di due degli aggressori, si era deciso a parlare: ormai non c’era più motivo di tacere.

Dopo la ritrattazione di Pelosi il Comune di Roma, con Veltroni sindaco e Borgna assessore alla Cultura, si è costituito parte offesa. Ma la Procura non ha ritenuto necessarie nuove indagini. C'è stato un appello lanciato dalla rivista 'Il primo amore' (n. 1, 2006) per chiedere la riapertura del processo, firmato da un migliaio di persone in Italia e all'estero, e presentato al presidente della Repubblica. E nel 2009 una nuova istanza è stata depositata alla Procura di Roma dall'avvocato Stefano Maccioni e dalla criminologa Simona Ruffini.
Sono emerse anche altre testimonianze a suo tempo trascurate dagli inquirenti. Sono venute allo scoperto le negligenze e le coperture che hanno accompagnato fin dall'inizio tutta la vicenda. Molti le hanno raccontate: Gianni Borgna e Carlo Lucarelli nel saggio 'Così morì Pier Paolo Pasolini' ('Micromega' n. 6, 2005); Gianni D'Elia in 'L'eresia di Pasolini' e 'Il petrolio delle stragi' (Effigie, 2005 e 2006); Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in 'Profondo nero' (Chiare lettere, 2008).

L’inchiesta è ripresa, ma poi l’anno scorso il giudice ha deciso di chiuderla definitivamente: proprio adesso che cominciavano a uscire testimonianze interessanti, mai sentite prime e inoltre ora ci sono altri esami, impensabili nel 1975 e questi esami hanno evidenziato  almeno cinque diverse tracce di DNA sui vestiti di Pasolini e non sono di Pino Pelosi, detto “la rana” per via degli occhi abbottati. Così Change.org ha fatto girare una petizione per riaprire il caso. L’ho firmata anch’io e spero lo facciate anche voi, perché è giusto che finalmente si sappia la verità.

 Ma fino ad ora cosa sappiamo di sicuro? Ho ripreso il caso dall’inizio e ho cominciato a leggere e a sentire le testimonianze trovate sul web ( in fondo vi allego i link ) e con sorpresa e sgomento ho scoperto aspetti della vicenda, connessioni, collusioni, coincidenze incredibili, silenzi e omertà davvero sconcertanti. Cominciamo dal principio.

 

Una notte di violenza

Sulla morte di Pasolini esiste una ricostruzione ufficiale, che parla di una rissa di natura sessuale tra due persone e di cui ci si è accontentati per anni. Si voleva ridurre quella morte a un “affare de froci”, come fu volgarmente detto all’epoca. Si voleva screditare uno scrittore, poeta e regista, ma soprattutto un uomo di sinistra, un comunista, impegnato politicamente in una battaglia contro i poteri occulti, che pesantemente in quegli anni cercavano di condizionare la politica e l’economia del nostro paese. Lui era l’unico a parlarne a viso aperto, ad accusare con forza, a minacciare. Un articolo in modo particolare fa venire i brividi: uscì sul Corriere della Sera il 14 novembre del 1974, esattamente un anno prima del suo omicidio. Si intitolava “Cos’è questo golpe?Io so” Ne cito qui qualche brano memorabile.

“Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista)…Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero……
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi….”

Vale davvero la pena di leggerlo tutto questo pezzo e dopo averlo letto ci si chiederà come mai non si è capita la portata di quella sfida, di quella provocazione, che già da sola era un evidente movente per una aggressione, altro che una storia “de froci”! Eppure si sono dette incredibili corbellerie: molti letterati ci hanno ricamato su: la "morte poetica" di Pasolini, il suo "capolavoro"! Una morte "sacrificale", persino "cercata". Giuseppe Zigaina, amico di Pasolini, ha scritto per Marsilio ben cinque libri, in cui sostiene che lo scrittore avrebbe "organizzato" la propria morte per "entrare nel mito". Una vera fiera delle assurdità, ma che è servita splendidamente da copertura, per sviare le indagini e  celare un altro tipo di delitto. Soprattutto la matrice politica di quella aggressione: quella  fascista. Quella mattina, dopo il ritrovamento del corpo, Oriana Fallaci telefonò ad Antonio Padellaro, che allora era cronista del Corriere della sera e gli intimò di scrivere un pezzo mettendo nel titolo che gli autori erano fascisti. E’ lo stesso Padellaro a ricordare la telefonata “Sono Oriana Fallaci. Padellaro, ascolta bene: Pasolini è stato ucciso dai fascisti. DAI FASCISTI, devi scriverlo”. Ma lui non lo fece e spiega anche perché  “In quelle ore non avevamo alcun elemento di fatto per scrivere che Pier Paolo Pasolini era stato vittima di un agguato fascista, ma solo il sesto senso della Fallaci che virgolettai fedelmente. Non mi cercò più.”

 In effetti allora di piste fasciste non si parlava proprio, anzi eravamo più che mai nello stadio in cui si parlava solo delle tendenze sessuali del ricco e famoso regista che circuiva  minorenni di borgata: una dimensione eticamente riprovevole e contraria non solo alle cose che diceva, ma anche alle sue scelte politiche: un comunista che si approfitta di un ragazzino minorenne, ignorante, povero, che vive in una dimensione socialmente disagiata: che c’era di più indecente, di più dissacrante?

Padellaro, ricordando le reazioni della gente quella mattina all’Idroscalo scrive: “… un tizio con un grosso cane al guinzaglio distillava massime di vita: “Se scherzi cor foco prima o poi t’abbruci”. La tesi dell’intellettuale communista e frocio che aveva avuto il benservito circolava già indiscutibile. Qualche passo oltre alcuni ragazzotti con i rayban d’ordinanza osservavano e ridacchiavano.

Per non prendere buchi cercavo di origliare i commenti dei cronisti di nera del Messaggero, del Tempo, di Paese Sera, vecchi lupi di mare che facevano capannello. Uno lo conoscevo, divideva i moventi dei delitti di sangue in due categorie dello spirito: robba de pelo e robba de culo. Non poteva avere dubbi. Tornato in redazione, trovai montagne di agenzie. A uccidere Pasolini era stato un giovane prostituto, Pino Pelosi, fermato dalla polizia a bordo dell’Alfa rubata. Aveva reso piena confessione. Un rapporto omosessuale finito male. Tutto chiaro. Caso chiuso.

Invece non era chiaro quasi nulla. E non mi riferisco alle successive ritrattazioni di Pelosi e alle contro inchieste condotte dagli amici del poeta con l’aiuto di esperti e avvocati: un puzzle delle tante omissioni e menzogne, ricostruito nel 1995 da Marco Tullio Giordana nel film “Pasolini un delitto italiano”. Anche a me cronista per caso, sembrava tutto strano. Il ritrovamento di Pasolini che risale alle sei e trenta del mattino ma i primi giornalisti che arrivano quando il corpo è stato portato via da ore. La scena del delitto violata e inservibile.

La tesi dell’omicidio a sfondo sessuale, subito proclamata dagli inquirenti senza se e senza ma. Fu davvero un agguato fascista come disse Oriana Fallaci? Dopo tanti anni, l’ipotesi più realistica ma non dimostrabile in sede giudiziaria (“Io so. Ma non ho le prove”) collega l’eliminazione dell’intellettuale più odiato dai poteri marci che assediavano il Paese (la P2, le trame nere) a qualcosa di più oscuro e complesso di una lite con un marchettaro. In quell’epoca, dare la colpa ai fascisti era in fondo una semplificazione quasi apodittica. Per lei che allora era la compagna di Alexandros Panagulis, imprigionato e torturato dai colonnelli greci non era facile liberarsi dall’angoscia dell’uomo nero….”

Ma forse la Fallaci non solo conosceva bene i fascisti e le loro trame, ma aveva saputo leggere meglio di altri quello che c’era negli articoli di Pasolini.

I giudici, dopo il massacro di Pasolini, nella loro sentenza si accodarono all’idea che circolava ormai e cioè che alla base di quella morte tremenda ci fosse una lite finita in dramma per prestazioni sessuali che Pasolini esigeva e "Pino la rana" non voleva concedergli. Era la spiegazione più comoda, più banale, più ovvia e più condivisa. E così riconfermò la sentenza della Corte di Cassazione, tre anni e mezzo dopo i fatti. Tutto chiaro, allora. Pasolini è rimasto vittima dei suoi vizi e della sue turpi manie. E tuttavia non si capisce perché nella sentenza oltre alla condanna del Pelosi siano citati ignoti complici, lasciando aperte così molte domande.

E c’è infatti chi non si arrende e continua a combattere contro quella tesi di comodo, che è piena di buchi: il corpo di Pasolini è massacrato, in un modo così tremendo che non si può credere che sia opera di un ragazzino magrolino di 17 anni: 10 costole rotte, il cuore scoppiato, la faccia sfigurata da colpi incredibili, le braccia e le gambe devastate da echimosi spaventose: il corpo è coperto da sangue raggrumato. Ma come mai con tutto quel sangue il Pelosi ha addosso solo due macchioline: una sul polsino della camicia, una sulla punta di una scarpa?

Pasolini corpo

E poi c’è chi ha visto tutto: un pescatore che dormiva in una baracca, che ha visto un’altra macchina e una moto: i picchiatori tirar fuori dalla sua macchina il povero Pasolini e massacrarlo di botte alla luce dei fari della loro macchina, mentre lui gridava e chiamava sua madre, nel dolore e nella paura. Perchè i giudici non ascoltarono questi testimoni? Perché non ascoltarono i fratelli Citti, perché allora non venne fuori il fatto che qualcuno aveva rubato le pizze del film “Salò” che Pasolini aveva appena finito di girare e che lui quella sera aveva un appuntamento con chi gliele doveva restituire? Perché lui avrebbe dovuto andare fino all’Idroscalo di Ostia per avere un rapporto col Pelosi? Un posto che lui non conosceva e non frequentava? Il fatto è che si trattava semplicemente di un agguato. Pelosi lo ha portato lì ed è rimasto a guardare mentre lo massacravano. E ancora oggi non parla e non dice niente di sostanziale sugli assassini, ma soprattutto sui mandanti. Ha ancora paura? E’ possibile, ma non è una vittima come vuol far credere. E’ un complice. E lo suggerisce la curiosa combinazione che il nipote di uno dei  testimoni del massacro dell’Idroscalo, certo Silvetti (?),  a cui lo zio ha raccontato tutto ed è pronto a testimoniare, ha un incidente di macchina e muore. Ma la coincidenza più inquietante è che al volante della macchina c’è proprio lui, Pino Pelosi. Così come è un’altra  coincidenza che “la rana” citi fra i massacratori di Pasolini solo i fratelli Borsellino, fascisti del MSI, che guarda caso sono morti, ma degli altri – ancora vivi – non  parli e dica che non li conosce. Il capo della spedizione è ancora vivo e lo sono evidentemente anche i mandanti. Pelosi dice solo qualcosa, ma non dirà mai la verità tutta intera, un po’ perché il suo ruolo nella vicenda è così basso che lui non conosce i vertici, i nomi dei veri mandanti, ma solo quelli dei loro sgherri, e un po’ perché continua ad aver paura e dire solo qualcosa, non cose importanti, ma dette in modo da tener sulla corda i complici,  senza tuttavia giocarseli, perché questa è la sua assicurazione sulla vita.

Lo scrittore Fulvio Abbate collegava gli assassini alla famosa banda criminale della Magliana, che operava nella periferia del litorale romano. Per questo il Pelosi ancora oggi ha tanta paura?

 Adesso, solo adesso scagiona Pasolini e dice che ha mentito perché gli è stato imposto, anche in carcere, di dire le cose che ha detto, ma che in realtà Pasolini non gli ha mai fatto niente di male e che era una persona gentile e buona. Adesso lo dice!

Ma forse non c’è bisogno che ce lo dica lui chi erano i mandanti, perché ci possiamo arrivare anche noi: dietro al suo assassinio c’è la gente che ha ucciso Enrico Mattei e fatto sparire De Mauro. E forse Pasolini aveva superata la fase del “io so, ma non ho le prove” e stava raccontando quello che sapeva e che aveva ricostruito, in un romanzo dal titolo emblematico: Petrolio.

 

Un mistero nel mistero: Petrolio, il romanzo postumo

 

David Grieco, ex giornalista dell’Unità, era amico di Pasolini e sul libro che il regista stava scrivendo ebbe con lui uno scambio di idee, che riportò in un articolo: “ Il libro è misterioso perché lui stesso sembra non sapere ancora che specie di libro sia. Dice che non è un romanzo, e neppure un saggio. Sa soltanto che sarà lunghissimo, migliaia di pagine, e non ha idea di quando riuscirà a finirlo. «Ma che libro è?» gli chiedo. «Si intitola Petrolio» mi risponde. «Perché Petrolio?» lo incalzo. «Perché il petrolio ormai è più importante dell’acqua. Senza il petrolio, a quanto pare, non possiamo più vivere» dice lui. «Di cosa parla questo libro?» insisto io. «Parla di Cefis» si limita a dire lui. «Cefis? Eugenio Cefis? Quello dell’Eni, della Montedison?» gli chiedo ancora. «Proprio lui» aggiunge alzandosi e troncando la conversazione. Ho provato a saperne di più, ma è andata male.”

 Lo stesso Pasolini dirà a Luisella Re durante l’intervista del 1 gennaio 1975:

“Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio

parlarne, però: basti sapere che è una specie di ‘summa’ di tutte le mie esperienze, di tutte

le mie memorie.”

Su questo romanzo e sulle vicende incredibili che ci stanno intorno e su una profezia spaventosa raccontata nelle sue pagine, cito volentieri alcuni brani di una inchiesta di Carla Benedetti, uscita sull’Espresso del 29 marzo 2010.

Petrolio” uscì postumo da Einaudi nel 1992, 17 anni dopo l'omicidio, un ritardo solo in parte giustificato dall'incompiutezza del manoscritto. A curarne l'edizione furono Graziella Chiarcossi (erede di Pasolini, e moglie dello scrittore Vincenzo Cerami), Maria Careri e Aurelio Roncaglia. Secondo la Chiarcossi (intervistata da Paolo Mauri su 'Repubblica' del 31 dicembre 2005) Pasolini ha lasciato in bianco quel capitolo. Eppure in una pagina di 'Petrolio' quel capitolo viene richiamato come se fosse già scritto: "Per quanto riguarda le imprese antifasciste (.) della formazione partigiana guidata da Bonocore (Enrico Mattei, nella finzione del romanzo) ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato 'Lampi sull'Eni', e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria" (p. 97). Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini, intervistato il 5 marzo su 'il Giornale' e 'l'Avvenire', ribadisce la negazione: "Per quanto ne so, non esiste alcun capitolo scomparso di 'Petrolio', con risvolti inquietanti sull'Eni". Eppure della scomparsa di quel capitolo si sospetta da tempo, anche perché, stando alle dichiarazioni di Pasolini, 'Petrolio' avrebbe dovuto essere molto più lungo di quello che ora abbiamo. Ma quel che stupisce è la frettolosità, anche da parte di alcuni giornali, nel negare che questo inedito possa esistere, e nell'irridere chi chiede spiegazioni.
Mentre la convinzione che il capitolo esiste si fa strada tra molti (anche il curatore dell'esposizione pasoliniana alla Mostra, Alessandro Noceti, su 'il Giornale' del 4 marzo dice che quelle pagine "erano all'interno di una cassa. La cassa apparteneva ad un Istituto che ne è anche proprietario"), Walter Siti, curatore dell'Opera omnia di Pasolini (Meridiani, Mondadori), intervistato da Francesco Erbani su 'Repubblica' del 4 marzo, non pare scosso da dubbi: "La stessa idea di un capitolo mancante contrasta con la struttura di 'Petrolio', un testo già di per sé così lacunoso". Giusto, di lacune ce ne saranno diverse. Ma cosa pensa il curatore di quella in particolare? L'edizione sua e di Silvia De Laude, molto accurata nelle note filologiche, non nota niente sul perché Pasolini rinvii il lettore proprio a quel capitolo in bianco. 
Ma le stranezze non finiscono qui. Se quelle pagine esistono, da chi e come sono state prese? Graziella Chiarcossi nega che ci sia stato un furto di carte nella casa di Pasolini, in cui viveva con il cugino. E lo nega anche Naldini. Ma un altro cugino, Guido Mazzon, sostiene che il furto ci fu. Ne aveva già parlato D'Elia nel suo libro. E ora Mazzon lo riconferma a Paolo Di Stefano sul 'Corriere della Sera' del 4 marzo. "Nel '75, dopo la tragedia di Pier Paolo, Graziella chiamò mia madre per dirle di quel furto. Quando mia madre me lo riferì, pensai: 'Accidenti, con quel che è capitato ci mancava pure questa'. E pensai anche: 'Strano però, che senso ha andare a trafugare le carte di un poeta?'". 

Si trattava di un'opera assai insolita, sia per la forma sia per il contenuto. Non è scritta come lo sono normalmente i romanzi. Non c'è un narratore che racconta una storia, ma un autore che costruisce man mano il progetto di un romanzo da farsi. Ed è in questa forma che Pasolini pensava di pubblicarlo. Egli aveva del resto già sperimentato questa peculiare forma-progetto in opere cinematografiche come 'Appunti per un film sull'India' e 'Appunti per un’ Orestiade africana'. E anche nella 'Divina mimesis', data alle stampe poco prima della morte. Quanto al tema, a me è sempre apparso come un'opera sul potere, che cerca di renderlo visibile in tutte le sue forme, attraverso visioni. Vi si parla anche di stragi, di bombe alla stazione, dell'Eni, che Pasolini considera "un topos del potere". E anche della morte di Mattei. Non potevano del resto mancare questi ingredienti in un libro intitolato 'Petrolio', il vello d'oro di oggi, per il quale si fanno le guerre e viaggi in Oriente, come li fece Mattei, come un tempo li fece Giasone con gli Argonauti (altro tema del libro). All'Eni avrebbero dovuto essere dedicati dieci appunti, dal 20 al 30, tutti però mancanti, eccetto il 22 e il 23. Ne è rimasto però uno schema riassuntivo finale. Si intitola 'Storia del problema del petrolio e retroscena', che contiene uno specchietto e questa annotazione: "In questo preciso momento storico (.) Troya (nome nella finzione dato a Cefis) sta per essere fatto presidente dell'Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei)". E poco dopo scrive: "Inserire i discorsi di Cefis". Quindi Pasolini spiega il delitto Mattei in modo diverso da quello più accreditato. Non chiama in causa gli interessi americani, le sette sorelle, l'Oas, i servizi segreti. No. Mattei è stato ucciso per far posto a Troya, cioè a Cefis. Chi prese quelle carte doveva essere a conoscenza del contenuto. Ma non lavorò alla perfezione. Forse per la fretta lo schema gli sfuggi? 
Nel gennaio 2001 lessi su 'la Stampa' un articolo sulla morte di Mattei. Parlava di nuove indagini del giudice Vincenzo Calia della Procura di Pavia. Con un lavoro di anni aveva ricostruito questo scenario: Mattei fu fatto fuori da un'oscura regia politico-istituzionale tutta interna all'Italia, di cui Cefis teneva le fila. Le stesse conclusioni di Pasolini 25 anni prima. E probabilmente le stesse a cui era giunto Mauro De Mauro, il giornalista scomparso a Palermo nel 1970, a cui il regista Francesco Rosi chiese di indagare sugli ultimi giorni di Mattei per il film che stava girando. L'articolo parlava di 'Petrolio' e per questo attirò la mia attenzione. Il magistrato aveva inserito nell'istruttoria la pagina con lo specchietto.
Ho incontrato il giudice Calia a Roma nel 2003 a un convegno su Pasolini. Tra i relatori c'era anche il senatore Giovanni Pellegrino, ex presidente della Commissione parlamentare sulle stragi, che sottolineò l'esattezza delle conclusioni di Pasolini in 'Petrolio' riguardo alla duplice natura delle stragi. Finito il convegno ci fermammo a parlare con Calia, seduti a un tavolo, con Borgna, D'Elia, e altre due persone di cui non ricordo. Quella conversazione andò avanti per ore. Calia aveva portato uno strano libro, 'Questo è Cefis': proprio il volume che ho visto alla Mostra di dell'Utri. Pubblicato nel 1972 con lo pseudonimo di Giorgio Steimez dall'Agenzia Milano Informazioni, di Corrado Ragozzino. Finanziato da Graziano Verzotto, amico di Mattei, con funzione di avvertimento o di minaccia nei confronti di Cefis, il libro fu fatto subito sparire dalla circolazione. La moglie di Calia l'aveva trovato per caso su una bancherella. E ci spiegò, testo alla mano, che nell'Appunto 22 ('Il cosiddetto impero dei Troya'), le informazioni di Pasolini su Cefis venivano da lì. Ricordo la serietà e la sobrietà del magistrato, da cui traspariva un'alta statura umana. Io dissi qualcosa sulla 'Divina Mimesis', il cui autore si dà per "morto, ucciso a colpi di bastone a Palermo". La sua reazione fu di voler andare immediatamente in libreria a comprare quel libro, che non conosceva. Ma erano già le dieci di sera. Era convinto che si riferisse a De Mauro (non al Gruppo 63, ostile a Pasolini, e riunitosi a Palermo, come leggono molti critici). A un certo punto posi al magistrato una domanda diretta: "Ma è possibile che facciano fuori uno scrittore?" La risposta fu: "Possibilissimo. E se vuole la mia opinione, io ne sono convinto". Quelle parole mi lasciarono un segno e un senso di vertigine.” 

 

Quindi quando Marcello dell’Utri nel 2011 informò che quel capitolo del romanzo Petrolio non solo esisteva, ma lui l’aveva visto, perché qualcuno glielo aveva mostrato, tutti rimasero basiti. Dell'Utri disse che si trattava di un capitolo trafugato di “Petrolio” e precisamente quello intitolato “Lampi sull'Eni”, di cui nell'edizione in volume è rimasto solo il titolo e una pagina bianca. Dell’Utri disse che alla mostra del libro antico, che di lì a poco sarebbe stata aperta, lo avrebbe esposto, ma poi questo non accadde: l’uomo che glielo aveva mostrato era misteriosamente scomparso. Una bella coincidenza anche questa! Sui contenuti di quel capitolo Dell’Utri è apparso piuttosto laconico: “L’ho letto ma non posso ancora dire nulla - dichiarò - è uno scritto inquietante per l’Eni, parla di temi dell’azienda, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese’’. Come dicevamo, però, il capitolo si volatilizzò e lo stesso Dell’Utri dice di non aver mai piu rivisto l’uomo che glielo aveva mostrato su fogli di carta velina. Dell'Utri si giustifica così: il clamore sorto attorno alla notizia ha "spaventato" chi gli aveva mostrato e promesso l'inedito Un altro mistero nel mistero? Forse, ma c’è anche chi pensa che l'annuncio del senatore Dell'Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, fosse un avvertimento in codice, rivolto a non si sa chi. 
In ogni caso questa è un’altra riprova che dietro la morte di Pasolini c’è lo stesso potere, quello stesso marciume che sta dietro a tutte le stragi di Stato, che lui aveva capito al punto da dare nomi e cognomi e di scrivere nel suo romanzo Petrolio un appunto che parla di una visione e che fa venire i brividi : “La bomba è fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri restano sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binari. (...) La bomba viene messa alla stazione di Bologna. La strage viene descritta come una ‘Visione”. La bomba alla stazione di Bologna esploderà davvero, nel 1980, cinque anni dopo la sua morte.

 

Barbara Fois

Pasolini 02  Pasolini firma

 

Approfondimenti

Interviste e articoli

http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html

https://www.youtube.com/watch?v=2PDLFEQ7T7U  (pino pelosi)

https://www.youtube.com/watch?v=3UJoeBN-Y6Y

https://www.youtube.com/watch?v=8OPOgQ99u8I&ebc=ANyPxKpUQXSjrISECEbes4I86y7upaCHGkM6nKrcYicHJlxNVwYqbt-cnNAl9i0UnunS-6ACW1XrdsubHWP2_mFMEho9Pn7Ktg

https://www.youtube.com/watch?v=q8XewHyyGd4&ebc=ANyPxKoA_H6Y6kgBY-BsKYxSZBCy3gBo7CYDXx81c6XKE2MqP2ssUTpAL8VolBD03DrE33Im_2-Q88t624PtYld1H4kbfAR7Tg  (walter veltroni)

https://www.youtube.com/watch?v=nY-TKE4nVV8&ebc=ANyPxKrTOfnUhsffavzAsSoRA-yPepROAKBiCmvEajyETBkZqUsu6HJUV1Q8yViA38l-Zts1X5wHsFTCMUFEZiiCiVnJKgPZwg

https://www.youtube.com/watch?v=BnQL1q3SNtM

https://www.youtube.com/watch?v=AaSHVsGUqMA  (andreotti)

https://www.youtube.com/watch?v=d25P7N39TzM  (carlo lucarelli)

https://www.youtube.com/watch?v=wpeS3FDa2Jk  (claudio marincola)

https://www.youtube.com/watch?v=zzpehGkHMe8 (premonizioni pasolini)

https://www.youtube.com/watch?v=CVfSyui-QBs

http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html (io so 14-11-74)

https://www.youtube.com/watch?v=LFgmN7O0i30 (visione apocalittica)

https://www.youtube.com/watch?v=66XZnuv9gNs (autopsia delitto pasolini)

 

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