Ucci ucci sento odor di (demo)cristianucci…

di Barbara Fois - Liberacittadinanza - 29/04/2013
Il nuovo governo Letta in realtà non è affatto nuovo, ma è un incredibile esempio di restaurazione dell’antico: sembra una riunione di “reduci” della DC

Se Letta e i suoi pensavano che bastasse scegliere figure di secondo piano - driblando nomi come quelli di D’Alema, Gelmini, Brunetta, che avrebbero inferocito le piazze – per infinocchiare e tranquillizzare i propri elettori in rivolta, sbagliavano e di grosso.

La lotta fra le varie componenti dentro il PD, venuta a galla con le bocciature di Marini e Prodi, non è finita e soprattutto perché la componente ex-pci (vorrei dire rossa, ma non vorrei che sembrasse eccessivo…) ne esce massacrata. Se guardiamo infatti alla provenienza dei vari membri del governo Letta, vedremo che sono tutti o ex DC o comunque cattolici , per non dire che ci sono addirittura due esponenti di Comunione e liberazione. A questo punto la domanda sul perché il PD non abbia voluto votare un laico convinto come Rodotà trova la sua più che esplicita risposta.

Questo governo è la festa del vintage, il grande raduno dei reduci e orfani della DC, il festival del déjà vu più inquietante e sconsolante, che dimostra come il desiderio di cambiamento sbandierato dal PD sia stato solo un vuoto slogan da campagna elettorale. C’è dunque da chiedersi se in realtà tutto quello che è successo dal risultato elettorale in poi non sia parte di un disegno più vasto che ha come obiettivo finale la conquista del Partito Democratico e l’emarginazione della componente “rossa” ( ma sì, chiamiamola così, esageriamo).

Se la vittoria elettorale fosse stata più netta, forse l’aggressivo malcontento dell’altra parte non sarebbe venuto fuori subito, ma così, anche per colpa di una gestione insicura e amletica del tempo e dei contatti da parte di Bersani, tutti i nodi – come si dice – sono venuti al pettine.

Ma vediamoli uno per uno i componenti del governo, perché nelle biografie di ciascuno ci sono elementi interessanti e che ne danno una nuova chiave di lettura:

Enrico Letta, presidente del Consiglio - nipote di Gianni Letta, da sempre consigliere di Berlusconi - si laurea a Pisa e prende il dottorato presso la Scuola Superiore di Sant’Anna ( tenetelo a mente, perché non è una notizia insignificante) e all’età di 25 anni era già presidente dei Giovani popolari europei. E’ il fondatore con Alfano di “VeDrò”, un think tank di cui parleremo meglio dopo.

Angelino Alfano, vicepresidente del consiglio nonché ministro dell’Interno ( un ruolo dunque importante quanto quello di Letta e in una posizione cruciale per gli impicci giudiziari del cavaliere). Laureato in Giurisprudenza alla Cattolica, comincia la sua carriera politica dentro la DC. Ma dal 1994 è iscritto a Forza Italia, dove fa una carriera rapidissima. E’ stato ministro della Giustizia nell’ultimo governo Berlusconi, ruolo che ha lasciato per ricoprire quello di segretario del suo partito. Spesso il cavalier gli ha fatto fare delle “figure da cioccolatino”, per adoperare una espressione educata, che usava con ironia mia nonna. “ Gli manca il quid” diceva infatti di lui il cavaliere, con affettuoso disprezzo.

Emma Bonino, ministro degli Esteri. Laureata alla Bocconi, dopo un glorioso passato nelle file del partito Radicle, impegnata in battaglie laiche di grande impatto sociale, come quella per il divorzio e la legalizzazione dell’aborto, cade col suo partito nella rete del cavaliere, che la segnala come Commissario europeo. Poi salta sul carro di Prodi, da cui ottiene il ministero per le Politiche europee e il Ministero per il Commercio Internazionale. Perde di pochissimo contro la Polverini nelle elezioni per la presidenza della regione Lazio. E’ segnalata anche nell’elenco dei papabili al Quirinale fatto dal M5S. Potremmo definire la sua carriera politica – usando una felice definizione di Sonnino fatta da Giolitti, ripresa poi da Gassman come titolo della propria autobiografia – un “grande avvenire dietro le spalle”.

Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia, già ministro dell’Interno del governo Monti, è un fedele servitore dello Stato, che ha avuto il gradimento degli Italiani. Ha preso anche posizioni forti, come sui fatti della Diaz ( La sentenza della Cassazione mette fine ad una vicenda dolorosa che ha segnato tante vite umane. Ma questo non significa che si debba dimenticare, anzi. Il caso Diaz deve restare nella memoria ) e contro le frasi insultanti di quei poliziotti che furono condannati per la morte di Federico Aldrovandi, nei confronti della madre Patrizia Moretti. In quella odiosa circostanza il ministro fu durissimo e non esitò a definire quelle parole vergognose e gravemente offensive, disponendo immediatamente un procedimento disciplinare ed affermando: Alla mamma di Federico voglio dire che le siamo vicini, comprendiamo il suo dolore ed ha tutto il nostro affetto. Dobbiamo punire i poliziotti che sbagliano, le mele marce devono andare via. Ma la polizia e' un corpo sano. Tuttavia non è stata esente da critiche, soprattutto riguardo alla liquidazione milionaria di suo figlio, presa dopo solo 14 mesi alla guida della Fondiaria-Sai.

Fabrizio Saccomanni, Ministro dell’Economia e delle Finanze, uomo di Draghi e cresciuto in Bankitalia, fino a diventarne il Direttore Generale. E’ l’uomo dei poteri forti legati alle banche e alla finanza, come lo era Monti.

Mario Mauro, ministro alla Difesa. Si laurea anche lui alla Cattolica di Milano e si iscrive a Comunione e Liberazione. Quindi entra in Forza Italia, poi nel PdL e infine nel gruppo di Mario Monti “Scelta Civica”. Napolitano lo ha poi scelto nel gruppo dei dieci “saggi”.

Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Anche lui si laurea alla Cattolica di Milano, lavora come giornalista per il settimanale cattolico “Il Sabato” e dal 1990 entra in Comunione e Liberazione, dopo aver mosso i primi passi nella DC. Nel 2011, in occasione dello scandalo Ruby, scrive una lettera ai cattolici italiani per chiedere una sospensione del giudizio (che certamente sarebbe stato negativo) nei confronti di Silvio Berlusconi.

Maria Chiara Carrozza, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. E’ in quota PD ed è stata fino a oggi rettore della Scuola superiore di studi universitari Sant’Anna di Pisa (ma guarda che combinazione! Non era la stessa scuola di Letta?).

Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo Economico. Viene dalle fila del PCI, più volte sindaco di Padova e vicepresidente dell’ANCI (Ass. Nazionale Comuni Italiani).

Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche Agricole, alimentari e forestali. Proveniente dalle fila del PdL, salita alle cronache per aver scambiato insieme alla collega parlamentare Gabriella Giammanco dei bigliettini “galanti” col cavaliere (“Baci!!! Silvio”). Si è sposata con il collega parlamentare Francesco Boccia del PD (proveniente dalla Margherita) e guarda caso uno dei fedelissimi di Letta: è stato infatti suo consigliere economico quando Letta era ministro dell’Industria (1998-2001). Anche lei è iscritta a “VeDrò”.

Andrea Orlando, ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare. Portavoce ufficiale del PD, viene dalle file del PCI, attraverso tutti i vari stadi : PDS, DS, PD. Fa parte dei cosiddetti “giovani turchi” del partito, in quota bersaniana, ma è anche iscritto a “VeDrò”.

Enrico Giovannini, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Scelto da Napolitano nel gruppo dei cosiddetti “saggi” è in quota “tecnici” e proviente dall’ISTAT, di cui è presidente. Monti lo scelse per studiare i possibili tagli alla politica.

Massimo Bray, ministro dei Beni culturali e il Turismo. Direttore editoriale della Enciclopedia Italiana Treccani. E’ anche direttore responsabile della rivista Italianieuropei, fondata fra gli altri da Massimo D’Alema. E così sarebbero coperte tutte le “correnti” del PD. O quasi.

Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, dopo Tina Anselmi, Maria Pia Garavaglia, Rosy Bindi e Livia Turco. In quota PdL la ministra della Salute non è nemmeno laureata e non si è mai occupata di questo settore, se non per difendere a spada tratta la oscena legge 40 sulla fecondazione eterologa! E si è distinta per la sua posizione contro la magistratura nella questione dell’Ilva di Taranto. Bella prospettiva davvero!! Perché è stata scelta? E c’è da chiederlo, con tutti questi cattolici nel governo e la campagna antimagistratura del cavaliere?

Ma c’è di più: anche lei è iscritta a “VeDrò” il think tank fondato, come dicevamo, da Enrico Letta e Angelino Alfano e di cui fanno parte anche Andrea Orlando, Nunzia De Gerolamo, Josefa Idem e Filippo Patroni Griffi, sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Ben 7 su 22 membri del nuovo governo - un terzo dei partecipanti alla compagine governativa - fa parte di questo particolare “serbatoio di idee”, per tradurre il termine inglese. In realtà i think tank, così di moda oggi e copiati dal mondo politico americano, sono solo dei luoghi che dovrebbero essere “neutrali”rispetto ai partiti, nei quali si discute su argomenti di politica e cultura varia…in realtà ci sono anche la Fondazione Gramsci o Fare Futuro, per citarne due agli antipodi, che sono dei think tank. Ma i ministri di questo governo sono tutti iscritti a “VeDrò” ( che si chiama così perché si riuniscono ogni agosto a Dro, in Trentino) e non può essere un caso. Un governo nel governo, insomma.

Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Affari europei. Amico e collaboratore di Monti, è stato il capo del suo gabinetto, quando Monti è stato nominato commissario europeo. E’ in conto “tecnici”, di area montiana.

Carlo Trigilia, ministro della Coesione Territoriale. E’ il massimo esperto di territorio e sviluppo, in quota PD. E’ membro della fondazione Italianieuropei fondata da D’Alema e Amato. Come si vede è un governo in cui i think tank hanno uno spazio notevole.

Graziano Delrio, ministro delle Regioni e delle Autonomie. È un medico endocrinologo: non poteva essere lui ministro della Sanità? Almeno era in grado di distinguere un catetere da una siringa. E’del PD ( ma non comunista) ed è presidente dell’ANCI, ma adesso anche lui come il vicepresidente è al governo: che dite, ce la farà Renzi ad essere eletto, ora che i due massimi dirigenti sono fuori gioco? Vedremo.

Dario Franceschini, ministro per i Rapporti col Parlamento. Comincia la sua carriera politica nella DC ( del resto suo padre è stato un deputato DC), poi passa ai popolari, alla Margherita e poi entra nel PD. Ha fatto parte del governo D’Alema e poi di quello Amato che segue. Nel 2009 dopo le dimissioni di Veltroni diventa segretario pro tempore del PD, ma alle primarie viene superato da Bersani che diventa il segretario.

Cecile Kashetu Kyenge, ministro per l’integrazione. Nata in Congo, laureata in medicina all’Univerità Cattolica del Sacro Cuore di Roma, è medico oculista (anche lei poteva fare meglio della Lorenzin) è in quota PD, bersaniana.

Josefa Idem, ministro per le Pari opportunità, sport e politiche giovanili. Ha vinto l’impossibile: 35 medaglie fra Olimpiadi, campionati mondiali ed europei, nella disciplina del kayak individuale. E’ in quota PD e fa parte anche lei del “VeDrò” di Enrico Letta.

Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme Costituzionali. Comincia la sua avventura politica molto giovane, nel Partito Repubblicano e poi coi Radicali, coi quali fa battaglie importanti su aborto, nucleare e caccia. Poi cade sulla via di Forza Italia e arriva a sostenere principi contrari a quelli nei quali credeva una volta: famosa la sua presa di posizione nel caso Eluana Englaro e l’abolizione della pena di morte. Un bel regresso, non c’è che dire.

Giampiero D’Alia, ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione. Suo padre è stato deputato della DC, lui aderisce all’UDC. Nel governo Berlusconi è stato sottosegretario alla Difesa. E’ un avvocato.

 

Come si vede dalla biografia e dalla matrice politica dei protagonisti, non c’è alcuna contrapposizione fra loro: non si tratta di una scandalosa mesalliance, di un improbabile inciucio, di un compromesso storico sui generis: sono tutti della stessa partita, stanno tutti dalla stessa parte.

Questa non è tuttavia la cosa più desolante: la è scoprire che nel PD la sinistra s’è squagliata, si è stinta e non conta più nulla. Peggio: ora anche quei pochi che protestavano contro il governo col PdL – se non altro per dignità, avendo gridato per tutta la campagna elettorale “con Berlusconi mai!!” – oggi si rimangiano tutto, davanti alla sparatoria di un disperato di fronte a Palazzo Chigi stamattina, con la scusa che ora bisogna ricompattarsi… ma perché?? Mica siamo davanti ad un atto terroristico! Non stiamo parlando di al-Qaeda, di talebani, di jihād islamica! Non siamo davanti a un novello Osama bin Laden, ma a un poverazzo senza lavoro, probabilmente fuori di testa, imbevuto di reality e del clima di odio che Berlusconi da una parte e Grillo dall’altra, hanno contribuito a creare nel paese.

Ma quest’atto gravissimo non può giustificare nei “compagni” del PD una resa senza condizioni come questa. La realtà è che ora siamo di nuovo sotto il tallone del caimano e tutti fanno finta di niente. Rivestono semplicemente di alti concetti e belle parole, quella che – ha ragione Vendola – non è che una mera operazione di restaurazione.

I signori di questo governo non faranno riforme sostanziali e tanto meno abrogheranno le leggi volute da Berlusconi, ma il loro governo durerà più di quanto ci piacerebbe. E i grillini staranno lì a guardare senza far nulla, preoccupati solo di fare i puri, vestiti di bianco e con un giglio in mano. Del resto tutto va nella direzione voluta da Grillo: verso lo sfascio. Siamo nei guai, cari amici e compagni, ma veramente grossi…

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