Borsa di Amsterdam: giochi proibiti sul prezzo del gas

di Tommaso Mattei - ilsettimanale.pmi.it - 03/11/2022
Piazza e scambi limitati, contratti con consegna differita, scarsa liquidità, silenzio sui controlli: così listini sono balzati di 20 volte in un anno

CEN-TO, CEN-TO, CEN-TO. Ve lo ricordate questo grido? Ok il prezzo è giusto. Gli anni ’80, Iva Zanicchi e ricchi cotillons in denaro. Bei tempi. Quelli in cui urlavamo davanti al televisore per indovinare il prezzo degli articoli da drogheria esposti in studio, dai formaggini al deodorante per ambienti. Oggi, le urla ci sono sempre. Di paura. Per il gas e il suo prezzo, che resta da indovinare.

PARA PAPA PAPPAPPARARÀ. Signore e signori benvenuti, questo è il nuovo show. TTF, il prezzo del gas è giusto. Sottotitolo? Ok, ma per chi? Per rispondere a questa domanda bisogna partire da Amsterdam. Qui, ormai, è cosa risaputa, si fa il prezzo del gas. In questo mercato di riferimento chiamato TTF (Title Transfer Facility). Luogo impercettibile, nelle sue fattezze. Molto rilevante, nella sua funzione.

L’inizio delle urla di famiglie e imprese italiane ha origine proprio qui dove il prezzo del gas è iniziato a esplodere, oramai, diversi mesi fa. E dove, adesso, incredibilmente, ha preso il senso contrario. Nelle ultime settimane, infatti, le quotazioni del gas sono in costante discesa. In particolare da una ventina di giorni: il costo del combustibile sul mercato è passato dagli oltre 300 euro per megawattora di agosto ai circa 112 euro della media delle ultime contrattazioni, con una puntata fugace sotto quota 100. Una strana evaporazione.

Per carità siamo ancora lontani da valori accettabili, quelli dello scorso ottobre, quando la quotazione sul gas si attestava appena sopra i 40 euro a megawattora.

Come mai questa inversione di tendenza? Perché, nonostante le bollette siano ancora una tempesta, lassù ad Amsterdam sembra tornato il sereno? Gli analisti individuano la discesa dei prezzi principalmente nella diminuzione della domanda.

Questo perché gli stoccaggi per l’inverno sono stati quasi riempiti tutti, a livello europeo il dato è intorno al 90% del totale. Inoltre il clima mite di questo ottobre sta permettendo di tenere spenti i riscaldamenti azzerando praticamente i consumi. In questo quadro bisogna ricordare anche il costante afflusso di Gnl, ovvero del gas liquefatto che stiamo acquistando per rimpiazzare il metano di Mosca. Infine si sta registrando una riduzione dei consumi industriali.

Per farla breve: la domanda è bassa, mentre l’offerta è alta, o comunque sufficiente a soddisfare lo scarso fabbisogno di gas del periodo. Praticamente comprare gas, oggi, è inutile. Anche a voler stoccare ulteriore gas in vista dell’inverno non sapremmo proprio dove metterlo. Eccolo il vero motivo del crollo dei prezzi. Con il gas non ci si guadagna più. Sì, perché il TTF è stato l’eldorado per tanti operatori di mercato.

La Borsa del gas di Amsterdam, diciamolo, è il più grosso hub destinato alla speculazione. Gli attori protagonisti sono 148: produttori di gas; riempitori di stoccaggi, che lucrano sul differenziale di prezzo estate/inverno; operatori di rete; gruppi integrati, che bilanciano la produzione e le vendite finali. Tra di loro c’è un po’ di tutto: banche anglosassoni come Goldman Sachs e Morgan Stanley, i grandi trader Gunvor, Trafigura, Glencore, Vitol, major come Shell o Danske, braccio della norvegese Equinor. Gli italiani sono una quindicina: dai big Eni, Enel, Edison agli intermediari Hera, Sorgenia, Repower, Estra, Dolomiti Energia, fino ai piccoli trader.

In perfetto stile “Ok il prezzo giusto”, questi enti hanno banchettato per mesi e mesi dentro questa Borsa giocando a far salire i prezzi. Le regole erano queste: comprare la maggior quantità di gas a prezzi più o meno bassi per rivendere poi a prezzi molto alti. La domanda così cresceva. Tutti compravano. Tutti volevano il gas. E il prezzo saliva, saliva, saliva. Milioni di operazioni, una dopo l’altra, per portare il costo alle stelle.

Questa si chiama speculazione. Sì, perché il TTF è il luogo perfetto per speculare. E i motivi sono tre.

  1. Il primo riguarda gli accordi per la consegna immediata di gas ai prezzi spot.
  2. Poi ci sono i cosiddetti future, con i quali venditore e acquirente pattuiscono un prezzo, mentre consegna e pagamento avvengono in seguito. Comprare oggi per rivendere domani non può che far crescere il prezzo. Voi vendereste allo stesso prezzo una cosa comprata 6 mesi prima? Business, puro business. Fatto sulla pelle dei cittadini e delle imprese. Non è un caso infatti che gli scambi di future sul TTF sono cresciuti del 33% nei primi 10 mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2019.
  3. Infine vi sono gli over the counter (Otc). Ovvero contratti unilaterali per consegne e prezzi futuri che espongono i contraenti al rischio che la controparte fallisca e non rispetti i patti. Di male in peggio. Insomma, chi va in Olanda ci va per un motivo. Guadagnare.

Non solo. La Borsa del gas di Amsterdam è un mercato relativamente piccolo. I volumi del TTF, pur essendo 14 volte il gas della sola Olanda, sono in media per l’estate, di 4 miliardi di metri cubi, pari ad un controvalore di circa 5 miliardi di euro; niente a che vedere con gli scambi di Londra sul Brent (petrolio, ndr), che valgono duemila miliardi al giorno.

Ma c’è di più: il TTF gestisce solo una parte del gas che viene scambiato in Europa eppure è tanto importante da determinare il prezzo in tutto il continente.

A Londra, dove si compra il petrolio, qualunque operatore petrolifero è in grado, in ogni momento, di effettuare acquisti e vendite nonché operazioni di copertura del rischio trovando la liquidità necessaria. Ad Amsterdam, invece, non esiste alcuna possibilità per gli operatori di usare i tipici strumenti di risk management. Non c’è sufficiente liquidità e non ci sono volumi fisici a supporto dei contratti finanziari scambiati. Ad ogni richiesta aggiuntiva alla normale routine (fatta di pochi volumi) si verifica un impazzimento del prezzo. Non è una Borsa. È un mercatino di paese.

Ed è proprio questa la contraddizione in termini che sta spezzando in due l’Europa e che sta distruggendo famiglie e imprese. Continuare a scegliere Amsterdam come Borsa dove stabilire il prezzo del gas è come misurare la febbre con un termometro rotto. Soprattutto è il modo per alimentare sempre di più la speculazione: se continueremo con questo parametro finiremo con il subire una crisi infinita generata artificialmente da un pugno di speculatori internazionali.

Del resto i numeri non mentono. Anzi sono stupefacenti. Dal 2012 a fine 2020 il prezzo del gas ha veleggiato intorno ai 20 euro a MWh, poi dall’inizio del 2021 – molto prima della guerra – ha cominciato a correre, passando dai 16 euro del gennaio 2021 al range 250-340 dell’agosto 2022. Si tratta di un incremento di 15-20 volte. Variazioni di tale entità non si sono mai verificate nel mercato petrolifero dai primi del ‘900 ad oggi: nel ’73 il balzo del prezzo è dai 2 dollari per barile a 12, ovvero 6 volte, e nel ’79 da 14 a 36 dollari, una volta e mezzo. Nemmeno con la guerra del Golfo ci sono state accelerazioni di prezzo elevate come quelle del gas di questo periodo.

Dulcis in fundo, i controlli. Ice Endex, la società che detiene la Borsa in questione, non ha mai risposto nel merito.

Quello che sappiamo è che l’Autorità finanziaria olandese, la Afm, pone sul TTF tre livelli di controllo. La prima dei broker sui loro clienti, la seconda di Ice Endex sui broker e infine quella di Afm. Per tradurvi i passaggi, gli azionisti di Ice e TTF sono dunque controllati (in teoria) dalla stessa Borsa che possiedono.

Un enorme conflitto di interessi.

Una condanna per tutto il mercato strategico dell’Europa. Nel frattempo l’Ue continua a lavorare sul piano di emergenza per superare la crisi. Una delle ipotesi sul tavolo è la creazione di regole per permettere acquisti congiunti di gas a livello comunitario in modo da poter negoziare prezzi migliori dai fornitori.

Accanto a questo, si sta studiando un nuovo indice per i prezzi così da svincolarsi dal TTF olandese ma, guarda caso, proprio l’Olanda è la prima ad opporsi. Anche la Germania continua a puntare i piedi.

E noi? L’Italia qualcosa potrebbe fare. Manca però la volontà. Almeno così è stato fino ad ora.

Il nostro Paese ha due grandi operatori nazionali (Eni ed Enel, ndr) quotati in borsa, il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell’Economia. Dunque, il Governo avrebbe il pieno diritto di conoscere il prezzo di acquisto del gas da parte di queste due compagnie. Questo, però, non avviene.

Negli Usa, modello del libero mercato, lo Stato pretende la trasparenza da parte di tutte le compagnie che operano nel Paese. Perché noi invochiamo il libero mercato ma non accettiamo i principi che lo regolano?

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