«È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali.
Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala». Così si esprimevano, il 5 agosto 2011, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e l’allora Presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, nell’ormai famosa lettera al governo, con la quale di fatto indicavano il nuovo orizzonte all’intero popolo italiano che solo due mesi prima aveva votato a maggioranza assoluta Sì al referendum per la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni e contro la loro privatizzazione.
I due si erano senz’altro fatti prendere la mano sui tempi di attuazione, laddove scrivevano: «Vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che le azioni elencate siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011».
Ma ciò che a loro premeva sottolineare era che il predominio del mercato non poteva tener conto di un’idea obsoleta di democrazia fondata sulla sovranità popolare.
Oltre dieci anni dopo, Mario Draghi sta sfogliando la margherita per sapere se continuerà ad essere Presidente del Consiglio, se diventerà Presidente della Repubblica o se sarà l’uno e l’altro, essendo sempre attivo il «pilota automatico». Ma intanto il DDL Concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 novembre scorso, ha iniziato il suo iter parlamentare in Commissione Industria del Senato, con l’obiettivo di divenire nuovo Testo Unico di ordinamento degli Enti Locali nella prossima primavera.
L’intero disegno di legge è un inno al mercato, oggi ancor più stonato di fronte a una pandemia che del mercato ha rilevato i limiti (e i crimini).
E l’articolo 6 ne costituisce l’apoteosi, laddove tenta di rendere irreversibile la privatizzazione dei servizi pubblici locali e di stravolgere la funzione pubblica e sociale dei Comuni, obbligati a quel punto a considerare la messa sul mercato come gestione ordinaria dei beni comuni e delle politiche sociali per la propria comunità di riferimento.
Per chiunque non abbia deciso di nascondere la testa sotto la sabbia, il testo del provvedimento è di una chiarezza senza smagliature: si tratta di consegnare all’accumulazione finanziaria beni e servizi primari per la vita e la dignità delle persone, e lo si fa inneggiando alla concorrenza, quando è evidente si tratti di monopoli con profitti garantiti.
Stiamo parlando di acqua, energia, trasporti, rifiuti e welfare: tutte materie sulle quali una riappropriazione sociale diventa ancor più necessaria, se si vogliono affrontare, subito e con la determinazione necessaria, le due drammatiche sfide della crisi climatica e della diseguaglianza sociale. Possono sindaci e amministratori locali non prendere parola di fronte a un tale svilimento del proprio ruolo e della loro autonomia? Possono i sindacati non insorgere davanti ad una tale visione della società? Possono gli abitanti delle comunità locali rassegnarsi ad una vita scandita dalla solitudine competitiva?
Nell’ultimo week end di febbraio, si terrà a Roma il Forum della convergenza dei movimenti, una iniziativa che è frutto di un percorso che ha sinora coinvolto oltre 450 realtà sociali del Paese: qualunque maschera indosserà Mario Draghi, come fermare il DDL Concorrenza, come invertire la rotta sull’acqua e i beni comuni, come riappropriarci della democrazia di prossimità dovranno essere messi a tema e attraversare quelle giornate.