Zaia si accorge dei dazi: autonomia da rivedere?

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 13/11/2024
Ridurre le diseguaglianze è miraggio irraggiungibile per l’invarianza di spesa disposta dalla legge, e la mancata previsione di risorse per i livelli essenziali di prestazioni (Lep). Un miraggio che lo sviluppo fermo a zero virgola prolungherà nel tempo.

Apprendiamo dal Foglio (8.11) che Luca Zaia è preoccupato per le voglie trumpiane di protezionismo. Una guerra daziaria farebbe danno al Veneto e quindi a tutto il paese. Sollecita Giorgia Meloni e il governo a una attenta vigilanza. Ma il commercio estero non è al primo posto tra le richieste di autonomia differenziata (Ad) del Veneto? Se fosse stato già acquisito, Zaia dovrebbe ammonire sé stesso. A quanto pare, ha maturato la consapevolezza che il Veneto non potrebbe difendersi da solo. Il “giù le mani dal mio ministero” di Tajani si mostra profetico. Per Zaia, un ravvedimento operoso. Ma è solo uno dei profili di una disgregazione in chiave leghista del sistema Italia.

Si conferma l’importanza dell’udienza del 12 novembre in Consulta sui ricorsi delle regioni avverso la legge Calderoli (86/2024). I sostenitori dell’Ad argomentano che la legge attiene solo alle procedure, e di per sé non produce alcun danno. Non è così. Quelle procedure disciplinano la formazione e la stipula delle intese tra lo Stato e le singole Regioni, inclusa la firma. È là che il danno si produce, perché le intese sono poi allegate a un ddl governativo che va, ai sensi dell’art. 116.3 della Costituzione, al voto delle Camere (secondo un’opinione inaccettabile, di mera ratifica). Del resto, Calderoli è già in pista. La Regione Veneto ci informa che lunedì 11 novembre – un giorno prima dell’udienza in Corte –il Veneto con Zaia, Lombardia, Piemonte e Liguria incontrano il ministro per discutere di protezione civile (che ne pensa Musumeci?). E la Consulta non deve occuparsi della conformità a Costituzione della legge 86? Cinque i punti principali di dubbia costituzionalità.

Il primo. La legge non prescrive che una specificità territoriale verificata sia fondamento e misura della maggiore autonomia richiesta. Se ne desume la necessità dallo stesso art. 116.3 Cost., laddove richiama forme e condizioni “particolari” di autonomia. Invece, per l’ipotesi di acquisizione di “13-15 materie” Calderoli parla di un tertium genus di regione “specializzata”, tra la regione ordinaria e quella speciale (Tempo, 23.10). Uno stravolgimento non consentito. Qui si passa da un regionalismo solidale e cooperativo a un regionalismo competitivo fondato sull’egoismo territoriale e sulla guerra di tutti contro tutti.

Il secondo. La legge 86 apre – con il richiamo al trasferimento di materie o ambiti di materia – al passaggio di potestà legislative oltre che di funzioni amministrative. Le regioni includono quelle potestà nelle istanze presentate a Palazzo Chigi. Ne deriverebbero principi fondamentali posti dalla legge statale nelle materie di potestà legislativa concorrente applicabili a pelle di leopardo, in alcuni territori e non in altri. Sarebbe colpito l’assetto generale del rapporto Stato-regioni, e contraddetto il principio di unità e indivisibilità di cui all’art. 5 della Carta, del quale i principi fondamentali sono strumento.

Il terzo. Ridurre le diseguaglianze è miraggio irraggiungibile per l’invarianza di spesa disposta dalla legge, e la mancata previsione di risorse per i livelli essenziali di prestazioni (Lep). Un miraggio che lo sviluppo fermo a zero virgola prolungherà nel tempo. Per altro verso, rimane impossibile a un’Italia assemblaggio di repubblichette avviare le politiche di perequazione in specie infrastrutturale indispensabili per la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale” richiesta dall’art. 3.2 della Costituzione. Politiche fin qui mancate, ma che sarebbero almeno in principio possibili con una battaglia politica vincente. Domani, un’autonomia differenziata in chiave leghista sarebbe ostacolo insuperabile.

Il quarto. Stipulate e approvate le intese, la legge 86 ne affida la gestione – anche per le risorse – separatamente a 21 commissioni paritetiche Stato-regione, una per territorio. È un contesto che rende assai difficile governare la finanza pubblica e il debito. Si consolidano i dubbi sulla sostenibilità dell’Ad emersi già nelle audizioni parlamentari, ad esempio da parte di Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio. Il quinto e ultimo punto vede un principio elementare di par condicio territoriale negato dalla norma transitoria che concede a tre regioni – Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna – il vantaggio di partire dalle pre-intese stipulate con il governo Gentiloni il 28 marzo 2018, a quattro giorni dal voto. I punti indicati, e altri ancora, sono ampiamente trattati nei ricorsi. Consentono alla Corte di definire in premessa la corretta lettura dell’art. 116.3 della Costituzione, e di trarne una pronuncia quanto meno di parziale illegittimità della legge 86. Lo richiede il mondo nuovo in cui già ci troviamo e ancor più ci troveremo. Ora lo suggerisce persino il ravvedimento operoso di Zaia. Non potremmo volere di più.

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