Con altri 188 paesi circa 20 anni fa l’Italia ha aderito alla convenzione Onu di Merida contro la corruzione. L'art.19 del trattato prescrive di «conferire carattere di illecito penale al fatto di un pubblico ufficiale che abusi delle proprie funzioni o della propria posizione al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un'altra persona o entità».
A maggio di quest’anno la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per uniformare e rafforzare le misure anticorruzione come reazione al Qatargate. L'abuso d'ufficio e il traffico di influenze sono citati espressamente tra i reati da contrastare. E l'art.11 recita: «Questa disposizione definisce l'abuso d'ufficio nei settori pubblico e privato e stabilisce che questa condotta o l' inazione sia punita come reato se intenzionale». Prima di redigere il testo la Commissione ha interpellato gli stati membri, tutti d’accordo e 25 su 27 – anche il governo italiano – hanno detto che l'abuso d'ufficio è già previsto come reato pur con diverse formulazioni.
A chi giova l’abrogazione?
Come ha scritto al presidente Commissione giustizia della Camera, il Procuratore Generale di Torino Francesco Saluzzo, «trovo surreali le motivazioni che stanno alla base della cancellazione. Si potrebbe rimodulare, trovare una definizione migliore, ma non certo abrogare il reato perché è un reato sentinella». Soggiungo: pensare in un Paese come il nostro, a trazione illegale inimmaginabile e incomparabile con gli altri Paesi, di abrogare il reato d’abuso d’ufficio vuol dire non avere sott’occhio la lente della realtà. Un decisore pubblico, che affidi appalti deliberatamente violando le leggi che impongono gare a un imprenditore perché suo amico o perché a lui vicino politicamente, garantendogli vantaggi economici che non gli spettavano e danneggiando gli altri, commette un fatto grave o no?
Un funzionario di uffici edilizi che violando consapevolmente la legge blocchi la ristrutturazione di casa di una sua vicina perché la considera sua nemica, commette un fatto grave o no? E continuando negli esempi: di fronte a un “barone” che favorisce qualcuno in un concorso può farlo impunemente? Con l’abolizione del reato d’abuso, i fatti non saranno punibili penalmente.
È il via libera a faccendieri i quali non potranno essere puniti, che in forme opache medieranno interessi privati verso il settore pubblico, anche in aree come quella giudiziaria in cui non è consentita alcuna forma di mediazione lobbistica. Con un danno collaterale non di poco conto per chi legittimamente esercita l’attività di lobbying costituzionalmente tutelata.
Via libera a parenti e amici in ruoli apicali di enti e società partecipate, ma si tratta – si dirà – di persone eccezionali!?
Già con la riforma del 2020 era stato già stravolto il vecchio art. 323 del codice penale, semplicemente intitolato “interesse privato in atti d’ufficio”. Il reato era stato enormemente svuotato e reso di fatto inapplicabile perché ricorreva solo se ogni interpretazione “discrezionale” è esclusa. Con il che si è ottenuto un solo risultato, rendere l’abuso d’ufficio quasi inapplicabile. Ora si cancella tutto.
Già avere limitato l'abuso d'ufficio alla sola violazione di una legge che non lascimargini di discrezionalità al pubblico ufficiale significava, di fatto, abrogare il reato perché nessuna norma può essere interpretata rigidamente in un solo modo: per questo esiste la magistratura, che i potenti e faccendieri, legibus soluti ora, defenestrano anche e parallelamente abrogando l'odioso traffico di influenze . Che solo può commettere chi è " influente", e con una abrogazione spudorata.
Punti chiave del d.d.l. Nordio
Le ragioni della scelta abolitiva sono sinteticamente e chiaramente esposte nella Relazione al provvedimento in questione in due i punti salienti. In primo luogo, si afferma che lo «squilibrio tra le iscrizioni della notizia di reato e decisioni di merito, rimasto costante anche dopo le modifiche volte a ricondurre la fattispecie entro più rigorosi criteri descrittivi, è indicativo di una anomalia che ha portato alla scelta proposta con il presente disegno di legge». Vengono riportati nella Relazione dati statistici al riguardo: “solo” 18 condanne nel 2021 per abuso d’ufficio in dibattimento di primo grado; ancora alto il numero di iscrizioni nel registro degli indagati (4745 nel 2021 e 3938 nel 2022, e di questi procedimenti 4121 sono stati archiviati nel 2021 e 3536 nel 2022).
Argomenti che si collegano a quanto già osservato nelle Relazioni ad altre proposte di legge abolitive (Rossello AC 399 e Costa AC 654), secondo le quali la quasi totalità dei processi per abuso d’ufficio è archiviata; o comunque, a fronte di un’enorme quantità di processi che iniziano, soltanto una quantità infinitesimale si chiude con una condanna. I procedimenti penali avviati per abuso d’ufficio sfociano, cioè, in condanne definitive neanche in un caso su cento (6500 procedimenti avviati e solo 57 condanne definitive).
Superficialità e costi
Ma l’esiguità delle sentenze di condanna rischia di indurre ad una fallacia logica: considerare un illecito penale “inutile” solo perché concretamente ineffettivo non tiene in conto né l’effetto di prevenzione generale che assume il diritto penale, scoraggiando i cittadini a commettere reati, né l’importanza che alcune fattispecie penali assumono per la tutela di importanti beni giuridici. Per quanto riguarda, ad esempio, i delitti ambientali inseriti nel codice penale nel 2015, le sentenze di condanna sono ancora molto esigue (nel 2021, 16 condanne per inquinamento ambientale), ma ciò non porta comunque a ritenere vantaggiosa la loro abrogazione. Idem per i reati di diffamazione a mezzo stampa. In secondo luogo, la Relazione si fa carico di controbattere preventivamente alle critiche di chi obietta alla scelta abrogazionista l’imminente possibile contrasto con la proposta di Direttiva europea in materia di lotta alla corruzione, che prescrive obbligatoriamente ai singoli Stati la rilevanza penale dei fatti di abuso d’ufficio.
Si scrive nella Relazione che vi potranno essere in prospettiva interventi additivi per spinte eurounitarie “sopravvenute”, ma attraverso una previsione criminosa formulata in modo più preciso e circoscritto. Non si tiene, tuttavia, in considerazione il “costo” giuridico di tale operazione: la reintroduzione di una nuova figura di abuso d’ufficio varrebbe solo per il futuro, creando così una frattura con la fattispecie abrogata di cui all’art. 323 c.p., le cui sentenze di condanna definitive sarebbero comunque revocate. Nel frattempo, pensar male non nuoce alla virtù, ci sarebbero le centinaia di miliardi del PNRR da spendere senza la spada di Damocle della temuta firma.
Quanto alla forbice tra i procedimenti iniziati e le condanne definitive pronunciate, è certamente vero che siamo al cospetto di un problema. Ma di fronte a questa anomalia, non dobbiamo omettere di curare la vera malattia. Che non è l’abuso d’ufficio, esistente in tutte le legislazioni europee e che rappresenta un presidio di garanzia per il consociato.
Suggerimenti
La soluzione a tali questioni reali poste sul tappeto non può essere quella di abrogare l’art. 323 c.p. Ma, come è stato detto in sede di audizioni starebbe nel far rimanere in vita l’abuso d’ufficio, sensibilizzando al contempo i pubblici ministeri, i quali dimostrano talora scarsa attenzione nella gestione delle iscrizioni delle notizie di reato, oltreché nella conduzione delle indagini preliminari.
La medicina giusta potrebbe allora essere “contenere” il PM nell’iscrizione delle notitiae criminis, che non hanno nulla a che vedere con l’abuso d’ufficio. Nella maggior parte dei casi, l’abuso d’ufficio viene veicolato alle Procure tramite denunce private di cittadini che segnalano episodi di mala gestione amministrativa. Tali denunce, tuttavia, si caratterizzano per lo più dalla mera segnalazione dell’adozione di atti amministrativi illegittimi. Ma in queste ipotesi non si dovrebbe procedere alla immediata iscrizione nell’apposito registro. Ai sensi del novellato art. 335 c.p.p., l’emanazione di un provvedimento illegittimo di per sé non costituisce notizia di reato.
Quest’ultima deve contenere la descrizione di un fatto, determinato e non inverosimile, corrispondente in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Proprio a causa della parola “fatto” e degli aggettivi “determinato e non inverosimile” inseriti nel nuovo art. 335 c.p.p. – sarebbe stato necessario che nella notizia di reato fossero “indicati” e poi “descritti in modo analitico” tutti gli elementi fattuali richiesti da una fattispecie astratta: condotta, evento, nesso causale, presupposti emodalità della condotta. Dovendosi ritenere che la parola “fatto” in tale contesto valga ad indicare tutti gli elementi descritti in una fattispecie incriminatrice, allo stesso modo in cui è stato inteso dalla Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza in riferimento al divieto di un secondo giudizio,ex art. 649 c.p.p.
Cautele necessarie
Il delitto di abuso di ufficio è una fattispecie piuttosto analitica, le condotte tipiche e gli eventi incriminati sono determinati – anche sulla base dell’opera interpretativa della giurisprudenza – con molta precisione. Il provvedimento illegittimo dunque è solo un possibile “sintomo” di un abuso d’ufficio: è un “sospetto” di una notizia di reato. Per tale ragione siffatte denunce potevano essere qualificate come “atti non costituenti notizie di reato” e quindi essere iscritte nell’apposito registro (il c.d. modello 45) e potevano – su base discrezionale – essere oggetto di una verifica preliminare (la c.d. pre-inchiesta) finalizzata a “ricercare” una notizia di reato vera e propria. Solo nel caso in cui fossero stati individuati tutti i plurimi elementi che concorrono a delineare il fatto nell’abuso d’ufficio, si poteva prevedere l' iscrizione nel registro degli atti costituenti notizie di reato.
Ma in tal caso la notizia di reato non sarebbe più la denuncia: in presenza di una notitia criminis “presa d’iniziativa”. Sempre ai sensi del nuovo art. 335 c.p.p. solo in presenza di indizi si può procedere all’iscrizione “soggettiva”; la quale, tra l’altro, in base all’inedito art. 335-bis c.p.p., non può determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito. Del pari, una volta avviata l’indagine, la verifica della consistenza probatoria (al fine delle determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale) non solo poteva riguardare tutti gli elementi – nessuno escluso – che concorrono a delineare la fattispecie abusiva di cui all’art. 323 c.p., fra i quali spicca il dolo intenzionale, data la sua difficoltà di accertamento; ma impone anche di raggiungere uno standard probatorio complessivo assai pregnante, in ragione della nuova regola decisoria dell’archiviazione, di cui al novellato art. 408 c.p.p., che impedisce l’esercizio dell’azione quando gli elementi acquisiti durante le indagini preliminari non consentano una ragionevole previsione di condanna. La consapevolezza da parte delle Procure del funzionamento sia delle nuove regole che governano la scelta relativa all’iscrizione nell’uno o nell’altro registro, sia delle nuove norme che indicano la prognosi a cui deve essere sottoposta la notizia di reato ai fini della richiesta di rinvio a giudizio, poteva impedire il verificarsi di quegli effetti patologici segnalati dalle statistiche con una prevedibile diminuzione del numero delle iscrizioni delle notizie di abuso d’ufficio; effetti patologici, quindi, che non possono essere ricondotti alla mancanza di determinatezza della fattispecie, tutt’altro.
Lotta alla corruzione transnazionale
Eppure, avremmo davvero ancora bisogno di una figura di reato quale l’abuso d’ufficio. L'abrogazione dell’abuso d’ufficio inficia infatti il microsistema corruttivo, lo depotenzia, perché tale delitto fa parte a pieno titolo del sottosistema in questione; è, come dire, l’avamposto (insieme al traffico di influenze illecite), il delitto-spia, delle figure di corruzione in senso stretto (è collegato direttamente agli artt. 318 e 319 c.p.). Si tratta di un microsistema, il diritto penale è fondato sui microsistemi: reati contro la persona, abusi di mercato, reati contro il patrimonio, reati contro la PA, ecc. I delitti di abuso d’ufficio e di traffico di influenze sono veri e propri perni del sottosistema di lotta alla corruzione; un fenomeno quest’ultimo che, si stima, ha un costo per l’economia dell’Unione pari ad almeno 120 miliardi di euro all’anno.
Che il delitto di abuso d’ufficio completi il sottosistema corruttivo si ricava non solo sulla scorta della facoltà per i singoli Stati di penalizzare l’abuso d’ufficio, ai sensi dell’art. 19 della Convenzione di ONU di Merida del 2003, ma anche dalla circostanza che esso sia presente nella legislazione penale pressoché di tutti Paesi della UE.
Gli Stati membri, i quali hanno risposto al “questionario” (25 Stati UE) inviatogli dalla Commissione per condividere le proprie norme incriminatrici concernenti la corruzione in senso lato, presentano nel loro ordinamento penale il reato di abuso d’ufficio, nessuno escluso.
Inoltre, la Proposta di Direttiva del 2023 pone un vero e proprio obbligo di criminalizzazione in tema di abuso d’ufficio. E ciò anche in base al carattere “transnazionale” del reato ex art. 323 c.p., confermato nel nostro codice penale in quanto il delitto di abuso di ufficio è inserito nel catalogo dei delitti di cui all’art. 322-bis c.p., con la conseguenza che anche gli agenti pubblici non nazionali potranno essere ritenuti responsabili di tale reato. L’altro motivo (argomento) contenuto nella Relazione al d.d.l. Nordio, che consolida la scelta abolitiva: L’eventualità di specifici “interventi additivi” nel futuro per indicazioni eurounitarie sopravvenute, i quali renderebbero possibile l’inserimento di una fattispecie di abuso d’ufficio tipizzata in modo più preciso e determinato. Ma in realtà, il nostro abuso d’ufficio era fattispecie di reato già molto circoscritta e precisa, che ricalcava quanto richiesto dalle Convenzioni internazionali e dalla futura Direttiva europea di lottaalla corruzione. E questo anche rispetto al trattamento sanzionatorio: riguardo alla sanzione, l’art. 15 lett. b) della Proposta di Direttiva cit. stabilisce che il reato di abuso d’ufficio sia punibile con una pena detentiva massima non inferiore a cinque anni; una pena leggermente superiore a quanto previsto attualmente per il nostro delitto ora depennato(4 anni di reclusione).
L'abrogazione crea una frattura, una discontinuità, e l’eventuale reintroduzione di una nuova figura di abuso (o simili) varrebbe sole per i cosiddetti “fatti futuri”, lasciando sul tappeto svariate sentenze, ex art. 673 c.p.p., di revoca di condanna definitiva imperniate sull’art. 323 c.p. (o di riapertura dei giudicati di condanna per rimodulare la pena inflitta in concorso con altri In nome della legalità
L’abuso d’ufficio è incriminazione congiunta in modo indissolubile al principio di legalità dell’azione amministrativa; e dunque al sindacato del giudice penale sulla discrezionalità.
L' abrogazione dell’abuso d’ufficio inficia infatti il microsistema corruttivo, lo depotenzia, perché tale delitto fa parte a pieno titolo del sottosistema in questione; è, come dire, l’avamposto (insieme al traffico di influenze illecite), il delitto-spia, delle figure di corruzione in senso stretto (è collegato direttamente agli artt. 318 e 319 codice penale). Si tratta di un microsistema, e il diritto penale è fondato sui microsistemi: reati contro la persona, abusi di mercato, reati contro il patrimonio, reati contro la PA, ecc. I delitti di abuso d’ufficio e di traffico di influenze sono veri e propri perni del sottosistema di lotta alla corruzione; un fenomeno quest’ultimo che, si stima, ha un costo per l’economia dell’Unione pari ad almeno 120 miliardi di euro all’anno. Che il delitto di abuso d’ufficio completi il sottosistema corruttivo si ricava non solo sulla scorta della facoltà per i singoli Stati di penalizzare l’abuso d’ufficio, ai sensi dell’art. 19 della Convenzione di ONU di Merida del 2003, ma anche dalla circostanza che esso sia presente nella legislazione penale pressoché di tutti Paesi della UE. Gli Stati membri, i quali hanno risposto al “questionario” (25 Stati UE) inviatogli dalla Commissione per condividere le proprie norme incriminatrici concernenti la corruzione in senso lato, presentano nel loro ordinamento penale il reato di abuso d’ufficio, nessuno escluso.
La Direttiva del 2023
Inoltre, la Proposta di Direttiva del 2023 pone un vero e proprio obbligo di criminalizzazione in tema di abuso d’ufficio. E ciò anche in base al carattere “transnazionale” del reato ex art. 323 c.p., confermato nel nostro codice penale in quanto il delitto di abuso di ufficio è inserito nel catalogo dei delitti di cui all’art. 322-bis c.p., con la conseguenza che anche gli agenti pubblici non nazionali potranno essere ritenuti responsabili di tale reato. L’abuso d’ufficio è quindi incriminazione congiunta in modo indissolubile al principio di legalità dell’azione amministrativa; e dunque al sindacato del giudice penale sulla discrezionalità amministrativa avente quale parametro di giudizio proprio il principio da ultimo citato. L’essenza di tale illecito penale è costituita, infatti, dal comportamento dell’agente pubblico posto in essere in violazione del principio di legalità dell’attività amministrativa, il quale, volontariamente, avvantaggia o danneggia qualcuno. Il “tipo delittuoso abuso d’ufficio” è legato in modo inscindibile al comportamento del pubblico funzionario che si estrinseca in una attività o nell’adozione di un provvedimento amministrativo che sia inosservante dei principi e delle regole che governano l’azione dei pubblici poteri.
Al giudice penale non può dunque essere sottratto il controllo sulla legalità dell’azione della pubblica amministrazione, pena l’inutilità o l’impossibilità logica di prevedere nel nostro sistema penale una tale figura di reato. Il binomio è indissolubile: abuso d’ufficio e sindacato sul cattivo uso della discrezionalità amministrativa stanno e cadono insieme (simul stabunt vel simul cadent). In definitiva abrogando l’abuso d’ufficio, si elimina il controllo di legalità del giudice penale sull’azione discrezionale della PA. Al giudice penale sarà precluso di verificare se l’esercizio dei poteri pubblici sia stato volutamente indirizzato, al di fuori della legalità, a favorire o danneggiare qualcuno.Con l'abrogazione dell'abuso d'ufficio (nel testo già depotenziato dalla riforma del 2020 e prima del 2017) i potenti sono di fatto legibus soluti e la pubblica amministrazione che dovrebbe essere imparziale nelle mani e in balia sostanziale dei potenti .
Alla faccia del principio di buon andamento e imparzialità. Con queste norme Verre sarebbe ancora governatore della Sicilia da cui
fuggì dopo le accuse di Cicerone di essersi fatto gli affaracci propri, come nell’eterna italietta dei sempiterni Giacomo Uzeda dei redivivi Viceré. E Cicerone sarebbe stato mandato a morte.Scriveva Corrado Alvaro che «la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile».