La divisione delle carriere – perché solo quelle dei magistrati togati?

di Giuliana Quattromini - 10/02/2025
Chi come me che insieme all’associazione IDF Iniziativa Democratica Forense ha combattuto per decenni in difesa dell’indipendenza della Magistratura sa bene che la separazione delle carriere è solo un pretesto per ottenere ben altro.

Verrebbe da dire: a volte ritornano, ma in realtà non sono mai andati via se pensiamo che nella seduta della Camera di giovedì 16 gennaio è stato approvato in prima deliberazione il disegno di legge preordinato a separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti.
Lo chiedeva Gelli, lo ha chiesto Berlusconi lo ripropone il Governo in carica.

Chi come me che insieme all’associazione IDF Iniziativa Democratica Forense ha combattuto per decenni in difesa dell’indipendenza della Magistratura sa bene che la separazione delle carriere è solo un pretesto per ottenere ben altro.

Al governo non interessa il funzionamento della giustizia altrimenti si occuperebbe di farla funzionare e non di gettare sabbia negli ingranaggi.
Il reale obiettivo è rappresentato dalla sottoposizione
della magistratura requirente al potere esecutivo e dal tentativo di creare un magistrato anni 50, un mite burocrate minacciato dalla politica e succube dei superiori gerarchici.

Come avvocati democratici non possiamo che esprimere radicale dissenso, nel metodo e nei contenuti, rispetto al disegno di legge che attacca la Costituzione in uno dei suoi poteri, quello giudiziario per sottoporlo all’esecutivo del governo di turno.

Qualsiasi avvocato dovrebbe prendere posizione nella convinzione che ci troviamo di fronte ad un conflitto che non riguarda soltanto il Governo da una parte e i magistrati dall’altra ma tutti i cittadini perché al centro di esso si collocano i principi della divisione dei poteri e della autonomia e indipendenza della magistratura.

Noi abbiamo particolarmente a cuore l’indipendenza sia interna che esterna della magistratura e dell’avvocatura e pertanto non può che respingersi nei suoi contenuti il disegno di legge che si ispiri ad un modello burocratico già sperimentato in un passato non invidiabile e fallimentare, con una progressione in carriera costellata di farraginosi meccanismi di concorso; dunque, inidonea a garantire le doti di equilibrio, di saggezza e di professionalità che si richiedono al giudice sin dal processo di primo grado dove, più che altrove, si assumono decisioni destinate ad influire pesantemente sulla libertà personale, sui diritti e sui beni dell'individuo.

Ma la legge non è uguale per tutti.
Infatti colpisce che mentre il governo si concentra sulla divisione delle carriere dei magistrati togati, non ha uguale spinta irrefrenabile verso i magistrati onorari.
Questi ultimi versano in palese condizione di incompatibilità in quanto esercitano contemporaneamente la giurisdizione (cioè giudicano e scrivono sentenze) e la professione di avvocato.
E allora perché queste due carriere non si possono dividere ma devono coesistere ?

Una cancellazione dall’albo degli avvocati, per esempio, potrebbe essere il primo passo verso un sano principio democratico di indipendenza dei due ruoli.
Ciò va denunciato perché se si parla di divisione di due carriere quella dei pubblici ministeri e quella dei giudici che già sono distinte e quindi indipendenti non si comprende perché si deve accettare che restino dipendenti l’una dall’altra, anzi fin troppo connesse, quella del giudice onorario e dell’avvocato.

La verità è che l’attuale governo come i precedenti cerca di imporre soluzioni più vantaggiose esclusivamente per le classi più forti e a danno dei più deboli. Per questo bisogna proporre agli avvocati e più in generale alla società iniziative che avviino una inversione di tendenza e pongano le premesse per una ben diversa riforma della giustizia, finalizzata a rendere efficiente il servizio, non già a minare l’irrinunciabile controllo di legalità.

Giuliana Quattromini

Avvocato giuslavorista

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