Alle origini della guerra: la democrazia tradita

di Domenico Gallo - domenicogallo.it - 17/07/2024
La guerra è (anche) la spia del tradimento della democrazia. Oltre due secoli fa Kant segnalava che a decidere sulla pace e sulla guerra devono essere i cittadini e non i governanti. Ma così non è stato prima della invasione dell’Ucraina da parte della Russia

Il viaggio a Mosca di Orban, teorico della democrazia illiberale, e la sconfessione che ha ricevuto a reti unificate dai media mainstream e dai portavoce delle forze politiche democratiche europee, ha fatto emergere un paradosso. A prima vista sembra che le ragioni della pace stiano più a cuore agli autocrati che alle democrazie liberali dell’Occidente, le cui classi dirigenti tendono a legittimare la guerra e preferiscono sperimentarla fino in fondo per vedere l’effetto che fa.

Immanuel Kant nel suo saggio Per la Pace perpetua, scritto nel 1795, afferma un principio contrario: solo la Costituzione repubblicana può fondare la prospettiva della pace perpetua. La ragione è la seguente:

Se per decidere “se debba esserci o no la guerra” viene richiesto il consenso dei cittadini allora la cosa più naturale è che dovendo decidere di subire loro stessi tutte le calamità della guerra (il combattere di persona; il pagare di tasca propria i costi della guerra; il riparare con grande fatica le rovine che lascia dietro di sé e, per colmo della sciagure, ancora un’altra che rende amara la pace, il caricarsi di debiti che, a causa delle prossime nuove guerre, non si estingueranno mai) rifletteranno molto prima di iniziare un gioco così brutto. Al contrario, invece, in una Costituzione in cui il suddito non sia cittadino, quindi in una Costituzione non repubblicana, decidere la guerra è la cosa sulla quale si riflette di meno al mondo. Il sovrano non è il concittadino ma il proprietario dello Stato e la guerra non toccherà minimamente i suoi banchetti, le sue battute di caccia, i suoi castelli in campagna, le sue feste di Corte e così via, e può allora dichiarare la guerra come una specie di gara di piacere per futili motivi e, per rispetto delle forme, affidare con indifferenza al corpo diplomatico, sembra pronto a questa bisogna, il compito di giustificarla.

Allora dobbiamo chiederci, se negli Stati europei che hanno una solida tradizione democratica sia stata posta ai cittadini la domanda “se debba esserci o no la guerra”, ovvero se la risoluzione delle controversie internazionali che hanno portato allo scoppio della guerra non potesse avere altra via di uscita che la vittoria militare dell’Ucraina e la sconfitta della Russia. Bisogna ritornare indietro nel tempo a quei mesi convulsi che hanno preceduto il 24 febbraio 2022 per capire se la domanda sia stata posta ai cittadini europei. In quel periodo si udiva forte il rullo dei tamburi e l’aggressione russa all’Ucraina veniva preannunciata da Biden un giorno si e un altro no. Si avvertivano i tuoni che annunciavano la tempesta, ma questa veniva avvertita come un evento della natura, piuttosto che della politica.

Eppure in quel periodo cruciale la domanda “se debba esserci o no la guerra” fu posta, uscì dal riserbo delle diplomazia e venne dispiegata con la massima chiarezza. Il 15 dicembre 2021 sul sito del Ministero degli esteri russo fu pubblicata (in russo e in inglese) una proposta di Trattato volta a superare la crisi e a riportare la distensione in Europa. La proposta prevedeva delle misure reciproche di riduzione degli armamenti e della pressione militare di un blocco verso l’altro. In particolare prevedeva:

Articolo 5

Le Parti non schiereranno missili terrestri a raggio intermedio e a corto raggio in aree che consentano loro di raggiungere il territorio delle altre Parti.

Articolo 6

Tutti gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico si impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento della NATO, compresa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati.

Nel corso di una audizione al Parlamento Europeo, il 7 settembre 2023, il Segretario generale della NATO, Stoltenberg/Stranamore, ha riconosciuto che la Russia voleva trattare, precisando che il blocco di ogni ulteriore allargamento della NATO «era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina». Quindi alla vigilia della guerra, Putin si è presentato sulla scena europea avendo in una mano un ramoscello d’ulivo e nell’altra una pistola. Il ramoscello d’ulivo era l’avvio concreto di un processo di distensione, come quello promosso da Gorbaciov nel 1989, la pistola erano le divisioni di carri armati ai confini dell’Ucraina.

Se la democrazia avesse funzionato i responsabili delle nazioni avrebbero dovuto chiedere ai popoli europei: preferite il ramoscello d’ulivo o la pistola? La risposta sarebbe stata scontata, la guerra non sarebbe scoppiata e noi ci saremmo risparmiati un milione (finora) di morti e fiumi di lacrime e sangue. Invece il dilemma è stato completamente nascosto ai popoli europei dai loro dirigenti ammaestrati da Stoltenberg. Le democrazie liberali dell’Occidente si sono comportate come delle dittature, hanno sottratto ai cittadini ogni possibilità di decidere sul loro destino. Alla domanda “volete il ramoscello d’ulivo o la pistola?”, le nostre classi dirigenti hanno risposto: la pistola!

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