Disarmo, la comune convenienza

di Rosangela Pesenti - comune-info.net - 14/03/2025
Stiamo sperimentando la potenza dei media nel dirigere i nostri pensieri, arruolarli nella produzione di un immaginario che prefigurando la realtà della guerra cerca di legittimarla.

Come troppo spesso ci è accaduto guardiamo dai margini, dalla periferia, dall’invisibilità, una piazza che si riempie litigando (begando sarebbe più appropriato) intono alla chiamata confusa di un patriarca gentile (come l’avrebbe definito Lidia Menapace) a cui si accrocchiano altri illustri della confusa e sfrangiata sinistra.

Non ci saremo e non perché non si sentiamo europee ma perché pensiamo ancora che la convocazione di una piazza possa arrivare solo dopo la discussione e l’elaborazione di una piattaforma chiara, di un patto tra soggetti che si mettono insieme per agire, dove la piazza è solo la prima manifestazione, appunto, di un piano d’azione.

Non ci saremo perché ci sentiamo cittadine del mondo e l’appartenenza a una lingua una cultura un territorio è percorso di vita non identità corazzata.

Non ci saremo perché non siamo vestali o veline, ancelle o servette di una corte in cui una nuova nobiltà maschile designata non più da dio ma dalla nuova divinità mediatica, esercita una libertà d’espressione come occupazione dello spazio comunicativo nell’apparizione magica a cui le folle possono solo applaudire o mugugnare.

Siamo contrarie al riarmo, chiediamo la diminuzione delle spese militari e l’investimento su forze di pace, sulla forza della pace.

L’invisibilità politica a cui ci riduce la divinità mediatica è una marginalità immensa rispetto a chi si costituisce come centralità che si accapiglia per definirsi in un luogo necessariamente ristretto.

Sappiamo di essere ininfluenti sui destini del nostro piccolo mondo, sconfitte dal virilismo guerrafondaio che unifica uomini autoproclamatisi diversi e in conflitto, sconfitte dalle donne che hanno creduto alle briciole di parità e ceduto al fascino imbandito alla tavola dei potenti dove essere prime e sole o poche in corsa affannosa diventa l’enorme gratificazione della vita (le nostre piccole brevi vite).

Sconfitte da donne e uomini che non conoscono la differenza tra armarsi per la guerra e addestrarsi alla difesa investendo nella diplomazia prima di tutto.

Stiamo sperimentando la potenza dei media nel dirigere i nostri pensieri, arruolarli nella produzione di un immaginario che prefigurando la realtà della guerra cerca di legittimarla.

Resistiamo alle paure indotte, alle parole servili, ai distinguo capziosi, resistiamo all’idea che la guerra è normale e pur amando la vita in pace dobbiamo definire un confine armato ed evocare nemici.

Parlo al plurale perché potrei nominare una ad una le donne che condividono questi sentimenti e potrei nominare anche molti uomini dissociati da tempo dal virilismo guerrafondaio dei patriarchi violenti e gentili. Una molteplicità variegata di persone che unanimemente sono pronte a lavorare per la pace, che lavorano ogni giorno testimoniando la possibilità della pace.

Uso il plurale perché esprimo sentimenti diffusi, nella marginalità non siamo mai sole ma in ottima compagnia. In questa molteplicità troviamo idee, pratiche, forza e intelligenza per agire. Il sentimento di pace è la vita stessa. Invito le associazioni a cui appartengo a fare un passo imprevisto, a convenire con altre per comune convenienza: il disarmo e la pace.

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