Un ragazzo palestinese, uno delle miglia di civili che in queste ore stanno affidando ai social i loro messaggi di addio, spiega così come ci si sente oggi a Gaza. In quella piscina ci sono migliaia di neonati, donne e bambini e i bagnini siamo noi.
Quanti anni avrà? Diciotto? meno? Sembra mio figlio. «Ora basta, lasciateci soli», dice. Non posterà più un video per testimoniare l’orrore, non più i cadaveri dei neonati, non più le macerie e le tendopoli in fiamme: «Prima pensavamo “Non ci vedono, non sanno cosa ci stanno facendo, dobbiamo riprendere tutto con i telefoni, dobbiamo usare la poca elettricità per postare i video e documentare”. Ora però sappiamo che sapete. Migliaia di video circolano nel mondo. Tutti avete visto cosa Israele sta facendo a Gaza. Nessuno interviene. Per la prima volta penso che sarebbe meglio se nessuno ci vedesse. Sarebbe meno doloroso che questo nostro venire massacrati davanti a milioni di occhi mentre nessuno fa niente».
Un testimone in meno, un altro. Israele ha già ammazzato oltre 200 giornalisti in questi mesi: più che qualunque altro paese in qualunque altra guerra. Colpire intenzionalmente i giornalisti è un crimine di guerra ma abbiamo fatto capire chiaramente a Netanyahu che non stia lì a contarli. Può stare tranquillo: siamo pronti ad accoglierlo e a sostenerlo, in Europa e in Usa, qualunque crimine commetta.
L’Idf non può però sterminare i giornalisti e gli attivisti israeliani. E sono sempre di più quelli che denunciano i crimini del loro esercito, raccogliendo gli sfoghi dei soldati spediti a fare strage di innocenti. Esce ora l’ultimo rapporto dell’Ong israeliana Breaking the silence (breakingthesilencebd.org), fondata nel 2004 da tre ex soldati israeliani - Avichai Sharon, Yehuda Shaul e Noam Chayut - per raccogliere le testimonianze dei militari che avevano svolto servizio a Gaza e in Cisgiordania. Volevano dare ai loro commilitoni la possibilità di aprirsi, confessare il loro smarrimento, svelare la distanza tra la propaganda della quale erano stati vittime - la difesa di Israele - e la realtà: lo sterminio e la rimozione forzata dell’intero popolo palestinese. Il nuovo rapporto si intitola “Il perimetro - una nuova raccolta di testimonianze di soldati che hanno combattuto a Gaza nel 2023-2024”. Racconta l'annientamento sistematico di cose e persone durante la creazione della della cosiddetta “zona cuscinetto” larga oltre un chilometro lungo il confine di di Gaza, dalla costa a Nord al confine egiziano a Sud, ricavata non dal lato israeliano, ovviamente, ma all’interno del territorio della Striscia, violando per l’ennesima volta i confini riconosciuti a livello internazionale (giusto per ricordarlo a chi “C’è un invaso e un invasore”. Come mai, invece di inviare all’invaso, stavolta armate l’invasore?). Tutto quello che si trovava all’interno della “zona” è stato eliminato, senza fare distinzione tra neonati e combattenti, ambulanze e postazioni militari:
«L’ordine era di distruggere tutto», confessa un sottufficiale dll’Idf:
«Cosa intendi per "tutto"?»
«Tutto è tutto. Tutto quello c’è».
«Anche i Frutteti?»
«Sì».
«Stalle, pollai…»
«Sì, sì».
«Ogni edificio e ogni struttura?».
«Ogni edificio e ogni struttura. Tutto».
«Che aspetto ha la zona dopo?»
«Hiroshima. Questo è quello che direi, Hiroshima».
Così sono stati distrutti interi villaggi, scuole, oltre un terzo dei campi coltivati di tutta Gaza. Fa parte del piano: usare la fame per sterminare i palestinesi. «Non un chicco di grano entrerà a Gaza», ha promesso il ministro israeliano Smotrich, appena tornato dalla sua visita a Washington: «Abbiamo il sostegno degli Stati Uniti per aprire le porte dell’inferno a Gaza».
E le regole di ingaggio?
«Erano queste».
«Ma come facevano i civili a sapere qual era il confine della zona cuscinetto da non oltrepassare?»
«Come facevano a saperlo? Bella domanda. Direi che, quando vedevano che un buon numero di persone veniva ucciso, capivano dove passava la linea invisibile e giravano alla larga».
Tranne chi la linea invisibile la oltrepassava per fame, per raccogliere la malva cresciuta selvatica tra i resti di campi coltivati distrutti dai bulldozer.
«Venivano a raccogliere la malva. Si capiva. Stavano morendo di fame. Sparavamo lo stesso. Anche se vedevamo una donna entrare con la sporta e chinarsi. Boom!».
Erano queste le regole di ingaggio?
«Ci hanno spiegato che a Gaza “non c’è popolazione civile, che i palestinesi sono “tutti terroristi”», spiega un ufficiale, che intervistato dal Guardian confessa:
«Dopo il 7 Ottobre molti di noi hanno sentito il bisogno di imbracciare un’arma. Io stesso sono andato a Gaza perché pensavo “Ci hanno ucciso e ora noi uccideremo loro!”. Ho scoperto che non stiamo uccidendo quelli che ci hanno ucciso. Stiamo uccidendo tutti. Stiamo uccidendo le loro mogli, i loro figli, i loro gatti, i loro cani. Stiamo distruggendo le loro case e pisciando sulle loro tombe».
Quando, da bambini, leggevamo il Diario di Anna Frank, agli adulti domandavamo perché gli adulti di quel tempo lì non avessero fatto niente, e come facessero a non sapere, e perché erano più quelli che davano la caccia ai bambini di quelli che li nascondevano. I bambini di domani ci domanderanno che cosa facevamo noi oggi. Se anche noi facevamo il tifo per gli assassini, se anche noi facevamo finta di niente. Chiunque ha una voce pubblica ha l’imperativo morale di usarla per denunciare il genocidio a Gaza. Dovremmo darne conto ai direttori di tv e giornali: è quello che spinge tanti a restare in silenzio. Ma di quel silenzio dovremmo conto ai nostri figli e nipoti. Il loro sguardo non è più difficile da sostenere di quello del direttore?