Le parole di Mattarella a Porto segnano un passaggio spaventoso nella lettura occidentale della guerra in Ucraina. Tale lettura, partendo dall’ipotesi che il conflitto non si concluda con un processo, cioè con un negoziato che conduca a una pace giusta, sostiene che “se l’Ucraina cadesse assisteremmo a una deriva di aggressioni ad altri Paesi ai confini della Russia e questo – come avvenne nel secolo scorso tra il ‘38 e il ‘39 – condurrebbe a un conflitto generale e devastante”.
Questa proiezione nel futuro, se fosse solo di Mattarella, sarebbe sì una previsione catastrofica ma non realistica; tuttavia Mattarella non è un uomo qualunque occidentale, bensì il rappresentante costituzionale di un grande Paese come l’Italia. E se questa visione fosse anche di altri più potenti capi dell’Occidente, o addirittura della destra neoconservatrice americana a cui si è associato Joe Biden, le scelte politiche che ne conseguirebbero sarebbero di una inaudita e micidiale gravità.
Il paragone con gli inizi della seconda guerra mondiale riporta al movente dell’aggressione tedesca, che era ufficialmente, come ne testimoniava il “Mein Kampf”, l’estrema versione della cultura occidentale che dalla “scoperta” dell’America in poi aveva teorizzato la superiorità etnica dei popoli bianchi europei sugli Indios e i popoli di colore, idea espressamente perdurata fino ad Hegel e a Croce, e perfino giunta al dizionario francese Larousse.
Nel nazismo questa concezione giunse, come si sa con orrore, , fino al giudizio sugli Ebrei e altri popoli e ceti inferiori. La guerra che ne scaturì non poteva che essere totale; sia pure tardivamente anche l’America reagì, fino al punto da suggellare la disfatta della Germania e del Giappone con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Ne conseguì l’idea che l’atomica dovesse essere detenuta solo dall’America, come sentinella e arbitra del dopoguerra, tanto che i coniugi Rosenberg, accusati di averne trasmesso i segreti alla Russia, furono condannati a morte e giustiziati.
I paragoni storici non sono innocui. Assimilare l’attuale capitalismo nazionale e multipolare della Russia al nazismo della Germania hitleriana, prospetta all’Occidente un’alternativa assoluta, dalle conseguenze inimmaginabili. Essa consisterebbe nell’avverarsi di una interpretazione letterale della Bibbia, nel suo ultimo libro, l’Apocalisse, che secondo la stessa Commissione biblica vaticana corrisponde a un “suicidio del pensiero”: un suicidio che può diventare anche un suicidio del mondo.
Un’ipotesi del genere non è però meno verosimile di quella che attribuisce alla Russia un progetto di invasione dell’Europa. Sta scritta infatti nei due documenti dell’ottobre scorso della Casa Bianca e del Pentagono sulla “sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Essi dicono che, liquidata la Russia, di cui ormai è data per scontata “l’incapacità militare”, la sfida finale, “culminante”, la “pacing challenge” sarà con la Cina; e questo sì che sarebbe un conflitto generale e devastante.
Non resta che sperare che né l’una né l’altra ipotesi si avveri. Il rischio è però che la sconfitta dell’Ucraina, se non si va al negoziato, in quanto sconfitta delle armi dell’Occidente e dei dollari americani, sia interpretata, e non senza fondamento, come una sconfitta dello stesso Occidente, cosa che nel ‘38-‘39 non fu giustamente accettata. Ma nel ‘38-‘39 l’arma nucleare ancora non c’era, la guerra non era perciò ancora andata “fuori della ragione”, come doveva dire più tardi Giovanni XXIII.
Perciò, se la speranza non deve essere un’alienazione, bisogna ricorrere alla politica, e le frazioni più ragionevoli dell’Occidente dovrebbero portare Zelensky e i suoi generali, ucraini e atlantici, al tavolo delle trattative, per stipulare finalmente un compromesso territoriale, politico e di sicurezza con la Russia, abbandonando, gli uni e gli altri, le micidiali evocazioni del nazismo.