Naturalmente c’è da sperare che questo progetto abnorme fallisca subito. Ma il solo fatto che sia stato “pensato” getta una luce livida sul gruppo dirigente di Israele che, anche agli occhi di compassati osservatori ultra-atlantisti, appare ormai posseduto dal demone di una “visione millenaristica, simile a quella dell’Isis musulmano”.
Stiamo parlando del programma di “formazione di gruppi civili armati affiliati alle comunità ebraiche all’estero, per contrastare il movimento di lotta contro l’occupazione israeliana, negli Stati Uniti d’America e in Europa”, che ha il suo massimo progettista nel ministro della sicurezza di Tel Aviv, Itamar Ben Gvir.
Ossia qualcuno che in questo momento ha il potere di fare ciò che ha in testa, non un pirla qualsiasi che balla sui tavoli di una birreria sparando scemenze che diventerebbero tragedie, se messe in pratica.
Ha il potere, dunque, di creare in diversi paesi del mondo – pescando nell’ala sionista estrema delle comunità ebraiche, non certo tra i membri di associazioni la Jewish Voice of Peace – “squadre di allerta”, ossia gruppi armati composti da civili che rientrano nel “comando del fronte interno dell’esercito“. Insomma, agli ordini del governo di Tel Aviv.
Per la formazione di queste “truppe irregolari” all’estero il governo Netanyahu si impegna a fornire “supporto professionale, compresa la formazione e il rafforzamento della risposta tecnologica di sicurezza“.
Per tranquillizzare almeno in parte i governi che si ritroveranno queste bombe in casa, per di più alla vigilia di ricevere un mandato di cattura internazionale, Ben Gvir ha assicurato “piena collaborazione con la polizia locale e le autorità competenti”.
La gravità di questo progetto è tale da sconvolgere quel che resta – non molto, in verità – della cornice costituzionale delle “democrazie liberali”.
Vediamo perché.
La difesa delle comunità ebraiche nel mondo
E’ completamente falsa la premessa-obiettivo. Nella storia dell’umanità non c’è mai stato, probabilmente, un periodo così tranquillo per le numerose comunità ebraiche sparse in moltissimi paesi, sia dell’Occidente che non.
Gli attentati di diversi gruppi palestinesi all’estero sono ormai un ricordo lontano di una fase della Resistenza che si era chiusa con gli “accordi di Oslo” e l’inizio della costruzione di uno Stato palestinese. Processo che la destra israeliana ha interrotto assassinando Yitzhak Rabin, il primo ministro che li aveva firmati. e intensificando l’espansione delle colonie in Cisgiordania.
Da allora, comunque, la lotta dei palestinesi è rimasta all’interno degli incerti confini di Israele e dei territori occupati, come dimostra la storia delle varie Intifada.
All’estero i pochi episodi di antisemitismo violento sono stati in genere gesti isolati oppure di lieve entità (tipo, in Italia, gli sfregi alle “pietre di inciampo”), con protagonisti i nazifascisti “classici”, o “nostalgici”, che oggi appaiono compattamente al fianco del governo Netanyahu e dello stato militarista israeliano.
C’è da ricordare, infine, che anche i gruppi più sanguinari del “terrorismo islamico” – tipo l’Isis – non hanno mai preso a bersaglio né Israele né le comunità ebraiche. Il che ha naturalmente sollevato non poche domande sulle triangolazioni teoricamente possibili…
Dunque il “nemico” individuato da Ben Gvir e Netanyahu, come esplicitamente dichiarato, sono i movimenti pacifisti che in tutto il mondo stanno premendo per isolare il governo genocida cui appartengono.
Il monopolio statale della forza
In ogni caso, e in tutti i paesi del mondo, la “difesa delle comunità ebraiche” – come di qualsiasi altro cittadino o comunità – è compito dello Stato che le ospita, tramite le sue forze armate e di polizia, non di “milizie statali straniere”.
Sappiamo che da decenni, all’interno delle comunità ebraiche, esistono nuclei di “autodifesa”, armati e con regolare porto d’ami italiano, posti a protezione delle sinagoghe e di altri luoghi simbolicamente importanti (il Ghetto di Roma, per esempio). Ma il loro ruolo è stato fin qui decisamente “difensivo”, anche se spesso in modo molto aggressivo (lo sa bene chiunque abbia provato a passare nei dintorni del Portico D’Ottavia indossando qualcosa che assomigliava ad una kefiah…).
Il programma di Ben Gvir punta però a cambiare radicalmente la funzione di questi “nuclei armati”.
La premessa, falsa, serve a nascondere il carattere eversivo del progetto israeliano: creare un corpo militare irregolare – “civili armati e sottoposti al proprio comando” – operanti in paesi sovrani, sia “alleati” che non.
Ricordiamo che ogni Stato al mondo si caratterizza per il monopolio della forza, ossia per il potere esclusivo di organizzare e sviluppare un esercito, forze di polizia, servizi di sicurezza, ecc.
Gli unici “stranieri” abilitati a portare ed eventualmente utilizzare armi sono i militari di paesi alleati con cui sono stati sottoscritti accordi di mutua assistenza (esempio classico italiano: gli statunitensi nelle basi Nato), oppure gli agenti di scorta a ministri o presidenti, temporaneamente in visita nel paese.
Una milizia composta da civili obbedienti ad un altro Stato è una bomba posta sotto l’autorità e la “sovranità” del paese che la “ospita”. A maggior ragione se – come nel caso di civili che dispongono di una “doppia nazionalità” – non esiste un obbligo di dichiarare una “priorità”.
Facciamo esempi semplici, così da facilitare la comprensione anche ai non esperti di regole istituzionali.
Un qualsiasi calciatore, se dispone di una doppia nazionalità, deve prima o poi scegliere una volta per tutte per quale paese intende giocare se convocato in nazionale. Non può insomma scegliere di volta in volta, mettendo così sempre in dubbio la sua reale appartenenza e “onestà sportiva”.
A maggior ragione, un/a potenziale soldato/essa deve scegliere per quale paese è disposto a combattere, perché non è affatto detto che le due “nazioni” che gli riconoscono la cittadinanza saranno sempre in pace tra loro.
Si sa che in questo momento circa 1.400 cittadini italiani sono stati o sono impegnati come riservisti o militari al fronte, tra Gaza e il confine con il Libano. Oggi Italia e Israele sono parecchio “complici”, ma un auspicabile cambiamento politico in uno dei due paesi potrebbe un giorno metterli in contraddizione.
Per chi combatterebbero quei miliziani sionisti? Stanti le caratteristiche note del progetto israeliano, quei miliziani sarebbero una sorta di “quinta colonna” dell’esercito di Tel Aviv in Italia. Armati e formati per combattere, ma agli ordini di un governo “straniero”. Magari considerato “nemico”. Eventualmente, insomma, anche contro un governo meno sdraiato sugli interessi di Israele.
Quasi un casus belli, secondo le regole internazionali.
Una milizia nazionalista per condizionare il quadro internazionale
Peggio ancora. La creazione di questa milizia non ha confini, riguarda potenzialmente ogni paese del mondo in cui esiste una comunità ebraica (o meglio: dove esiste un’ala “sionista combattente”).
Avremo insomma una rete militare/informativa con dimensioni quasi mondiali ma obbediente agli interessi strategici di un solo paese, oltretutto perennemente in guerra con i suoi vicini e i loro alleati. Una rete, detto altrimenti, che dissemina la logica e la pratica della guerra nazionalista praticamente dappertutto. Ad insindacabile giudizio di un governo – come detto – posseduto da una “visione millenaristica, simile a quella dell’Isis musulmano”…
A ben guardare, si tratta del rovesciamento finale della grandiosa storia cui tanto avevano contribuito rivoluzionari di origine ebraica. Dall’internazionalismo liberatorio al nazionalismo predatorio sul mondo, dall’uguaglianza tra tutti gli esseri umani alla pretesa di supremazia “divina” di un unico gruppo etnico-religioso.
Interferenza deliberata nella dialettica politica di altri paesi
Non è ancora finita. Queste squadre armate sioniste, già nella definizione degli “scopi”, assumono come “nemico” quella parte della popolazione e del panorama politico che non condivide affatto il genocidio in corso a Gaza e, appena meno esplicito, in Cisgiordania.
In altri termini, la finalità di queste squadre è condizionare militarmente la dialettica politica di ogni paese i cui saranno presenti. Una modalità che si aggiunge, eventualmente, a quelle ordinarie nel capitalismo attuale (basti citare l’informazione, per esempio).
Pratiche omicide
Il carattere specificamente militare di quelle “squadre”, enfatizzato peraltro dagli stessi ministri israeliani, mette esplicitamente nel mirino – in senso letterale – chiunque critichi la politica di Tel Aviv, a partire dal noto mantra secondo cui ogni obiezione a Israele sarebbe una manifestazione di “antisemitismo” (sul punto consigliamo sempre la lettura di un altro nostro articolo).
Israele si fa storicamente un vanto delle proprie pratiche di “guerra sporca”, con in testa le esecuzioni mirate. Finché questa capacità – diversi decenni fa – si limitava al rintracciare ed eliminare i criminali nazisti, nessuno trovava molto da obiettare. Anzi…
Quando ha cominciato a rivolgersi contro i dirigenti palestinesi costretti all’esilio, già era diventata una pratica intollerabile (pur se molto tollerata dai governi imperialisti). Solo a Roma tra il 1972 e il 1982 sono stati uccisi quattro dirigenti palestinesi.
Ma se “il nemico” sono i movimenti che in Occidente e altrove – sempre pacificamente e a mani nude – stanno animando le piazze a favore del “cessate il fuoco”, lo slittamento verso uno stragismo reazionario e nazionalista diventa un pericolo immediato. Secondo il linguaggio ordinario, insomma, sarebbe (o sarà) terrorismo sionista.
Conoscendo le “pratiche” israeliane non si fa fatica a immaginare un lavoro di intelligence (condotto “in collaborazione con la autorità locali”, se queste sono spianate sulle posizioni sioniste) per schedare e selezionare i “target” per poi condurre azioni “offensive”, magari graduando tra “pestaggi mirati”, “stupri punitivi” (come minacciato in piazza il 25 aprile), fino agli omicidi.
E’ chiaro anche che queste azioni, essendo opera di “milizie irregolari”, non sarebbero ufficialmente rivendicate (se non magari dopo anni), rimanendo avvolte nelle nebbie dei “si dice”, alimentando magari la “dietrologia” che specie in Italia ha una tradizione fognaria solidissima.
Ma è anche il caso di ricordare che questa torsione omicida dell’identità sionista, che si propone di assorbire totalmente l’identità ebraica, mette a rischio proprio le comunità che dice di voler “difendere”, esponendole a qualsiasi follia o ritorsione.
Al contrario che in Israele, infatti, gli ebrei nel mondo non vivono in una sorta di fortino fondato sull’apartheid, ma – giustamente – come tutti gli altri cittadini locali. Ovvero come individui e famiglie libere, che si riuniscono solo nelle scadenze rituali.
Militarmente indifendibili, insomma, a dimostrazione che la “premessa” alla base di questo programma è non solo totalmente falsa, ma anche terribilmente pericolosa per le comunità ebraiche.
In altri termini, come già osservato da molti ebrei non sionisti, “il più potente incentivo all’antisemitismo è proprio il governo Netanyahu“,
Riassumendo
Violazione della “sovranità” degli Stati, interferenza militare nella dinamica politica di altri paesi, violenza organizzata contro una parte delle popolazioni e specificamente i movimenti solidali…
Ce n’è abbastanza per pretendere che nessun governo europeo si presti a “collaborare” con questo programma.
Ma, chissà com’è, ci sembra che l’aria sia decisamente opposta…