Durante il disastro della guerra del Vietnam circolava un detto: che il governo degli Stati Uniti trattasse l’opinione pubblica come una coltivazione di funghi. La teneva all’oscuro e la nutriva di letame.
Poi l’eroico Daniel Ellsberg fece trapelare i Pentagon Papers e documentò la montagna di menzogne inventate da Washington per proteggere i politici, che sarebbero stati alquanto in imbarazzo se la verità fosse venuta a galla. A 50 anni da quelle vicende, la tecnica del letame va ancora per la maggiore con la guerra in Ucraina.
Secondo il governo Usa e il sempre ossequioso New York Times, il conflitto è unprovoked, ossia “non provocato”. È l’aggettivo preferito dal quotidiano newyorchese per descrivere la guerra. Putin avrebbe invaso l’Ucraina perché si crede Pietro il Grande e vuole l’Impero russo. E invece la verità è emersa proprio la settimana scorsa, quasi per caso, grazie a una gaffe del Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg In un discorso al Parlamento europeo, Stoltenberg ha accidentalmente rivelato che la vera causa della guerra, e il motivo per cui si continua a combattere, è la spinta incessante degli Usa ad allargare la Nato all’Ucraina. Ecco le parole rivelatrici del segretario Nato:
“Sullo sfondo c’era la dichiarazione del presidente Putin dell’autunno del 2021, che in realtà aveva già inviato una bozza di trattato che voleva far firmare alla Nato, in cui ci chiedeva di promettere di non allargare ulteriormente l’Alleanza. Era una condizione preliminare per non invadere l’Ucraina. Naturalmente noi non abbiamo firmato, anzi è successo l’opposto. Putin voleva che firmassimo l’impegno a non allargare mai la Nato e voleva che smobilitassimo le nostre infrastrutture militari atlantiche in tutti i Paesi entrati a far parte dell’Alleanza dopo il 1997. Si trattava di metà della Nato, voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la Nato da tutta l’Europa centrale e orientale, introducendo una sorta di adesione di serie B. Abbiamo respinto questa richiesta. Perciò Putin è entrato in guerra, per evitare che ci fosse più Nato ai suoi confini e ha ottenuto l’esatto opposto”.
Ripetiamo il punto essenziale di questo discorso: Putin è entrato in guerra per evitare di avere più Nato ai suoi confini. Quando questa frase l’abbiamo detta io, il prof. John Mearsheimer e altri, siamo stati tacciati di essere apologeti di Putin. Chi ci ha attaccato ha scelto anche di nascondere o ignorare apertamente i forti moniti contro l’allargamento della Nato all’Ucraina pronunciati a tempo debito da molti importanti diplomatici americani, come lo statista George Kennan o gli ex ambasciatori Usa in Russia, Jack Matlock e William Burns.
Prima di diventare direttore della Cia, Burns è stato il rappresentante americano in Russia nel 2008 ed è lui l’autore di un cablo pubblicato in seguito da Wikileaks intitolato “Niet significa niet”. In quel messaggio Burns spiegava al Segretario di Stato Condoleezza Rice che non solo Putin, ma l’intera classe politica russa era assolutamente contraria all’allargamento della Nato a Est. Conosciamo il contenuto di questa nota solo perché è trapelato, altrimenti ne saremmo all’oscuro. Ora, perché la Russia si oppone all’allargamento della Nato? Per il semplice fatto che non accetta la presenza di militari Usa lungo i suoi 2300 km di confine con l’Ucraina nella regione del mar Nero. La Russia non apprezza il posizionamento da parte degli Stati Uniti dei missili Aegis in Polonia e Romania, installati dopo che gli Usa hanno abbandonato unilateralmente il Trattato sui missili anti-balistici.
Alla Russia non piace nemmeno il fatto che Washington abbia portato avanti non meno di 70 operazioni cosiddette di “regime change” tra il 1947 il 1989, durante la Guerra Fredda, e abbia continuato anche dopo. Basti citare la Serbia, l’Afghanistan, la Georgia, l’Iraq, la Siria, la Libia, il Venezuela e l’Ucraina. Alla Russia non piace nemmeno il fatto che molti politici statunitensi di spicco sostengano attivamente la tesi della distruzione della Russia con lo slogan della “decolonizzazione della Russia”. Sarebbe come se Mosca chiedesse di levare agli Stati Uniti il Texas, la California, le Hawaii o i territori indiani conquistati nell’800.
Anche Zelensky e i suoi sapevano che l’ingresso nella Nato avrebbe scatenato una guerra con la Russia. Oleksiy Arestovych, ex consigliere del presidente ucraino, nel 2019 dichiarò in un’intervista: “Al 99,9% il prezzo che dovremo pagare per l’adesione alla Nato è una grande guerra con la Russia”. Arestovych sosteneva anche che Mosca avrebbe cercato comunque di conquistare l’Ucraina anche se non fosse entrata nell’Alleanza, ma lo avrebbe fatto molto più tardi. La storia però smentisce la sua affermazione. La Russia ha rispettato la neutralità della Finlandia e dell’Austria per decenni senza minacciarle né invaderle. Inoltre dall’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 fino al rovesciamento sostenuto dagli Usa del governo eletto di Kiev nel 2014, la Russia non ha mostrato alcun interesse a conquistare il territorio ucraino. È stato solo dopo che gli Usa hanno insediato un regime fortemente anti-russo e pro-Nato nel febbraio 2014 che Mosca si è ripresa la Crimea, preoccupata che la sua storica base navale sul Mar Nero (dal 1783) potesse cadere in mano degli Alleati.
Anche allora, la Russia non pretendeva altri territori dall’Ucraina che quelli inclusi nell’accordo Minsk II, sostenuto dalle Nazioni Unite, che prevedeva l’autonomia del Donbass e della sua popolazione di etnia russa, ma nessun’altra rivendicazione sul resto del territorio ucraino. E invece gli Usa hanno lasciato da parte la diplomazia e hanno armato Kiev, addestrato i suoi soldati e l’hanno aiutata a costruire un enorme esercito per trasformare in fatto compiuto l’allargamento della Nato.
Alla fine del 2021, Putin fece un ultimo tentativo di diplomazia per evitare la guerra, con la sua bozza di accordo di sicurezza Usa-Nato. Il cuore di quel testo era la fine dell’allargamento della Nato e la rimozione dei missili statunitensi vicini ai confini russi. Le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza allora erano valide e costituivano una base negoziale. Biden però rifiutò categoricamente di trattare, per una combinazione di arroganza, aggressività e profondi errori di calcolo. Così la Nato mantenne la posizione di non negoziare con la Russia in merito all’allargamento dell’Alleanza, perché Mosca non si doveva intromettere.
La continua ossessione degli Usa per l’allargamento della Nato è profondamente irresponsabile e ipocrita. Se venissero accerchiati da basi militari russe o cinesi nell’emisfero occidentale, anche loro si batterebbero strenuamente fino alla guerra. Del resto, Washington lo ha sempre sostenuto fin dalla Dottrina Monroe del 1823. Eppure oggi si mostra cieca e sorda di fronte alle legittime preoccupazioni di sicurezza di altri Paesi. Quindi, sì, Putin è entrato in guerra “per evitare che ci fosse più Nato ai suoi confini”. L’Ucraina oggi viene distrutta per via dell’arroganza degli Usa, dimostrando ancora una volta quanto sia valido l’adagio di Henry Kissinger per cui essere nemici dell’America può essere pericoloso, ma essere suoi amici è fatale. La guerra in Ucraina finirà quando gli Stati Uniti riconosceranno una semplice verità: l’allargamento della Nato all’Ucraina significa una guerra perpetua e la distruzione del Paese. Al contrario, la neutralità dell’Ucraina avrebbe potuto evitare lo scoppio della guerra e oggi rimane la chiave per ottenere la pace. La verità più profonda è che oggi la sicurezza dell’Europa dipende dalla sicurezza di tutti, come ha detto anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), e non solo dalle richieste unilaterali della Nato.
Traduzione di Riccardo Antoniucci