Dobbiamo aiutare il popolo ucraino aggredito oppure dobbiamo fare guerra a Putin? Questa grande ambiguità si è insinuata sin dall’inizio in molti discorsi, tacitamente avallata o più apertamente sbandierata. E ormai è un’ambiguità tale, da non permettere quasi più di distinguere i due obiettivi che, a ben guardare, son ben diversi. Perché un conto è salvare le vite degli ucraini, il che è possibile solo fermando immediatamente il conflitto con intermediari, trattative, soluzioni concordate, altro conto è adottare misure belliche contro la Russia di Putin, cioè rischiare una catastrofe senza precedenti. Chi mira al primo obiettivo, oltre che salvare le vite degli ucraini, ha a cuore il bene dei popoli europei. Chi invece sottintende, in modo più o meno subdolo, il secondo obiettivo vuole aprire gli scenari di una nuova, devastante e sconosciuta catastrofe. Siamo davvero arrivati al punto di considerare seriamente chi dice che “meglio di un mondo con Putin ai confini della Ue è una guerra nucleare”? Quelli che oggi parlano a favore di quest’ultima ipotesi dovrebbero assumersi le proprie responsabilità anche per il futuro.
D’un tratto lo spazio pubblico italiano si è popolato di falchi. Mentre il coronavirus è ancora qui, siamo stati proiettati in un conflitto di cui pochi conoscono effettivamente le cause e di cui non si indicano le vie d’uscita. Dopo aver sopportato a lungo la propaganda sovranista contro i “clandestini”, gli stranieri, gli immigrati, e dopo le vicissitudini della pandemia, tra l’iniziale “virus cinese” e le sbandate no vax, adesso veniamo trascinati in una grottesca e velenosa campagna di Russia imbastita con slogan militaristici, parole d’ordine che infondono paura e fomentano l’odio. Resta più che mai il “nemico” – solo che questa volta è il “russo”, a cominciare da quello della porta accanto. Così, ad esempio, è stato picchiato a scuola, in provincia di Brescia, un adolescente italiano la cui madre è russa. Un ulteriore buon bersaglio sono i cosiddetti “pacifisti”, cinici e ignavi, nonché tutti coloro che non condividono questa campagna ideologica – ed è forse la maggioranza del paese.
Questa campagna di Russia, sponsorizzata dietro gli schermi, si muove intorno ad alcuni capisaldi. Il primo è che tutto dipenderebbe da Putin, da quel che sta nel suo cervello, dai suoi deliri, dalla sua follia. Ci sono addirittura psichiatri e psicanalisti di calibro che si sono lanciati in tragicomiche diagnosi a distanza. Se lui, che è la causa di tutti i nostri mali, venisse eliminato, tutto sarebbe di nuovo come prima. Il che è buon modo per depoliticizzare completamente la questione ed evitare di considerarla nella sua complessità. Il secondo caposaldo è l’altrettanto ridicola battaglia contro gli oligarchi, perpetrata a colpi di sequestri di uno yacht e una villa – briciole evidentemente! – e compiuta a scopi interni, per preparare l’opinione pubblica a quel che dovrà venire, cioè agli effetti tremendi delle sanzioni qui. Ma contano davvero gli oligarchi nel sistema politico di potere di Putin? E queste misure sono la via giusta? C’è da dubitarne. Il terzo caposaldo sta nella vecchia frase proverbiale “armiamoci e partite”, quella che condensa purtroppo tanta italianità roboante e farsesca che tuttavia ha già portato a effetti devastanti. E, a proposito di storia, e di paragoni avventati, privi di ogni fondamento, è il caso di dire, con voce ben ferma, che non vogliamo ripetere gli errori del passato. Fa una certa impressione ascoltare i moniti lucidi e pacati dei generali dell’esercito, che evidentemente sanno di che cosa parlano, di fronte ai chiassosi e scomposti discorsi di politici, come il ministro degli Esteri, che dovrebbero avere un di più di responsabilità.
Per difendere gli ucraini aggrediti occorre fermare immediatamente questa guerra, lì dove viene combattuta, attraverso negoziati condotti da autorità europee interposte a quelle belligeranti. Non si difendono invece gli ucraini facendo dilagare il conflitto, modificandone portata e obiettivo. È quello che tenta di fare chi fomenta la campagna di una nuova “guerra giusta”, contrabbandandola come crociata all’insegna della democrazia e della libertà contro l’autocrazia. Ne abbiamo abbastanza di “guerre giuste”, quest’ossimoro di cui conosciamo già gli esiti devastanti. Non sembra né prudente né avveduto andare a “liberare il popolo russo dal tiranno”. La Russia di Putin non è purtroppo solo quella dei dissidenti che manifestano a Pietroburgo; c’è un Paese enorme e variegato, con una sua storia difficile – e molto europea. Quando il popolo russo avrà autonomamente raggiunto il punto di svolta, si libererà da Putin. Nel frattempo, quello che noi avremmo dovuto fare, che dovremmo fare, sarebbe proprio moltiplicare i contatti, le occasioni di scambio in tutti gli ambiti. Chiuderli dietro una nuova cortina, ricacciarli dietro lo stigma del “nemico” non serve a loro e non serve a noi.