ROMA. Manifestazione per la pace: grande, pacifica, plurale

di Alfiero Grandi - jobsnews.it - 08/03/2022
Se si decide che il confronto pacifico deve vincere occorre trarne le conseguenze e ricostruire modalità multilaterali di soluzione dei conflitti e delle tensioni e in questo ambito il ruolo dell’ONU torna ad essere la sede di cui abbiamo tutti bisogno

A Roma una manifestazione per la pace grande, pacifica, plurale con l’obiettivo di fermare la guerra in Ucraina, iniziata con l’aggressione russa. Altre manifestazioni in Italia. Altre ancora in Europa. Da segnalare quella molto partecipata in Germania. Le posizioni nelle manifestazioni non sono tutte uguali. Si partecipa da diversi punti di vista alla costruzione di un grande movimento per la pace perché l’obiettivo è fermare la guerra e i suoi orrori. Chiamarsi fuori da questo movimento perché le parole d’ordine sono diverse è un errore, è la situazione stessa che si presta a diversi approcci e motivazioni, ciò che conta è l’accordo di tutti sul fermare la guerra, per rovesciare la corsa alla morte e alla distruzione. L’auspicio è che diventi un movimento forte, esteso e unitario, tale da riuscire a ribaltare la tendenza a proseguire questa guerra, che lascerà dietro di sé morti, feriti, distruzioni, danni immensi sui bambini.

Siamo tutti colpiti nel profondo dalle immagini, dalle notizie, dalle vittime, dalle distruzioni. Tuttavia occorre farsi forza e chiedersi perché una guerra come questa sia possibile oggi in Europa, in una dimensione che supera quella atroce nella ex Jugoslavia (100.000 morti) che pure è stata uno strappo violento nei rapporti tra persone e tra popoli che prima sembravano avere imparato a vivere insieme. In questi giorni ci si chiede perché non si avvii un vero tavolo di trattativa per fermare i combattimenti e tentare una soluzione ai problemi. Perché un tavolo di pace ha bisogno di mediatori, meglio autorevoli, che per ora sono solo ipotetici, a volte improvvisati. Dopo l’inizio dei combattimenti i colloqui diretti tra Russia e Ucraina si sono rivelati difficili. È difficile che le parti direttamente coinvolte riescano a trovare la via della trattativa per risolvere i problemi. La prosecuzione della guerra peggiora la situazione.

Putin pensa ancora di farcela a raggiungere i suoi obiettivi e Zelensky chiama alla resistenza i suoi compatrioti, con una tendenza a cercare di coinvolgere altri paesi verso un sostegno diretto. Comprensibile sperare che la trattativa decolli, ma per uscire da questo vicolo cieco va aiutata a nascere. È una scelta. Chi può gestire la mediazione per fermare i combattimenti e avviare una soluzione al conflitto? Ci sono candidati, per diverse ragioni, vista l’emergenza drammatica per iniziare andrebbero bene anche queste iniziative. Tuttavia la sede deputata a questo ruolo dovrebbe essere l’ONU, chiedersi perché l’ONU non prende l’iniziativa vuol dire dimenticare che in questi anni è stato volutamente indebolita, vissuta come un intralcio, basta ricordare Trump, ma non è il solo.

Oggi il ricordo delle ragioni per la costituzione dell’Onu è sbiadito, eppure è nata per sostituire il fallimento della preesistente Società delle nazioni che non seppe prevenire la guerra. Il sogno di Roosevelt di dare vita ad una sede internazionale (l’Onu) in grado di gestire i rapporti tra gli stati del mondo ripudiando il ricorso alla guerra prese vita durante la Seconda guerra mondiale, coinvolgendo i protagonisti del fronte antinazista e antifascista. Con Roosevelt, Stalin, Churchill, De Gaulle, Mao. Del resto sono questi i paesi che occupano i seggi permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU con diritto di veto sulle decisioni. Il respiro di quel sogno guardava ad un governo delle tensioni e dei conflitti nel mondo per prevenire o risolvere quelli armati. Chi aveva conosciuto la guerra mondiale non aveva dubbi che perfino l’accordo meno soddisfacente era preferibile alla guerra, tanto più dopo Hiroshima e Nagasaki. I conflitti dal 1952 ci sono stati, ma governati in modo da limitarli e assorbirli nel limite del possibile, a volte sull’orlo dell’abisso. Abbiamo tutti imparato a considerare un atto necessario la presenza di truppe dell’Onu per impedire il proseguimento degli scontri, per dividere i contendenti. L’Italia si è giustamente vantata del ruolo svolto nella separazione dei contendenti in Libano. Dopo la Seconda guerra mondiale si è arrivati all’indipendenza dei paesi coloniali, un parto tutt’altro che indolore.

Ci sono stati momenti difficili, basta pensare alla guerra di Corea, o alla crisi dei missili a Cuba, ma per fortuna non si è arrivati all’uso della bomba atomica. Abbiamo conosciuto per decenni l’equilibrio del “terrore nucleare” tra i due blocchi. I paesi non allineati con i blocchi hanno avuto un ruolo rilevante nell’evitare il disastro nucleare. L’Onu è stata importante, anche se non sempre in grado di affrontare le situazioni di crisi. Da decenni è cresciuta la tentazione di scavalcare l’Onu, di considerare con fastidio i condizionamenti delle regole costruite per evitare i conflitti. In particolare paesi fondamentali hanno effettuato strappi, dimenticando l’utopia positiva della sua costituzione, fino a cercare di toglierle le risorse, il ruolo di autonomia positiva.

L’indebolimento dell’Onu è arrivato fino a ridurla ad una sede per registrare le opinioni ma incapace di produrre interventi nei momenti decisivi, perché gli attori in campo hanno preferito agire da soli o imporre decisioni e questo ha creato un vuoto politico che oggi pesa nell’affrontare crisi come quella creata dall’aggressione russa all’Ucraina. Chi potrà avere la forza e la credibilità necessaria per condurre il negoziato per fare tacere le armi, avviare una soluzione negoziata della guerra, se una parte dei paesi decisivi non riconosce questo ruolo e lo contraddice?

Per questo la propaganda dei belligeranti adotta una descrizione binaria in cui ci sono solo buoni e cattivi, amici e nemici, torna l’impero del male, in sostanza una contrapposizione che non lascia speranza fino a quando uno dei contendenti soccombe, o fino a quando entrambi finiscono a terra.

Rilanciare l’Onu, il suo significato politico ed istituzionale sarebbe proprio in questa occasione un modo per reagire alla guerra e al pericolo del suo allargamento, al baratro che dobbiamo evitare ad ogni costo. La dimensione del problema guerra come via per regolare i contrasti, come la crisi climatica, parlano del futuro del genere umano che rischia di autodistruggersi.

I nodi del conflitto in Ucraina sono evidenti, anche se mascherati da ragioni di propaganda. Se si guarda la carta dei paesi che erano nella Nato alla fine dell’Unione sovietica si nota l’entrata di paesi che prima appartenevano al patto di Varsavia o facevano parte dell’Urss. Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Moldavia, Albania, Croazia, Macedonia del Nord, Slovenia, Montenegro, 15 paesi. C’era una strada per il coinvolgimento della Russia, ridimensionata rispetto al passato, ma pur sempre potenza nucleare, ma non è stata percorsa. Eppure è un paese importante per l’economia mondiale, per le risorse naturali, per una crescita comune. Ci sono testimonianze (pubblicate da Der Spiegel) che dicono che all’epoca furono dati affidamenti che non ci sarebbero tentativi di isolamento della Russia.

La Nato ha scelto un’altra strada, anche se in modo non lineare, con interventi in altri continenti, spesso senza mandato Onu, valutato alla stregua di una difficoltà burocratica per ottenere un timbro. In questo si è manifestato un orientamento tutt’altro che lungimirante degli Stati Uniti che hanno cercato di reagire alla crisi del loro ruolo politico ed economico con iniziative e forzature, nella maggior parte dei casi con esiti negativi, fino al ritiro dall’Afghanistan deciso senza neppure preavvisare gli alleati per chiudere 20 anni di guerra senza esito. Oppure con l’intervento in Iraq, con la scelta dell’attacco alla Libia che ha destabilizzato quel paese e di cui ancora non si vede soluzione, visto che siamo di nuovo di fronte a 2 governi in lite (armata) tra loro.

Sono solo esempi. La Russia ha reagito con una sua azione di presenza in vari scacchieri di guerra. Ha ritenuto la richiesta dell’Ucraina di entrare nella Nato e la risposta della Nato favorevole non accettabile per la sua sicurezza. Sbagliato? Giusto? È un fatto che la questione andava affrontata con un approccio diverso che garantisse insieme la sicurezza russa e l’indipendenza dell’Ucraina, arrivando ad una soluzione politica accettata ed accettabile. La stessa distinzione che inizialmente esisteva tra entrare nella UE e nella Nato poteva prefigurare un ruolo di mediazione dell’UE che ora risulta impossibile per avere fatto coincidere le posizioni della UE con quelle della Nato. Quando questa guerra sarà finita si dovrà rispondere a tutte le domande che c’erano già prima, con in più la voragine orribile provocata dal conflitto, con distruzioni e vittime. Sarà più semplice trovare soluzioni? No.

Finora il soccorso all’Ucraina è rimasto nei limiti della non estensione del conflitto in Ucraina, che altrimenti potrebbe dilatarsi fino a diventare l’inizio di una nuova guerra mondiale, con il pericolo dell’uso della distruzione atomica.

Superare questo limite sarebbe una follia senza ritorno. La speranza è che chi ha responsabilità politiche nazionali e internazionali sappia mantenersi con lucidità entro il limite invalicabile e la fornitura di armi è un confine scivoloso e per di più collide con l’art. 11 della nostra Costituzione. È discutibile che la Nato, alleanza difensiva, possa comportare l’obbligo del nostro sostegno al conflitto con la fornitura di armi ad un paese che non ne fa parte. Così accettare la richiesta di una no-fly zone sull’Ucraina porterebbe ad uno scontro diretto tra Nato e Russia, ma anche la fornitura di aerei, comunque travestiti, all’Ucraina porterebbe a conseguenze gravi. Un’altra iniziativa va tenuta sotto controllo ed è la creazione di una coalizione di paesi “volenterosi”, quindi non formalmente la Nato. Paesi baltici hanno avanzato questa ipotesi.

L’accoglienza dei profughi ucraini, come la Germania fece con i siriani, come dovrebbe essere per tutti i migranti che fuggono da guerre, richiede una soluzione europea seria.

Attribuire a chi vuole fermare la guerra la posizione di chi sarebbe pronto a sacrificare la libertà alla pace è sintomo di settarismo, è un controsenso. In realtà c’è chi si schiera a sostegno di una soluzione militare, senza mettere invece al centro come uscire dalla spirale della guerra e della violenza attraverso un confronto vero e con la ricerca di una soluzione accettabile ed accettata al conflitto. Rispondendo a tutte le domande irrisolte della guerra, iniziata con l’aggressione all’Ucraina voluta da Putin. La realtà ha la testa dura e pretende risposte, non basta che ideologi della scelta di campo si consolino alzando sempre più i toni bellicisti o evocando scenari di allargamento del conflitto ad altri paesi pur sapendo che oggi sono nella Nato e quindi per loro scatterebbe un meccanismo di sostegno.

Per quanto riguarda la Russia è del tutto evidente che un conto sono le garanzie di sicurezza e le iniziative per ricostruire un clima di distensione, altro è il giudizio su un regime inaccettabile, in cui si conferma che democrazia non è votare ogni tanto perché la dialettica democratica è imbavagliata. Quindi il giudizio è netto. Ma se si decide che il confronto pacifico deve vincere occorre trarne le conseguenze e ricostruire modalità multilaterali di soluzione dei conflitti e delle tensioni e in questo ambito il ruolo dell’ONU torna ad essere la sede di cui abbiamo tutti bisogno.

Alfiero Grandi

Questo articolo parla di:

archiviato sotto: ,