Santo Padre,
credenti di tutte le fedi, e semplici persone senza altra fede che quella in ciò che è dovuto agli umani, oggi si stringono a lei nel ricordo delle parole con cui inaugurò il suo pontificato – l’augurio, rivolto ai vivi di tutta la terra, di una pace disarmata e disarmante. Lo fanno non solo guardando ai cattolici di Gaza, ma a tutti gli innocenti sterminati, menomati, privati di casa e cibo e scuola e memoria e futuro e speranza, nella striscia di Gaza dove le ruspe israeliane stanno da qualche giorno demolendo tutto quello che le bombe avevano risparmiato, e anche in Cisgiordania dove la violenza incontrollata dei coloni imperversa, assassinando impunemente chiunque, bruciando case e villaggi.
Abbiamo saputo che il Patriarca latino di Gerusalemme è entrato a Gaza con tutti gli aiuti che poteva portare. Ma molti di noi si chiedono: perché non ci va il papa, a Gaza, perché non leva la sua voce al cielo di Rafah, di Khan Yunis, di Gaza City, di Al Zaytun? Non sarebbe più grande l’aiuto che oggi ne verrebbe anche all’umanità intera sfigurata dallo sterminio inesorabile e quotidianamente documentato di un popolo già da tanto tempo privato della sua terra, della sua libertà e dignità?
Lei, Santo Padre, leverebbe la sua voce che per un miliardo e mezzo di persone in questo mondo è quella del vicario di Cristo – mite forse ma di pura fiamma: «Si addice alla Parola la temperatura del fuoco» (Mario Luzi).
Ma non solo i cattolici, non solo il mondo cristiano, non solo i fedeli di ogni religione: l’umanità intera oggi l’ascolterebbe, questa sua voce, supplicando che si levi più alta della vergogna dei potenti, che potrebbero impedire l’ecatombe e invece la sostengono, che potrebbero gridare basta e invece tacciono. Che affianchi la voce troppo flebile o violentemente tacitata dell’Onu. Che supplisca alla voce della nostra Europa, la quale oggi ha strappato le sue radici – non di sangue e terra ma di carta e ragioni universali, e tanto vilmente ha taciuto, e ancora tace. Che sopravanzi la voce delle sue Americhe, e soprattutto di quella di cui parla la lingua materna, e i cui attuali governanti corsero in San Pietro a renderle omaggio, a cercare una complicità che fu negata.
Abbiamo saputo che il premier israeliano l’ha personalmente invitata in Israele. È vero, l’uomo è oggi accusato di crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale, è vero, porta la responsabilità istituzionale che per la Corte Internazionale di Giustizia grava su Israele chiamato in giudizio con l’accusa di genocidio. Ma se fosse, questo invito dettato da ciniche strategie geopolitiche, la porta per entrare non in Israele ma in Gaza, lei potrebbe farsi guida delle persone, delle genti innumerevoli pronti a seguirla oltre quella soglia, a testimoniare per lei, ad accompagnare la sua voce con il nostro grido o in silenzio, come ci chiederà. Potrebbe, anche, recare conforto ai tanti giusti di Israele – e della diaspora – che non ci stanno, a questo «suicidio di Israele». Perché oggi Gaza è «porta dell’universo per i vivi» (Ibrahim Nasrallah, Maria di Gaza).
*** Roberta De Monticelli, già docente alle Università di Ginevra e San Raffaele Milano; Giacomo Costa, già docente all Università di Pisa; Tommaso Greco, docente all’Università di Pisa; Sergio Massironi, docente all’Università Cattolica.