Salvini. Il vecchio trucco dell’ultimo demagogo

di Moni Ovadia - volerelaluna.it - 03/08/2019
Esiste una rivoluzione culturale già pronta ma tenuta in naftalina da una classe dirigente antropologicamente mediocre e pertanto arrogante: l’applicazione rigorosa, consequenziale e radicale della Costituzione repubblicana.

Il leggendario numero di Totò che detta la lettera a Peppino, clou comico dell’indimenticabile pellicola “Totò Peppino e la malafemmina” è noto alla stragrande maggioranza degli italiani. Non molti in Italia sanno però che il cinema aveva già usato quel numero prima dei due grandi comici italiani. Lo aveva fatto Groucho Marx il quale dettando a uno dei fratelli una lettera d’affari apriva così: «Signori, punto di domanda!». Una sera trovandomi a cena con Mario Monicelli gli riferii questo fatto e lui, che ne sapeva molto ma molto più di me, mi disse: «Ma Moni caro, quello della lettera strampalata è un vecchio numero della commedia dell’arte. Quando il pubblico dava segni di distrazione, noia o indifferenza, uno dei comici sibilava al collega: “la lettera!” e l’effetto era garantito».

Ho rammemorato questo episodio pensando al travolgente successo del Matteo nazionale presso un pubblico di bocca buona come sono moltissimi, troppi ahimè, dei nostri concittadini elettori ai quali, come cittadini, dobbiamo il nostro rispetto, ma dei quali possiamo deprecare le scelte elettorali. Perché, intendiamoci, la maggioranza degli elettori (non del Popolo!) conquista il diritto a scegliere il governo, non il diritto a essere nel giusto.

Ma cosa hanno in comune i comici con il ministro degli interni, abile demagogo? Fanno un mestiere che ha in comune un tratto saliente: devono guadagnarsi il consenso di una platea. Ah! Qualcuno non si era accorto che Salvini fa un mestiere? Peccato! Molti non si sono accorti che Salvini campa con dovizia la famiglia con poca fatica e molta soddisfazione? Ci vuole, per usare un eufemismo, una notevole dose di ingenuità per non capirlo. Chiacchiere, discorsi pubblici con folle plaudenti, selfie, tweet e impunite cattiverie sadiche contro poveracci indifesi. Eccellente stipendio. Un giovane uomo, nel pieno della sua vigoria, padre premuroso, fidanzata incantevole e braccia tolte all’agricoltura. Se non fosse per la smorfia al labbro inferiore che rivela il suo disprezzo permanente per coloro che non cascano nella trappoletta delle sue modestissime performance sarebbe un esponente del lumbard qualunque col quale battibeccare in un bar dello sport.

È tuttavia giusto riconoscere che, come i comici di lungo corso, sa servirsi di un attrezzo del mestiere collaudato di generazione in generazione: il vecchio numero che esalta le sue platee molto ma molto disponibili. Quando avverte per istinto il rischio di perdere consenso ecco che fa ricorso all’istintiva diffidenza e paura plebea verso “l’altro”, che sia il Rom o che sia il migrante, gli ultimi della terra, abbandonati e indifesi. Il trucco riesce quasi sempre. Si storna l’attenzione verso un obiettivo d’elezione spostando il pensiero nelle viscere. Ma come si fa a essere così boccaloni da non vedere il percorso “politico” di questo demagogo da “cinepanettone”. Centri sociali, delirio padano, secessionismo, retorica patriottarda, militarismo, putinismo, trumpismo, retorica postribolare contro il sud, sventolio di tricolori, di nuovo secessionismo travestito da autonomia, per ricchi ovviamente. Eccolo il perfetto italiano dello stereotipo: Francia o Spagna purché se magna! E lo votano in Sicilia, in Campagna! Lo votano coloro che lui ha ripetutamente vilipeso e sfregiato.

Perché tanta parte dei nostri concittadini si lascia condizionare da vaniloqui perversi? Questo accade perché l’Italia non è mai stata una nazione e non lo è tuttora come mirabilmente ha scritto su queste pagine Marco Revelli: «un popolo che non è popolo ma un coacervo di individui rancorosi e competitivi, che tuttavia ha prodotto uno dei peggiori populismi in circolazione oggi. E al fondo, paradosso baricentrico che spiega tutti gli altri, un Paese fallito che non fallisce». Una gran parte dei nostri concittadini non accetta né responsabilità né corresponsabilità, Matteo lo sa bene e urla: «Ghe pensi mì!». E i suoi fan si crogiolano nell’illusione che nelle sue parole si dissolva la complessità del reale. Lui proclama: «L’Italia agli italiani!» e fa credere che questa pensata sia sua e originale. Ma tutti i leader sovranisti lo dicono ai loro cittadini. Allora ritorniamo alle rigidità dei confini patriottici che ci hanno regalato due guerre mondiali? Ma no, Salvini non è stupido, lo dice solo per farsi votare dai fessi che gli credono e gli garantiscono il posto fisso. Sì fisso, perché anche qualora il suo consenso calasse, una percentuale di devoti continuerebbe a garantirgli un posto in Parlamento: poca fatica, ottima paga.

Ma la dabbenaggine di certi elettori raggiunge apici commoventi. Piace loro lo slogan: «Aiutiamoli a casa loro!!!». Se davvero li aiutassimo a casa loro e proclamassimo: «L’Africa agli africani!», dovremmo cacciare tutte le multinazionali che li depredano continuando la nefasta pratica e la criminale logica del colonialismo, il più vasto, mortifero e perdurante crimine della storia. Dovremmo cessare di tenere mano ai dittatori che li opprimono e li strangolano. E allora col cavolo che avremmo tutti quei privilegi che riteniamo diritti, ottenuti al prezzo del loro sangue. Il vicepresidente del consiglio le sa bene queste cose ma conta sull’obnubilamento per paura e per insicurezza dei suoi elettori, i quali sono convinti che il problema dell’Italia siano migranti e Rom e non le politiche dei veri padroni del pianeta, ovvero banche, potentati economici, mafie e speculatori.

Dette queste cose mi corre l’obbligo di spezzare una lancia a favore del nostro gagliardo capo della Lega.

Con l’opposizione che si ritrova avrà consenso se non altro per merito dei termini di paragone. Per dovere di indulgenza, dei 5Stelle dirò che sono caduti nel trappolone che ha favorito la Lega e di cui è stato furbesco allestitore l’altro Matteo detto familiarmente “il potta”. Come dire complicità fra pallonari. Il trabocchetto è riuscito. Il PD si è rivelato un caso pietoso, totalmente incapace di esprimere un orizzonte politico e privo di una visione per il Paese, blatera fruste litanie fatte di una retorica da ospizio. La sinistra radicale totalmente incapace di capire e di capirsi cerca di sopravvivere a se stessa con una logica da circolo combattenti e reduci. I possibili alleati di Salvini, Forza Italia attaccata al polmone d’acciaio spera di avere una raison d’être augurandosi il pensionamento forzato del Caimano che invece, pur di continuare a blaterare, si farebbe imbalsamare con una telecamera e un microfono. Quanto alla Meloni ci farà sommessamente notare che il fascismo non era così male. Dovremo allora tenerci il secessionist-nazionalist-autonomist-xenofob-razzist-lefevrcattolic-cazzaroverde per tanto tempo? Sì, a meno di una profonda rivoluzione culturale già pronta ma tenuta in naftalina da una classe dirigente antropologicamente mediocre e pertanto arrogante: l’applicazione rigorosa, consequenziale e radicale della Costituzione repubblicana.

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