1) Le vaccinazioni disponibili sono, allo stato delle conoscenze, uno strumento essenziale, non l’unico, per il contrasto della diffusione della pandemia da Covid 19 e, nel contempo, per ridurre la pressione sulle strutture sanitarie e permettere un graduale ritorno alle attività lavorative, ludiche e culturali. In ogni caso la vaccinazione non può essere vista come una panacea assoluta che metta da parte le necessarie misure igieniche di protezione personali e collettive.
2) Pur considerando che le autorizzazioni all’utilizzo dei vaccini non hanno potuto seguire le procedure previste e adeguati test, la necessità di avere questo strumento disponibile in tempi brevi è stata confermata dall’efficacia in particolare nella riduzione della occupazione delle strutture sanitarie anche in presenza di incrementi nella diffusione.
3) Certamente non ha aiutato la confusione creata dai virologi televisivi e dai pasticci comunicativi, nonchè le ondivaghe e differenti decisioni dei singoli governi europei a fronte della indiscutibile efficacia dei vaccini autorizzati. La presenza di effetti avversi è intrinseca allo strumento, è avvenuto anche in passato per vaccini di uso comune come pure per altri farmaci e trattamenti sanitari. Una piena valutazione potrà essere fatta al termine della campagna vaccinale svolta con vaccini di per sé sperimentali, per l’unicità e la gravità dell’emergenza ancora in corso.
4) Medicina Democratica, per questo, ha promosso e sostiene la campagna noprofitonpandemic per la sospensione dei brevetti sui vaccini (come in via generale sui farmaci salvavita), per renderli disponibili a tutti, nel mondo, quale iniziativa sia etica (nessuno si salva da solo) che necessaria per contenere lo sviluppo di varianti che rischiano di rendere meno efficace la campagna vaccinale e gli altri interventi di protezione.
5) Chiedere la disponibilità universale dei vaccini non significa sostenerne l’obbligo. La vaccinazione è un trattamento sanitario e va utilizzato considerando le condizioni personali. Il superamento della brevettabilità faciliterebbe la ricostruzione, anche in Italia (ad esempio a partire dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze), di una capacità di produzione pubblica per rendere disponibili i vaccini e i farmaci salvavita a tutti. La previsione di obblighi rigidi, per categorie di lavoratori o generalizzate, tanto più se connesse con la sospensione dal lavoro e l’azzeramento del reddito (fino al licenziamento per le categorie precarie) risultano in contrasto con i diritti dei lavoratori e con le norme in materia di sicurezza sul lavoro. Ricordiamo che queste ultime vedono in un processo partecipato di valutazione dei rischi, di individuazione delle misure di protezione nonché di una dialettica tra medico competente e lavoratori/lavoratrici il modo per affrontare in modo corretto il tema del rischio biologico, senza forzature e riducendo gli effetti di un rifiuto a limitazioni (spostamenti di mansione) e non a “punizioni”. Un modo serio per ridurre le polemiche sulla campagna vaccinale e ricondurre le questioni a un contesto epidemiologico e scientifico sarebbe quello di una sorveglianza attiva sugli effetti avversi, il sistema attuale di rilevazione non è idoneo e li sottostima. Disporre di dati corretti e completi è la premessa di ogni discussione e decisione comprendendo l’ineliminabile incertezza attuale sul virus e sugli strumenti di contenimento.
6) Non riteniamo che limitazioni introdotte mediante il green pass, siano di per sé in contrasto con i diritti costituzionali: Si tratta di trovare un compromesso accettabile tra la necessità di contenere la pandemia e non stressare le strutture sanitarie, così come fatto con le modalità di definizione dei “colori” regionali che sono state nel contempo rese meno rigorose. Non va comunque dimenticato che i vaccinati possono contagiarsi e essere dei diffusori anche se in misura minore e con effetti meno gravi. Le scelte concrete possono essere criticate ma non l’obiettivo di ridurre le occasioni di diffusione. Abbiamo infatti criticato alcune scelte già nella prima fase (dall’obbligo di mascherine all’aperto anche a distanziamento assicurato, alle strette limitazioni negli sport individuali all’aperto) come pure oggi critichiamo l’estensione dei vaccini ai minori (bambini e adolescenti) e alle donne in gravidanza, ma non erano e non sono in discussione le finalità dei provvedimenti antipandemici. Su “aperture” e “chiusure” scontiamo un andamento altalenante nelle decisioni politiche, dalla “apertura” degli stadi per la coppa europea ad allarmi di segno opposto, con un danno alla credibilità delle istituzioni che deve essere recuperato garantendo piena discussione e confronto sulle misure e sui criteri delle stesse.
7) Il ritorno alla “normalità” non potrà che avvenire tramite un cambiamento radicale delle condizioni ante sindemia : non si tratta solo di eradicare un virus ma di ripristinare un efficace servizio sanitario nazionale in grado di dare risposte di salute a tutti. Un servizio universalistico, gratuito, partecipato che torni a fondarsi, in termini di priorità e investimenti, su prevenzione, cura e riabilitazione e che consideri tutti i determinanti (ambientali, lavorativi, stili di vita e condizioni abitative e sociali). Qualunque sia l’opinione sulla politica vaccinale e/o sulle limitazioni, riteniamo indispensabile che singoli e associazioni siano pienamente impegnati su questo obiettivo. Peraltro, nell’ambito degli obiettivi del SSN secondo la riforma del 1978, vi è anche quello della educazione sanitaria, compito abbandonato nella deriva privatistica della sanità degli ultimi decenni, che altrimenti avrebbe permesso un approccio razionale condiviso anche sul tema vaccini pur nella differenza di vedute.