I loose my baby.. Il video del drammatico salvataggio con la scena della madre che si dispera per aver perso in mare il proprio bambino, Joseph, di sei mesi, bimbo morto, poche ore dopo fra le braccia dei medici di Emergency, ha squarciato per qualche istante, come un lampo nelle tenebre, il silenzio mediatico sulle tragedie che si consumano ogni giorno nel Mediterraneo centrale a poche miglia dalle nostre coste.
Qualcuno ha fatto finta di indignarsi, qualcuno si è chiesto se vi sono delle responsabilità, la politica ha taciuto e un velo di oblio è calato sulla vicenda della scandalosa omissione di soccorso nei confronti del flusso dei profughi che tentano di arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo. Nel corso del 2020 ci sono stati circa 1.000 morti che si aggiungono alle 20.000 persone che hanno perso la vita negli ultimi sei anni.
La rotta più frequentata e più pericolosa è quella che dalla Libia porta verso l’Italia, come ci informa l’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (OIM), che stima in 700 i morti/dispersi in mare dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo centrale, a fronte dei 92 morti lungo la rotta dell’Egeo e 130 lungo la rotta della Spagna. Lungo questa rotta sono stati ritirati tutti gli assetti navali europei proprio per evitare di effettuare operazioni di soccorso che avrebbero comportato l’esigenza di sbarcare i naufraghi in Italia o in altro paese europeo.
Attualmente l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex opera solo con assetti aerei segnalando le imbarcazioni in distress alla c.d. Guardia costiera libica, che non sempre è in grado di intervenire. Secondo i dati diffusi dall’OIM, sono 11.000 i profughi recuperati in mare e riportati in Libia dove vengono privati della libertà ed esposti a torture, stupri, uccisioni e riduzione in schiavitù. Attraverso il finanziamento della c.d. Guardia costiera libica e la creazione nel 2018 di una fittizia zona di ricerca e salvataggio (SAR) affidata alla competenza delle autorità libiche, l’Unione Europea è riuscita a impiantare una forma indiretta di respingimento collettivo del popolo dei migranti che attraversano il Mediterraneo, delegandolo ai libici quello che gli Stati europei non possono fare perché, purtroppo, c’è la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che vieta i respingimenti collettivi e le torture.
Il Mediterraneo centrale dopo il ritiro delle navi delle missioni Triton e Themis di Frontex, è stato svuotato anche delle navi delle ONG che sono state ostacolate in tutti i modi e soggette ad una violenta campagna di criminalizzazione che ha portato a sequestri delle imbarcazioni, incriminazioni degli equipaggi, diffamazioni ripetute di fronte all’opinione pubblica, fino all’emanazione di una normativa d’urgenza nel giugno del 2019 (il secondo decreto Salvini) che puntava ad impedire ogni operazione di salvataggio dei migranti in alto mare, prevedendo l’irrogazione di multe salatissime e la confisca delle navi.
Se la magistratura in Italia ha arginato le spinte alla criminalizzazione delle ONG, tuttavia gli ostacoli posti dalle autorità statali non sono cessati ed in questo momento sei navi sono bloccate nei porti italiani, sottoposte a sequestro amministrativo. Solo la nave della ONG Open Arms ha potuto prendere il mare nel mese di novembre per effettuare operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale, ma subito dopo è stata bloccata per la quarantena.
In questo modo è stata resa ancora più incisiva l’operazione preordinata di omissione di soccorso, destinata a rendere ancora più letale la rotta lungo la quale un flusso di profughi attraversa il Mediterraneo per cercare accoglienza in Europa. Eliminando dalla scena marittima le navi delle ONG, sono stati eliminati i testimoni del dramma dei naufragi che si verificano quasi quotidianamente. Non vedremo più le immagini drammatiche che ci ha trasmesso Open Arms perché non ci sarà più nessuno a raccontarci cosa succede. In questo modo vengono oscurate di fronte all’opinione pubblica le conseguenze delle scelte politiche degli Stati e dell’Unione Europea responsabili di questa preordinata, dolosa e perdurante nel tempo operazione di omissione di soccorso e di respingimento collettivo.
Le condotte, che mirano ad ostacolare il salvataggio in mare attraverso la chiusura dei porti e il blocco delle navi delle ONG, integrano provvedimenti illegali ma, nel momento in cui sono rivendicate come un modello di politiche pubbliche esse generano danno gravissimo ai presupposti morali e culturali della democrazia. Il danno consiste nel crollo del senso morale nella società provocato da queste politiche, dal veleno razzista diffuso dalla propaganda che le accompagna e dall’accettazione o quanto meno dall’indifferenza da esse indotte per le possibili stragi di migranti abbandonati in mare. Quando infatti, la disumanità e l’immoralità vengono esibite e ostentate a livello istituzionale, esse contagiano la società e si trasformano in senso comune.
E’ stato osservato (Luigi Ferrajoli) che: “Queste politiche crudeli hanno avvelenato la società, in Italia e in Europa, ed hanno abbassato lo spirito pubblico e il senso morale nella cultura di massa. Hanno svalutato i normali sentimenti di umanità e solidarietà che si manifestano nel soccorso di chi è in pericolo di vita. Hanno alimentato e legittimato il razzismo, che consiste, essenzialmente, nell’idea che l’umanità è divisa tra chi ha il diritto di vivere e chi non è degno di sopravvivere a causa della sua diversa identità. Hanno infine svalutato il diritto e i diritti in nome del consenso prestato alle loro violazioni. Dobbiamo essere consapevoli che perseguire il consenso tramite l’esibizione istituzionale dell’immoralità e dell’illegalità equivale a deprimere la moralità corrente e ad alterare, nel senso comune, le basi del nostro Stato di diritto: non più la soggezione alla legge e alla Costituzione, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque misura arbitraria, poco importa se immorale o illegale”.