I giornalisti che hanno criticato l’operato della Raggi, sindaco di Roma, sono tutti pennivendoli e puttane. Così hanno detto DiBattista e DiMaio. I giornalisti - secondo i due pentastellati, che hanno anche stilato un elenco di giornalisti buoni e cattivi - non avrebbero esercitato il loro diritto-dovere di informare, di esprimere una propria opinione, o anche una critica nei confronti di chi ha responsabilità e detiene il potere, no l’avrebbero fatto perché sono “infimi”, iene e venduti. Infatti non si sono attenuti ai desiderata del potere, non hanno detto solo sì e fatto la riverenza, queste infime iene, queste penne vendute, queste puttane hanno osato avere una propria opinione.
E’ così che si comincia, con gli insulti a singoli giornalisti che esercitano il loro diritto alla critica, non solo all’informazione, poi le ingiurie si estendono - arricchendole di minacce - alla intera categoria, infine si mandano le squadracce a distruggere le sedi dei giornali e si manganellano i giornalisti che ci scrivono. È già successo nel remoto passato, come ben sappiamo, ma anche nel passato più recente abbiamo visto il cavaliere cacciar via dalla RAI i giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro (oltre al comico Daniele Luttazzi), col cosiddetto “editto bulgaro”. Minacce, insulti, accuse di asserzioni false, di manovre oscure: sembrava che nessun giornale democratico, o di sinistra, o di opposizione, fosse attendibile, in grado di dire la verità. La verità che voleva Berlusconi, naturalmente, quella cioè che raccontava una bella favola, inventata di sana pianta, su un signore un po’ appassito e generoso che aiutava giovani fanciulle in difficoltà a trovarsi un lavoro.
E adesso basta leggere la lettera di DiMaio al presidente dell’Ordine dei giornalisti, per percepire insinuazioni minacciose e provare una certa irritata inquietudine.
Chi detiene il potere malamente è uguale dappertutto: ritroviamo lo stesso atteggiamento di lesa maestà anche in Trump nei confronti di gran parte della stampa americana, secondo lui prevenuta e menzognera, mentre è proprio lui il maggior produttore e spacciatore di fake news della storia. Del resto per nascondere la verità sul proprio operato può solo continuare a mentire, a negare anche davanti all’evidenza, fino a fare quella sceneggiata penosa col giornalista Acosta della CNN, a cui ha tolto l’accredito alla Casa Bianca. Come dipendesse da lui concederlo!
E infatti è bastato rivolgersi a un giudice federale (certo Timothy Kelly, per giunta messo al suo posto proprio da Trump!) per riaverlo indietro. In America il loro Primo Emendamento, che riguarda la libertà di informazione, è una cosa seria. Anche noi abbiamo un bellissimo articolo della Costituzione (l’articolo 21) che riguarda questo argomento e che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.», ma chissà perché tutti tendono a dimenticarlo.
Ma non solo a destra, anche nella (ormai) cosiddetta sinistra. Vi ricordate “baffino” D’Alema cosa disse ai giornalisti? “Dite un sacco di cretinate, ecco perché non leggo i giornali.” E poi rincarò la dose dicendo che i giornali servivano solo per incartare il pesce. Chissà se qualcuno lo aveva detto ai 28 giornalisti morti per aver detto la verità sulla criminalitàorganizzata.
Nel 2016 ha scritto Nicola Tranfaglia “Dal 1 gennaio 2006 ad oggi l’associazione che tutela i giornalisti in pericolo ,”Ossigeno per l’informazione” presieduta da Alberto Spampinato, ha inserito 2788 nomi di giornalisti, blogger, fotoreporter e video-reporter nell’elenco delle vittime di intimidazioni e di abusi nell’elenco delle vittime contro il lavoro di chi svolge un’attività nell’interesse pubblico e nel rispetto delle leggi, che affermano la libertà di espressione e di informazione. Dal primo gennaio 2016 sono stati aggiunti alla tabella 115 nomi. Sono tanti e invisibili e dispersi per paesi e città d’Italia.”
E Attilio Bolzoni su la Repubblica ha scritto:” i giornalisti senza nome sono sempre più soli. Le mafie studiano ogni loro movimento, analizzano ogni loro cronaca. Un capoverso di troppo può provocare risentimenti, affossare traffici. Di solito prima arriva un segnale, una “retinata” come si fa con redini che tengono a freno i cavalli. Poi la busta con un proiettile dentro. Poi l’incendio. Poi c’è sempre qualcosa di più. Troppo giornalismo su mafie grandi e piccole non piace. Meglio il silenzio stampa che alle mafie giova da quando mondo è mondo. E la politica dei maggiori partiti in parlamento sta a guardare. In Italia c’è una lunga tradizione di neutralità, o peggio di ostilità, verso chi informa e commenta e affonda le sue radici nella più lunga e profonda storia nazionale”.
D’Alema, con la sua insopportabile azza, ripeta cosa pensa dei giornalisti e dei giornali a Federico Ruffo, l’ultimo perseguitato – in ordine di tempo – dalla mafia, perchè “ è un bravo cronista, sempre alla ricerca della notizia e della verità, fuori dalle righe e mai banale “ come scrive “Articolo 21”, in un redazionale.
Ruffo indaga sui legami tra la criminalità organizzata e il mondo degli stadi e degli ultras. Proprio in questi giorni è stato pesantemente minacciato: hanno dipinto una croce rossa sul pianerottolo di casa sua e hanno versato benzina per terra fuori dalla porta di casa. “Articolo 21” scrive ancora che si tratta di “ Scenari che come giornaliste e giornalisti francamente speravamo di non dovere più vedere. Chiediamo per il collega Federico Ruffo la massima attenzione.”
Ma i dati raccolti da “Ossigeno per l’informazione” sono ancora più demoralizzanti e poco rassicuranti: su circa 2800 giornalisti minacciati, 15 vivono sotto scorta e 28 sono stati uccisi.
E nessuno di loro è mai stato né un pennivendolo, né una puttana.
E’ vero però che ci sono dei giornalisti e dei direttori di giornali che sono persone ignobili, quelli che montano le cosiddette “macchine del fango” per screditare gli avversari politici. Ma generalmente sono dalla parte del potere, guarda un po’. E sono persone senza etica, né morale, che non credono nell’informazione, ma solo nel profitto che si può guadagnare nell’imbrattare e schiacciare gli altri, magari anche in conto terzi. Giornalisti capaci di mentire e di truffare, quelli sì penne vendute, quelli sì prostitute. Certo, li conosco anche io, purtroppo, imperversano sugli schermi tv e sul web, ma quando parlo di giornalisti con la G maiuscola non è certo a loro ( per quanto conosciuti) che penso, ma a Mauro De Mauro, a Peppino Impastato, a Beppe Alfano, a Mauro Siani, a Govanni Spampinato, a Walter Tobagi, a Mario Francese, a Carlo Casalegno, a Ilaria Alpi. Le loro sono storie normali, di persone normali che non avevano una vocazione all’eroismo. Ma al giornalismo. A loro penso con orgoglio e mi consolo, perché loro, e persone come loro, hanno fatto e fanno la differenza tra verità e menzogna, tra democrazia e dittatura.
Lo scrittore e giornalista catanese Giuseppe Fava, diceva: «Ho un concetto etico del giornalismo. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni e le violenze che non è mai stato capace di combattere».
Conosco da sempre, nel bene e nel male, il mondo dell’informazione: ho pubblicato il mio primo articolo nel giugno del 1965, per il mio diciottesimo compleanno. Sono iscritta all’Ordine dal 1981, ho diretto un settimanale per due anni, ho frequentato le redazioni dei giornali da sempre, dunque – come dicevo – conosco bene il mondo dell’informazione (giornali, televisione, radio) e ho visto cambiare le tecnologie, dalla Linotype alla fotocomposizone al computer. Ma non sono cambiate solo le tecnologie dagli anni 70 in poi, è cambiato tutto nel mondo della informazione, soprattutto da quando c’è internet. I giornali si vendono sempre meno, anche le redazioni dei grandi quotidiani devono sottoporsi al turnover della cassa integrazione e il giornalismo d’inchiesta ha fatto spazio alle veline delle agenzie di stampa. La gente si è abituata a leggere rapide notizie flash su uno schermo, senza analisi, senza approfondimento, per non dire che da quando ci sono i social chiunque posti due righe o una foto si sente un giornalista e pensa di poter fare a meno dell’informazione del giornalismo professionista. Ma la differenza fondamentale ( a parte la mancanza di preparazione) è che loro non sono tenuti a osservare le regole rigidissime della deontologia professionale. Loro insultano, inventano e mentono senza un pensiero al mondo e questo è davvero destabilizzante e pericoloso.
I social, o meglio: l’uso che ne viene fatto, ha inquinato l’informazione, incrinato i rapporti fra le persone, ha travolto le regole della politica, tanto che persone mai viste, reinventate, solo per essersi iscritte a una piattaforma ridicola, sono finite in Parlamento. Ma soprattutto questa gente miracolata e spesso incolta e molto maleducata, ha portato nella vita normale i toni esaltati ed eccessivi che usano nei loro settari siti web. Ogni regola è scomparsa, ogni misura è sparita, ogni traccia di buonsenso è cancellata. Senza i social non esisterebbero i 5 stelle e la Lega sarebbe ancora al 4%, noi non saremmo in questa esecrabile congiuntura e non dovremmo sentire due politici improvvisati insultare una categoria di professionisti e minacciare di cancellarne l’Ordine di appartenenza.
Barbara Fois
Le foto
Dimaio dibattista, foto di repertorio
Il poster è tratto dal sito del”Tirreno. Toscana”