Bomba e scacchi

di Pancho Pardi - liberacittadinanza.it - 26/09/2022
Sostenere l’esigenza primaria del negoziato è certo espressione della sincera volontà di fermare e possibilmente mettere fine al massacro. Ma posta la sua necessità è altrettanto essenziale affrontarne le conseguenze

In due chiari articoli appena usciti su Liberacittadinanza Guido Viale e Domenico Gallo ragionano sull’incombenza della Bomba sull’orizzonte prima europeo e poi mondiale. E’ tema che hanno trattato spesso in precedenza e che qui trova una sintesi aggiornata alle ultime vicende: la controffensiva ucraina, la nuova mobilitazione “parziale” dei riservisti russi e il referendum con cui Putin vuole annettersi territori che non ha ancora preso. Quadro complesso, prospettive virtualmente agghiaccianti e quindi necessità assoluta e non rinviabile di un negoziato risolutivo. Gallo fissa la situazione col celebre fotogramma del Settimo sigillo di Bergman: il Cavaliere che gioca a scacchi con la Morte.

In un gioco che va avanti per mosse obbligate e ha come scenario definitivo la morte, non solo del Cavaliere ma di tutti, ci viene detto che non si può sostenere la sola alternativa tra il contrattacco e la resa: in mezzo a questi due estremi l’unica via d’uscita deve essere il negoziato. Ma non è chiaro chi senta questo dovere. E’ comprensibile che l’Ucraina cerchi sul campo condizioni più favorevoli per accoglierlo e dall’altra parte è più che manifesta la volontà di Putin di non accedervi (Lavrov: si tratta solo alle condizioni della Russia). Quindi si dovrebbe fare uno sforzo per capire quali mosse possa fare l’Occidente per renderlo possibile. Chi pensa che non si debba rafforzare la controffensiva ucraina sembra consigliare agli aggrediti di limitarsi alla sola difesa. Ma se, nel contesto dinamico del conflitto, il contrattacco è mossa obbligata per esercitarla con efficacia? Attenzione, contrattacco autolimitato: un segno in questo senso è la cautela estrema con cui l’Occidente cura che quello venga esercitato solo entro i confini ucraini. Mentre dall’altro lato Putin, con l’artificio del referendum, espropria il territorio ucraino per sostenere che è russo e quindi da difendere col nucleare “tattico”, con disinteresse assoluto per la popolazione civile coinvolta. In questo modo Putin riesce a volgere a proprio vantaggio perfino le prove scadenti del suo esercito: non è necessario che questo sappia riconquistare il territorio perduto, basta certificare con carte false che lo si è ripreso. E allora?

Chi e che cosa può convincere o obbligare Putin al negoziato? Abbreviamo i passaggi: è scontato che l’Europa, parte in causa, da sola non ce la fa. Alla fine restano solo le grandi potenze: USA e Cina. E chi ha la forza di convincere USA e Cina a farlo? Forse solo l’insorgente convinzione che Putin stia per gettare la Bomba. Ma prima che ciò si verifichi quanti sussulti dovranno succedersi? Resta poi il contenuto del negoziato, che non è uno scherzo. Per andare al punto: è immaginabile che due membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu ammettano che un terzo membro dello stesso Consiglio ha facoltà di impadronirsi, anche attraverso il loro beneplacito, di una porzione di uno stato libero confinante? Problema giuridico, oltre che politico. E resta sempre sullo sfondo la domanda ineludibile: posto e avviato il negoziato chi pagherà le riparazioni di guerra? E’ pensabile che anche solo una parte dei danni ricevuti dall’invasione finisca a carico di chi l’ha subita? E che le morti e le stragi imposte alla popolazione offesa rimangano impunite? Sostenere l’esigenza primaria del negoziato è certo espressione della sincera volontà di fermare e possibilmente mettere fine al massacro. Ma posta la sua necessità è altrettanto essenziale affrontarne le conseguenze. La prima è il contenuto del negoziato: come si divide l’Ucraina, e qui si da per scontato il danno alla sua integrità. La seconda: si obbliga la potenza responsabile al pagamento del danno o gli si abbuona l’immensità delle rovine e delle sofferenze che ha voluto provocare?

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