Dopo un periodo in cui il conflitto in Ucraina sembrava avviato a ritualizzarsi (secondo lo stile russo: logoramento reciproco ma solo missili russi sui civile ucraini) la controffensiva contro l’esercito invasore russo pone nuovi problemi inediti. I sostenitori della pace subito prima di tutto avevano consolidato uno schema interpretativo. Riconoscevano l’aggressione russa e quindi il ruolo di vittima dell’Ucraina. Poi ammettevano, con varietà di opinioni, le ragioni di Putin e chiamavano in causa l’espansionismo Nato. A seconda di come era graduato il ragionamento, l’aggressione poteva risultare in qualche modo giustificata. Per qualche isolato estremista la colpa era senz’altro degli aggrediti. Comunque sia, pace subito significava niente armi all’Ucraina, invitata di fatto a rimettersi fiduciosa all’invenzione fantastica di un negoziato oppure semplicemente ad arrendersi. Anzi (nessuno lo diceva ma non pochi lo pensavano) sarebbe stato meglio si fosse arresa subito: guerra evitata e pazienza per l’Ucraina sottomessa.
La pace subito prima di tutto postulava una trattativa. Qui la necessità degli ucraini di difendersi veniva a confronto con la necessità di una mediazione tra i contendenti. Non si poteva chiedere all’aggressore di rinunciare del tutto ai territori conquistati: almeno una parte doveva restare acquisita, se no che mediazione era? Allo stesso tempo la mediazione esigeva che l’aggredito prendesse atto che non poteva riavere indietro tutti i territori sottratti. Prendeva forma una gerarchia non scritta ma potente per le attribuzioni finali. Retorica strumentale sul carattere russofono delle popolazioni interessate, anche se la sua genuinità era dubbia a causa delle immigrazioni forzate da est di mezzo secolo prima. Ad esempio, la Crimea naturalmente russa, il territorio di Karchiv forse sì forse no, ma il Donbass…Alla fine della simulazione risultava che la Russia, membro permanente del Consiglio delle Nazioni Unite, poteva invadere uno Stato vicino e tenersene una parte. E le Nazioni Unite dovevano ingoiare il rospo. Su questa base la guerra era asimmetrica. La Russia poteva invadere l’Ucraina e radere al suolo città e paesi, ma l’Ucraina, nella sua autodifesa, doveva guardarsi bene dal toccare il territorio russo. La Russia faceva ripetute stragi di civili con torture e fosse comuni, l’Ucraina se anche avesse voluto non ne aveva la possibilità. Gli stessi aiuti militari occidentali avevano la cautela di fornire missili che non potevano superare certi limiti di gittata.
La controffensiva ucraina ha messo a nudo debolezze e inefficienza dell’esercito russo, ha confermato la scarsa tenuta dei giovani coscritti, obbligati a morire in una guerra in cui sono stati gettati ignari, e con rapide e brillanti operazioni ha riguadagnato porzioni non trascurabili dei territori prima perduti. Ma soprattutto ha rovesciato lo schema: l’esercito invasore può essere attaccato e respinto. La tendenza finora prevalente ha cambiato segno. Qui ci sono oscillazioni curiose nell’opinione pubblica. C’è chi dice: senza le armi occidentali non sarebbe successo, e non si sa se è orgoglio o rimpianto. In entrambi i casi è difficile non temere l’escalation e la sua imprevedibile evoluzione. Quindi “era meglio non dargli le nuove armi”? Esemplare il marasma di Conte, che non voleva dargli le armi ma si dice addirittura orgoglioso della controffensiva. Altro timore: la pace si allontana; perché finora era vicina? Non ce ne eravamo accorti. Manifesta anche l’enfasi differenziata sulla disponibilità al negoziato. Chi ha sempre trascurato il disinteresse esibito da Putin per la trattativa si fa in quattro per rimproverare a Zelensky il disegno di riconquistare i territori sottratti: “E’ lui che non vuole la pace”.
La sconfitta temporanea di Putin mette in primo piano l’eventualità della rappresaglia. Il suo esercito occupante compiva stragi intimidatorie, ora l’esercito in fuga si vendica sui civili con missili su persone e cose. La rappresaglia incombe sull’Ucraina all’attacco. In questa logica va vista anche la promessa minacciosa dei referendum nelle aree occupate per confermare l’appartenenza volontaria dei russofoni alla Federazione russa. Qui c’è il trucco, ribadito da Medvedev. Il referendum sarà ritenuto valido anche nelle zone di cui i russi hanno perso il controllo. Se gli ucraini continueranno a combattervi saranno considerati invasori del territorio russo e quindi esposti al bombardamento con armi nucleari tattiche. La minaccia si commenta da sé. Ma con la controffensiva gli aggrediti vedono a portata di mano la riconquista delle terre perdute, anche se mai potranno riavere le loro popolazioni deportate. Tuttavia la controffensiva, soprattutto se efficace, potrebbe far perdere agli ucraini la solidarietà che si riserva solo ai deboli e in un certo senso li metterebbe in condizioni di falsa parità con gli aggressori russi. Il rischio è che in certe menti la stessa minaccia del nucleare tattico sia attribuita a una responsabilità tanto ucraina che russa.
Ma il punto essenziale ora è che gli ucraini sono in piena riscossa Non sappiamo come andrà a finire questa orrida storia. Ci sono segni prima impensabili: con abnegazione ammirevole un appello pubblico di settanta rappresentanti locali russi chiede le dimissioni di Putin. Tutto potrebbe ancora accadere. Ma almeno per ora la controffensiva ucraina ha posto la questione del negoziato in un quadro molto diverso da quello definito dall’invasione. Tutti possono dubitare che Putin accetterà un negoziato con un avversario che ha rialzato la testa. Proprio perciò sarebbe grave se l’Europa desse l’impressione di rinunciare al punto principale del suo sostegno agli aggrediti: solo gli ucraini possono decidere tempi e condizioni del negoziato.