DAZI e “PACE”

di Pancho Pardi - 14/04/2025
La storia altalenante dei dazi ci ripropone la supremazia del pokerista. Tutti appesi alle sue mosse

Nella Trumpeide che ci affligge che rapporto c’è fra la commedia dei dazi, la demolizione del settore pubblico USA e la tragedia della guerra? Dopo il recentissimo rinvio dei dazi (salvo quelli smisurati alla Cina, ma in extremis ha cambiato anche quelli) annunciato con la sfacciataggine del primo della classe che non ammetterà mai di aver sbagliato, si deve resistere alla tentazione di commentare in chiave burlesca. Se non altro per rispetto alle incalcolabili vittime delle sue burle: persone in carne ed ossa, aziende con decine di migliaia di lavoratori, società e popolazioni intere.

La questione dei dazi esprime sul piano economico-finanziario una vocazione già espressa e conclamata sul piano geopolitico. Trump aveva anticipato il suo secondo mandato con l’assicurazione che giunto alla Casa Bianca avrebbe realizzato la pace in 24 ore. Avrebbe fermato Putin e Netanyahu con la sua forza di persuasione. Vediamo ora i risultati della sicumera. La sua “straordinaria capacità negoziale” ha umiliato gli ucraini nel momento più delicato dell’approccio al cessate il fuoco, li ha costretti ad accettare di dover pagare l’aiuto militare USA con la cessione incondizionata delle loro risorse minerarie più pregiate, ma non ha neanche per un solo attimo fermato l’aggressione militare russa. La “pace” trumpiana ha dato via libera a Putin che può continuare e continua imperterrito a bombardare l’Ucraina, tutti i giorni, attaccando obbiettivi civili e militari. L’ultima strage a Sumy illustra una volta di più che cosa sia la “pace” di Putin e Trump. Lo slogan pacifista “Il popolo russo non è nostro nemico” illusorio a Roma suona offensivo a Kiev.

E si capisce ormai che cosa intende Trump quando sostiene che se ci fosse stato lui la guerra in Ucraina non sarebbe nemmeno cominciata. E’ chiaro: avrebbe rifiutato di aiutarla fin dal primo giorno costringendola così ad arrendersi. Avrebbe permesso a Putin di annetterla al suo ricostruibile impero in miniatura (riavere almeno qualcuna delle ex-repubbliche socialiste sovietiche). E Putin lo ricambia oggi sostenendo la legittimità della pretesa USA sulla Groenlandia. Tra imperi ci si intende!

Quanto a Gaza la “pace” trumpiana ha partorito una breve tregua di comodo, sfregiata dall’immagine grottesca di Gaza Beach, e ha poi lasciato a Netanyahu tutta la libertà di romperla e riprendere con pieno agio lo sterminio sulle macerie della Striscia, accompagnato dall’offensiva sempre più sfacciata per la presa a pezzi e bocconi della Cisgiordania. Il solo limite (purtroppo solo ideale) alla strage è ridotto all’opposizione civile che sostiene i familiari dei sequestrati e al rifiuto di obbedienza di molti piloti comandati a bombardare la popolazione palestinese inerme.

Cessate il fuoco in Ucraina e Gaza: due insuccessi clamorosi smentiscono in pieno le sue promesse. Ma può venire il sospetto che per lui, a parte la fatica di smentirsi, non siano affatto insuccessi. Il confronto concesso alla pari con Putin gli permette la ripresa di sostanziosi rapporti commerciali e una nuova era di profittevoli affari. E in più gli esperti di geopolitica ci trovano il vantaggio di (provare a) staccare la Russia dalla Cina; e chissà se è vero. Il sostegno di fatto alla sfrenata volontà bellica di Netanyahu gli garantisce il più solido gendarme in Medio Oriente. La vanteria della pace smentita dai fatti viene superata e avviata all’oblio da una ragione sostanziale. Mutata la forma, l’equilibrio del dominio sarebbe comunque assicurato. Resta la riserva degli ingenui: di un tipo così non ci si potrà più fidare. Perché prima davvero si poteva?

La storia altalenante dei dazi ci ripropone la supremazia del pokerista. Tutti appesi alle sue mosse. In questa prospettiva contano meno i danni economici colossali, a chiazze, nel generale mondo degli affari (i capitalisti professionali sono molto preoccupati). Conta di più la capacità di tenere in sospeso gli altri attori sulla scena; ma per la verità non tanto gli antagonisti quanto gli alleati europei, costretti a subire lo sconquasso con scarse possibilità di difesa e disposti per autocensura a rinunciare alla ritorsione. Alla fine è curioso che in un mondo dove molti pensano che, per ragione o per forza, l’economia prevale sulla politica, la politica più sgangherata faccia a fette l’economia.

Ma non si limita a questo. Negli USA di Trump la politica distrugge l’amministrazione pubblica. Il potere politico accentrato nelle mani di un solo monopolista, attorniato da altri monopolisti ancillari, con una potenza manipolatrice estesa dalle profondità del sottosuolo alla schermatura di satelliti nello spazio, impone il dominio dell’interesse privato sulla generalità dell’interesse pubblico. Non solo, come mostra la censura ai giudici che non si allineano, ha la pretesa di indentificare l’interesse pubblico in quello privato.

In tutto questo male, dall’intesa tra USA di Trump e Russia di Putin nasce un effetto provvidenziale. I paesi europei, volenti o nolenti, sono ora costretti ad assumere il carico della loro difesa. Se anche volessero immaginare l’Europa come un continente strettamente neutrale non possono comunque sottrarsi al dovere della sua protezione. Quindi dovranno muoversi prima possibile verso una qualche forma embrionale di unità politica, capace di esprimere una politica estera comune, dotata di un coordinamento crescente delle forze armate in vista di una futura difesa comune. Rinviare gli obblighi di questa necessità espone l’Europa ai capricci di un alleato inaffidabile.

Il conflitto d’interessi, pioneristico e avvilente, sperimentato in Italia con Berlusconi aveva proporzioni microscopiche al confronto con quello esibito da Trump e Musk fino ad altezze siderali. Un potere immenso che si vuole senza limiti e senza controllo, pericoloso in mano a Pericle, figurarsi a Caligola! Si può sperare che il presidenzialismo assoluto ora debordante negli USA svolga tra di noi una funzione educativa e istruisca una critica diffusa del premierato assoluto voluto dal governo Meloni?

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