E lo sappiamo benissimo. Ma non è la sua cattiveria che spiega la guerra in Ucraina. Nella sinistra italiana molti pensano che l’ultima cosa buona che hanno fatto gli USA è vincere la seconda guerra mondiale, insieme all’URSS e alla Gran Bretagna. Dopo la guerra, molti pensano che la volontà-necessità USA di fronteggiare il comunismo ha prodotto disastri: dittature orrende in America latina, sostegno ovunque a militari golpisti e regimi di estrema destra, guerra in Viet Nam, partecipazione alla strategia della tensione in Italia, guerre di esportazione della democrazia con i missili, invasione dell’Iraq con la scusa inventata delle armi di distruzione di massa, guerra in Afghanistan, controllo sull’Europa tramite la Nato. Come elenco provvisorio può bastare, si potrebbe essere più precisi ma anche più noiosi.
Anche ammesso che questa sintesi deprimente abbia serio fondamento, impiegarla come elemento primario, come incombente causa lontana per interpretare la guerra in Ucraina contrasta prima di tutto con i fatti. Tra il 1989 e il 1991 il socialismo sovietico collassa in modo rapido e inesorabile. Non c’è dubbio che USA e Nato fossero suoi dichiarati avversari. Ma il loro ruolo nel crollo dell’URSS è pari a zero. Il socialismo sovietico collassa sotto il suo stesso peso: crisi demografica, inefficienza economica, sclerosi sociale, gigantismo militare, ossificazione burocratica, totale illibertà di espressione del pensiero, classe dirigente geriatrica e immobile. Si potrebbe aggiungere altro ma è inutile. Si deve di passaggio tributare un riconoscimento a Gorbaciov per aver capito le tare del sistema. Forse troppo tardi ha provato a riformarlo ma non ha trovato il modo né il tempo, anche perché gli mancavano a tutti i livelli le classi dirigenti per guidare il processo. D’altra parte queste come e da chi avrebbero potuto essere preparate al compito smisurato?
Insomma è andata male. Il crollo, esclusivamente endogeno, dell’URSS ha prodotto alcune conseguenze obbligate come mosse di scacchi. Dal punto di vista del nostro problema attuale, il fenomeno più rilevante è la diaspora dei paesi satelliti. Questi colgono l’occasione per liberarsi dalla sottomissione al Paese Guida (si chiamava così). E ovviamente guardano verso l’Europa. Che altro dovevano fare? C’era forse un’alternativa? E in ogni caso stava a loro sceglierla.. L’hanno fatto. Qui si innesta la favola dell’accerchiamento Nato. E’ una favola che sia la causa della diaspora, è invece uno dei tanti effetti. Bisogna guardare in faccia la realtà: se anche la Nato non fosse esistita i paesi ex satelliti avrebbero guardato in ogni caso all’Europa. Perché? Si dovrebbe chiedere a loro ma non è difficile indovinare. Avrebbero dovuto restare sotto il tallone, fin da prima mal sopportato, di un impero che dal 1991 in poi nel volgere di pochi anni riusciva a mantenere in piedi i peggiori aspetti del socialismo fallito e ad acquisire con incosciente disinvoltura i peggiori caratteri di un capitalismo gangsteristico? Una Cosa che è inevitabile chiamare ormai “Impero asiatico”? Gli ex satelliti hanno voltato le spalle all’Impero asiatico e si sono rivolti all’Europa. Si sente dire spesso che nel 1991 la Russia è stata umiliata. E’ vero solo in questo senso: la Russia è stata umiliata dal crollo dell’URSS, che ha disperso la sua capacità di comando e ha lasciato ai suoi satelliti la possibilità di sottrarvisi. Nelle ricostruzioni di questi eventi c’è un dignitoso punto di vista che immagina, di fronte alla liquidazione del Patto di Varsavia, la possibilità del contestuale scioglimento della Nato: grande occasione per una duratura pace planetaria. Idea nobile senza dubbio ma i conflitti geopolitici non sono materia plasmabile con spirito francescano.
Non sapremo mai che cosa avrebbe potuto realizzare Eltsin se fosse vissuto un po’ più a lungo. Il vecchio ubriacone aveva fiuto politico finissimo, rapida intuizione per le mosse decisive e anche un certo coraggio fisico dimostrato in occasione del colpo di stato dei generali. Di lui ci restano solo gli inizi, che non sono lusinghieri. E’ con lui che incomincia l’ascesa degli oligarchi (che Giulietto Chiesa, nuovo Balzac, ci ha raccontato come perfetti gangster). Purtroppo Eltsin ci lasciato solo Putin. Con lui lo scheletro del KGB si impadronisce con graduale cautela delle leve del potere e passo dopo passo l’Impero asiatico comincia ad acquisire un carattere neosovietico. La guerra è una ricorrente costante degli imperi. Putin ha voluto-dovuto ricostruire l’orgoglio dell’esercito russo frustrato dalla sconfitta in Afghanistan e dall’esito incerto della prima guerra cecena. Non c’era niente di meglio che altre guerre. Così Putin ha sapientemente riabituato la Russia alla guerra. Ha dovuto inscenare un oscuro terrorismo per aprire la seconda guerra cecena. In cui ha mostrato che cosa si debba fare per spianare un paese (Groznj rasa al suolo e tutto il resto). Che cosa fosse a quel tempo l’esercito russo ce lo racconta Anna Politkovskaja in “La Russia di Putin”, lettura assai istruttiva. Seguono le rapide, efficaci persuasioni armate su Georgia, Kazakistan, la presa della Crimea, lo spianamento della Siria a favore di Assad. Tutte azioni in cui la molla è tutta endogena: ricostruire la potenza originaria e perduta con il crollo dell’URSS. E l’intervento dell’Occidente è stato tanto tanto assente che oggi, in retrospettiva, si rimprovera l’Europa di non aver mosso ciglio di fronte all’annessione della Crimea. Considerata questa con indulgenza quasi come un atto dovuto: in fondo sono russofoni, dove sta lo scandalo?
Il dossier ucraino prende forma con la controversia sulle province russofone del Donbass. Qui circola la favola che attribuisce alla sola Ucraina l’origine e la pratica del conflitto. Per sfatare la diceria basta la consultazione della bibliografia disponibile. Ma, a parte la bibliografia, vi sembra che chi ha spianato la Cecenia abbia il pudore di non intervenire in Donbass? Otto anni di conflitto a bassa intensità preparano l’aggressione all’Ucraina. Qui interviene un altro mirabile artificio dialettico: l’Ucraina è armata! Armata dalla Nato! Che scandalo: avrebbe dovuto farsi trovare disarmata? Viene il dubbio che l’opinione pubblica pacifista, di sinistra, avrebbe preferito l’Ucraina disarmata. Non si può dirlo ma il senso è: si sarebbe arresa subito, la guerra non ci sarebbe stata, noi non saremmo stati coinvolti.
L’Ucraina sì. Avrebbe dovuto ricadere sotto il tallone dell’Impero asiatico neosovietico. Per carità, una storia triste ma tutto sommato a fin di bene per il mondo. Quindi se la Russia fa la guerra, a ben vedere la colpa è dell’Occidente, degli USA, della Nato che hanno armato l’Ucraina. All’obiezione che gli ucraini hanno deciso di non arrendersi il punto di vista più sottile insinua che se non fossero stati armati non l’avrebbero deciso. E qui prende forma la teoria della guerra per procura. La guerra vera è quella tra USA e Russia. Gli USA, vigliacchi, non combattono e fanno combattere gli ucraini. Sottovalutata la loro volontà nel momento in cui decidono di non arrendersi, gli ucraini vengono ridotti a meri esecutori, poco meno che dementi autolesionisti, della volontà bellica altrui. Mentre l’unica reale volontà bellica, quella russa, viene declassata a eccesso di autodifesa preventiva. Che è poi, più o meno, la versione di Putin: stavano per attaccarmi, ho dovuto difendermi.
Ciò che colpisce più di tutto in questa storia è la sostanziale dimenticanza per i danni subiti dall’Ucraina e dal suo popolo. Fin dal primo giorno l’esercito russo, e l’aviazione e la flotta, hanno martellato e distrutto sistematicamente infrastrutture vitali, fabbriche, centrali elettriche, ferrovie, acquedotti, stazioni, ponti, aeroporti e porti, magazzini di cibo, e poi in rapida successione ospedali, scuole, teatri, edifici pubblici, perfino qualche chiesa. All’inizio un pensiero ha sfiorato la mente di tutti: tutto ciò è terribile ma se ci riflettiamo sono tutte distruzioni selettive, non stanno radendo al suolo tutto come in Cecenia e come sarebbero in grado di fare. In fondo si trattengono come se aspettassero dagli aggrediti un cenno, solo un cenno, di disponibilità alla resa. Se questo ci fosse si fermerebbero. Ma col passare dei giorni, pochi giorni, è cominciato il bombardamento dei quartieri residenziali e allo stesso tempo il disfacimento dei paesi e dei villaggi. C’è ormai un repertorio dei danni edilizi che nella sua ripetitività ha qualcosa di didascalico. Casermoni rimasti in piedi ma con segni neri di sfiammate nate da finestre in basso e avviluppate verso l’alto fino ai tetti, qualche balcone sfranto, qualche pezzo di parete penzolante. Casermoni sezionati dal missile, ancora in piedi alle due estremità, collassati nel mezzo con tutti gli appartamenti tagliati in verticale, le loro intimità residue messe in mostra in una vana esposizione di oggetti di vita familiare. Altri demoliti per intero con schegge di pareti verticali puntute verso il cielo. Nelle campagne, povere case appena lambite dagli scoppi hanno il tetto ridotto a pochi tegoli incrinati sostenuti a stento dalla trama dei travetti. Sono quelle fortunate. Altre hanno l’intero tetto crollato e qualche parete sbilenca. Altre ridotte a maceria.I colpi ricevuti mostrano la natura interna delle pareti, spesso sottili, di mattoni grigi la cui opposizione al freddo è aiutata da tavole di coibente giallastro del tutto scombinate dalle esplosioni. Interi brani di villaggi rasi al suolo. Gli orti con le loro cintature occasionali rivelano la loro modestia, ma sono quasi tutti sconvolti da buche e riempiti spesso da quantità incredibili di spazzatura bellica eterogenea. Ovunque tappeti di vetri rotti. Anche se per caso gli edifici restano in piedi l’onda d’urto delle esplosioni produce un manto scricchiolante di vetri rotti disteso come una copertura universale. Poi ci sono le scuole con le aule lasciate a precipizio per l’arrivo delle truppe russe. Non tutte risparmiate dalle esplosioni. Ovunque tutto è disabitato, solo poveri vecchi vagano alla ricerca di qualcosa. Ovunque distese di voragini da missile o da bomba aerea. Poi c’è Mariupol: replica di Groznij e Aleppo sul Mar d’Azov. E poi di nuovo i missili selettivi indirizzati su obbiettivi prossimi alle maggiori città, minaccia elementare: ho colpito qui, la prossima volta posso ferire la città. Non insisto e lascio da parte le stragi delle tante Bucha, i corpi delle vittime giustiziate con un colpo in testa. Si dovrebbe comporre un minuzioso repertorio di tutti i danni materiali, catalogati per luogo e tipo di danno ricevuto e farne una mostra itinerante la cui meta finale (ma ovviamente impossibile) dovrebbero essere le scuole russe. Allo stesso modo si dovrebbe comporre e diffondere (far ascoltare) il repertorio delle telefonate tra i soldati russi e le loro madri: un campionario che spazia dall’amor materno afflitto e senza speranza per il figlio mandato al macello alla solidarietà militante con la tortura esercitata dai figli sui prigionieri. Se e quando si è presi dai pensieri sul ruolo di causa lontana svolto dall’Occidente nell’aggressione all’Ucraina si dovrebbe avere la pazienza di ripassare mentalmente tutti gli atti di offesa volontaria che l’esercito russo ha inferto a un popolo più che fratello.
Tutti i ragionamenti che sostengono la necessità primaria di arrivare al cessate il fuoco e all’apertura di un negoziato devono misurarsi con la volontà di Putin di negarsi al confronto. Viene così scolpita una frase realistica: la Russia di Putin non può essere umiliata. Che cosa può significare? Si dovrà concedergli una qualche porzione di suo gradimento del territorio ucraino? E come si potrà combinare questa facoltà con la volontà del paese offeso di mantenere la sua integrità territoriale? Ma c’è un banco di prova ancora più inevitabile. Chi paga i danni di guerra? La vastità delle distruzioni inflitte all’Ucraina, l’incalcolabile peso delle vite umane cancellate e delle invalidità inflitte, i danni ambientali imposti al territorio, la carestia addossata alle popolazioni dei paesi poveri in attesa delle granaglie ucraine. Chi pagherà tutto questo?