Pancho Pardi: commento all'articolo "Fermare l'inutile strage: adesso"

di Pancho Pardi - 03/12/2022
A scanso di equivoci: non sono per la continuazione della guerra. Anche io vorrei la pace ma non con il disarmo dell’aggredito mentre l’aggressore resta armato

Ho appena letto su Liberacittadinanza in un articolo di Domenico Gallo, amico e compagno di tante lotte costituzionali, questa frase: “Le Cancellerie, appoggiate irresponsabilmente dai Parlamenti, inviano messaggi di ostilità confinando per sempre la Federazione russa nel ruolo del nemico”. Mi sono chiesto se rispondere o no. Mi ha prima trattenuto il timore di aprire una polemica con una persona cui sono legato da un vincolo almeno ventennale. Poi ho pensato che non intervenire poteva apparire consenso implicito a un’opinione che invece considero assai insidiosa. Perciò, controvoglia, mi sento spinto a qualche osservazione critica.

Se la Federazione russa non voleva essere confinata nel ruolo del nemico bastava che non invadesse l’Ucraina. E in particolare, nelle ultime settimane, poteva evitare di mettere a ferro e fuoco tutte le infrastrutture civili ucraine per spingere alla disperazione il popolo che ha voluto aggredire. Se la Russia appare nemica è solo perché lo è e lo ha voluto. E’ davvero stupefacente che la responsabilità della temuta escalation venga attribuita all’aggredito e non all’invasore, apertamente impegnato nella continuità dell’aggressione con i mezzi più efferati. E, ammettiamolo, anche vigliacchi: i suoi soldati non vogliono combattere e sono sostituiti dai missili che non fanno obiezioni.

Attribuire all’Occidente la marchiatura della Russia come nemico significa annullare la sua responsabilità nell’invasione. E quindi significa ritenere che questa avesse fondate giustificazioni. Ma queste non esistono. La pretesa della Russia ad avere una corona di altri stati cuscinetto (oltre Bielorussia, Cecenia, Georgia ecc.) su cui esercitare il proprio dominio è priva di fondamento. Questo poteva sussistere quando c’era l’URSS. E già allora era assai discutibile e discutibili erano i mezzi con cui veniva assicurato, come in Ungheria nel ‘56 e Cecoslovacchia nel ’68. Ma allora la divisione del mondo in zone d’influenza era la regola immodificabile.

Fu modificata dal crollo dell’URSS. Crollo del tutto endogeno, per cause proprie e senza interventi ostili dell’Occidente; questi se vi furono erano limitati all’influenza sulla cattolica società polacca esercitata da Papa Voityla, sicuro promotore ma certo non causa definitiva del crollo dei paesi socialisti. E’ stato il crollo dell’URSS a sanzionare la crisi del primato della Russia. Se oggi la Russia non ha più la potenza dell’URSS deve solo guardare dentro di sé. Deve rendersi conto che gli stati satelliti sul suo confine occidentale non vedevano l’ora di liberarsi dal suo giogo e che semmai preferivano il giogo europeo, cosa che hanno dimostrato appena hanno potuto. Perfino Orban, l’amico di Putin, preferisce fare il Gianburrasca in Europa piuttosto che il Lukashenko d’Ungheria. Quei satelliti perduti la Russia non li avrà mai più. E dovrebbe ringraziare il cielo che la Bielorussia non sia riuscita a conquistare l’indipendenza. Invece ormai da venti anni non fa che condurre guerre di intensità maggiore o minore nei confronti degli stati vicini: Cecenia, Georgia, Kazachistan, Ucraina prima con l’annessione della Crimea e poi con l’invasione ora in atto. Non sto a ricordare la tecnica della distruzione totale adottata in Cecenia su Grozny, e poi ripetuta per allenamento in Siria. Dagli anni di Eltsin la Russia non è più la patria del socialismo, cui a fatica si poteva guardare con scettica simpatia, a patto di dimenticare i crimini del socialismo reale (reale per distinguerlo da quello ideale che ci piacerebbe). La Russia è ormai l’Impero Asiatico, cupo amalgama dei caratteri peggiori del socialismo fallito e del capitalismo gangsteristico (e un pizzico di teocrazia con il patriarca Kirill), sottoposto a un zar che regna ininterrottamente da ventidue anni, quattro più di Breznev.

Con un potere così impermeabile alle ragioni degli altri è assai arduo anche soltanto immaginare un negoziato. Se pretende che questo si apra solo se le sue vittime accettano il fatto compiuto con l’annessione dei territori; se riafferma che è pronto a spianare tutta la fascia orientale del paese aggredito, se non addirittura minacciare di spingersi fino al confine polacco, quale credito si può dare alla possibilità di stabilire un contatto qualsiasi? Putin vuole la resa. Si può discutere con chi pensa di cancellarti? E se la soluzione che in nome della pace viene considerata di fatto l’unica possibile è la rinuncia dell’Ucraina ai territori perduti e dichiarati russi dall’invasore, allora resterebbero all’Ucraina solo le rovine subite. Si può fare un negoziato su questa base? Con l’aggressore che si tiene tutto e l’aggredito meno che niente? Allora, in nome della pace, era meglio se l’Ucraina si arrendeva il primo giorno. Il mondo sarebbe stato contento: ci sarebbe stato petrolio e gas per tutti a basso costo, affari per tutti con l’opaco capitalismo russo, non ci sarebbe stata la minaccia nucleare. Un roseo futuro si sarebbe delineato con il solo sacrificio dell’Ucraina che per il bene comune avrebbe piegato il collo sotto il tallone di Putin. Resta aperto un interrogativo: visto il risultato lo zar si sarebbe fermato lì?

A scanso di equivoci: non sono per la continuazione della guerra. Anche io vorrei la pace ma non con il disarmo dell’aggredito mentre l’aggressore resta armato. Solo la tenuta più efficace dell’autodifesa ucraina può costringere Putin al negoziato. Dell’Ucraina non armata a sufficienza Putin farebbe il più tetro dei paesi satelliti. E la memoria della grande carestia degli anni ’30 si rinnoverebbe in una nuova carestia: di indipendenza e libertà.

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