Ho sentito parlare Marco Piagentini in un incontro pubblico a Pistoia circa due anni fa. Vedevo quest'uomo, che su tutto il volto portava le tracce incancellabili del fuoco, raccontare la vicenda che gli aveva sottratto la moglie e due figli, tre delle trentadue vittime del disastro ferroviario di Viareggio, e gli aveva sconvolto per sempre la vita.
Parlava con ammirevole calma, illustrava con sobria efficacia la complessità della causa intentata dai parenti delle vittime. Non ha mai concesso neanche una parola alla retorica. Ma il suo tono di voce, la serietà delle sue espressioni lasciavano capire alla perfezione la profondità dei suoi sentimenti.
Sono stato costretto a ricordare quel momento (come tutti gli altri presenti, ero partecipe di un dolore umano a me del tutto sconosciuto) quando oggi ho dovuto ascoltare i telegiornali e leggere i quotidiani che davano notizia della sentenza in Cassazione. Ho capito solo allora perché i parenti, col motivo del Covid, non sono stati ammessi in aula. Perché di fronte a loro quella sentenza era impronunciabile.
A distanza di più di un decennio lo Stato non ha avuto la capacità di rendere giustizia alle vittime e ai loro congiunti. Qualsiasi sottigliezza giuridica non potrà mai cancellare questa giustizia negata. E la prescrizione continua a fare danni. Trentadue cittadini, bambini, adolescenti, adulti, maschi e femmine, arsi vivi di notte per cento colpevoli incurie nella gestione del trasporto ferroviario e si ha il coraggio di ammettere che non cI sono responsabili? Che l'omicidio colposo è prescritto? Che è caduta l'aggravante dell'incidente sul lavoro? E che cos'era, di grazia, se non lavoro: vacanza?
Abbiamo difeso allo spasimo la magistratura dagli attacchi irresponsabili di Berlusconi. Quindi non ci viene facile criticare la Cassazione. Ma è anche purtroppo vero che in Italia siamo abituati alla giustizia negata. Al contrario delle stragi di Stato, nella strage di Viareggio è del tutto assente l'aspetto politico e viene quindi meno l'esigenza di quel gelido silenzio dello Stato che, pur del tutto ingiustificato, risulta comprensibile in vicende in cui lo Stato stesso ha avuto ruolo da protagonista o da complice.
Quella di Viareggio è sì una strage pubblica (con quei numeri non potrebbe non esserlo) ma è una strage, per così dire, privata, nel senso più intimo del termine. Ognuna di quelle vittime da sola di fronte alla morte improvvisa e perfettamente evitabile, ognuno dei congiunti colpito nell'affetto familiare. È proprio davanti a questa solitudine che lo Stato aveva il dovere di esprimere la giustizia più solenne.
Ecco, oggi sappiamo che vi ha rinunciato. La solitudine delle vittime sarà circondata dall'affetto dei cittadini. Ma lo Stato dovrà fronteggiare d'ora in poi la sfiducia di tutti coloro che si aspettavano un atto di giustizia.