La bassissima partecipazione al voto (34% circa) e la rinuncia da parte di circa il 66% degli aventi diritto hanno indotto molti commentatori a considerare la massa dei non votanti come un popolo, un tutto unico. Su questo fondamento si sono sentiti appelli a costituire il partito dei non votanti, come inizio di ribellione verso la minoranza che ha sequestrato a proprio vantaggio la rappresentanza politica. Si può arrivare a capire la disperazione che genera queste fantasie ma è difficile accettarne la validità.
La massa dei non votanti è enorme ma le ragioni che l’hanno prodotta sono tutt’altro che omogenee. La massa dei votanti è più larga della platea necessaria per un sondaggio d’opinione: se ne può quindi trarre la conclusione che se il restante 66% degli aventi diritto avesse votato grosso modo il risultato sarebbe stato simile. Per noi che abbiamo perso è sconsolante ma è molto più costruttivo considerare la cosa con realismo piuttosto che fondare la ricostruzione totale della nostra politica sulla base del sogno di un’enorme maggioranza che aspetta solo un nuovo partito risolutivo.
Questa maggioranza omogenea non esiste e non può esistere, e del nuovo partito non si vede nemmeno la prima cellula generatrice. Il motivo è elementare: i grandi corpi sociali non esistono più. Le classi sono state scomposte e rimescolate da un’economia che si fonda sulla conflittualità interna al mercato del lavoro, dove ogni soggetto è costretto a stare in competizione con i propri simili. In queste condizioni la protezione sindacale è difficilissima e la rappresentanza politica poco meno.
La frantumazione del centrosinistra ne è a suo modo specchio fedele: nemmeno sulla base della propria legge elettorale ha saputo schierare unite le proprie componenti mentre il centrodestra utilizzava la legge degli avversari con la massima disinvoltura. E’ davvero curiosa l’autodifesa degli sconfitti: nemmeno l’unità avrebbe scongiurato la sconfitta. E quindi? Con una sorprendente giravolta ci viene detto che, al prossimo turno, invece che alla somma delle parti la vittoria sarà affidata alla vocazione maggioritaria di ognuna di loro. Quindi anche la prossima volta la coalizione sarà impossibile? Auguri.
Chi ha voglia di far qualcosa è in grave imbarazzo. L’unione degli interessi sociali spezzettati appare lontanissima. Ma i tempi della politica sono molto più impellenti. Cinque anni sono troppo brevi per la costruzione di un nuovo blocco sociale. Ci si può sperare ma è difficile crederci. Ma non si può arrivare alle prossime elezioni senza un nuovo blocco elettorale. Quindi l’inventiva politica deve ingannare e superare l’ostilità reciproca degli interessi. La costruzione di una vera nuova sinistra è auspicabile ma non risolve il problema. Del resto è almeno dal Social Forum del 2002 che se ne parla e i tentativi sono tutti naufragati in prospettive marginali e minoritarie. L’imperativo categorico è costruire una coalizione ma lo si può fare solo se i protagonisti attuali, responsabili della sconfitta recente, saranno sostituiti da forze giovani, magari inesperte ma non segnate dai vizi d’origine. Gli interessi sociali saranno ancora separati e in conflitto ma va messa alla prova la capacità politica di stimolare le menti invece dei portafogli.