Era domenica pomeriggio, quando un caro amico mi ha inviato quattro video attraverso WhatsApp. Quattro piccole finestre da scaricare e guardare. Non c’era un commento, non un preavviso sull’argomento. Stavo camminando, mi sono fermato, ho premuto per la prima volta il tasto “play”. Poi l’ho fatto altre tre volte. Sempre con maggiore difficoltà. Impietrito. Perché non riesco ancora ad abituarmi all’orrore. Erano immagini di Melilla, città autonoma spagnola sulla costa orientale del Marocco. Una enclave iberica in territorio nordafricano. A dividere le due nazioni, una barriera: da una parte c’è l’Africa, dall’altra l’Europa. Da una parte, un continente mantenuto in povertà da una storia e da un presente di saccheggi internazionali, dall’altra un continente che il bottino di quei saccheggi lo custodisce gelosamente.
Da una parte, migliaia di persone che sono costrette a scappare per cercare una alternativa di vita per loro e per le loro famiglie, dall’altra una comunità di Stati che si è man mano trasformata in una fortezza inespugnabile, egoista e crudele, affidata a chi, per interessi di vario tipo, costruisce muri di violenta indifferenza e proficuo sfruttamento. Le immagini che giungono da Melilla, diffuse da alcune ong, sono il ritratto del fallimento della storia e della memoria europea. Immagini che ci riportano a luoghi del passato che abbiamo dimenticato. Corpi di migranti ammassati, cadaveri e sopravvissuti mischiati in un carnaio di dolore e sogni infranti, sui quali la miserabile polizia marocchina, armata dall’ipocrisia spagnola, scarica una spietatezza che, nei tempi moderni del ritorno al non diritto, abbiamo purtroppo imparato a conoscere e riconoscere. Una spietatezza tale da risultare ferocemente banale, ripetitiva.
Cambiano le lingue, il disegno delle divise, i luoghi, ma è sempre la stessa storia. Dalla Bosnia alla Croazia, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Grecia al Marocco. Le frontiere d’Europa hanno linee di confine dipinte con il sangue degli innocenti. Perché, malgrado l’orripilante narrazione della volgare politica sovranista e di una parte della stampa di sistema, che accusa i migranti di aver provato a forzare la frontiera, i morti e i feriti di Melilla sono essenzialmente degli innocenti. Sono esseri umani sfiancati, devastati da angherie, soprusi, torture, da violenze sadiche subite sulla propria pelle. Violenze di ogni sorta, quelle di cui puoi mostrare i segni e quelle che invece i segni te li lasciano dentro, più o meno invisibili. Violenze di Stato, che arrivano con i manganelli o i proiettili o le barriere chiuse ermeticamente in faccia ai diritti di esseri umani trasformati in ultimi della storia, oppure con la ottusa bestialità della burocrazia.
I corpi ammassati di Melilla, la ferocia della polizia che continuava a rimpinguare quell’ammasso, con le bastonate, i pugni e tutto l’orrore di cui una divisa può essere capace. I corpi ammassati di Melilla fanno male, come fanno male i bambini al freddo nei Balcani o quelli rinchiusi nelle prigioni legalizzate di un’isola greca. Ma mentre guardavo quei video, una maledetta domanda saliva in mezzo al dolore che infiammava il petto: in quanti ancora sentiamo quel dolore? In quanti ancora non ci abituiamo all’orrore? Tra la gente ci sono tanti esempi di persone che ogni giorno mostrano umanità e si impegnano per difenderla, ma in politica e tra chi racconta i fatti quanta indignazione resiste alla macchia allargata dell’assuefazione? Sui media possiamo rispondere leggendo quel che viene scritto, ben sapendo ormai quali sono i nomi e le testate che ancora meritano di essere definiti esempi di giornalismo.
Sulla politica il quadro è ancor più tetro. E non ci si riferisce soltanto ai soliti noti, a quei volgari personaggi che davanti a quelle immagini si permettono di parlare di invasione e rovesciare il racconto, tacendo sulla violenza inaudita perpetrata addosso a persone che non hanno commesso alcun reato, se non quello di essere stanche di essere trattate come bestie, di vedere le proprie vite regolate da chi ci lucra sopra rinchiudendole in rigidi imbuti, aperti o chiusi a seconda delle convenienze. Ci si riferisce anche e soprattutto a chi, per cultura e formazione, dovrebbe condannare tale violenza e fare qualcosa per fermarla e per tutelare chi ne è vittima. E invece fa esattamente l’opposto. Come ad esempio ha fatto il presidente del consiglio spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, che da quelle immagini ha saputo trarre solo un messaggio di complimenti indirizzato al Marocco per la grande cooperazione nel respingere i tentativi dei migranti di entrare in territorio di Spagna.
Davanti ai morti, ai feriti lasciati agonizzare per ore, fino al loro decesso, ai calci addosso a chi era già in terra, inerme, alle persone private di aiuto e soccorso, il presidente spagnolo riesce ad esprimere un solo pensiero: celebrare in qualche modo gli accordi tra Spagna e Marocco. Accordi per arrestare il cammino di esseri umani in fuga. Così come ha fatto Draghi, in Libia, quando si complimentò con la guardia costiera del paese nordafricano, farcita di trafficanti di esseri umani e in combutta con gli aguzzini di migliaia di migranti. Questa è l’Europa, ipocrita nel suo profondo, vigliacca, smemorata, impudicamente protagonista di un genocidio dalle dimensioni non ancora del tutto conosciute. La stessa Europa che poi accoglie a braccia aperte i profughi ucraini e si indigna per la guerra russa, organizzando corridoi umanitari, accoglienza, marce di pace, preghiere. Un’Europa debole e falsa, destinata, presto o tardi, a implodere o a essere travolta da chi, a un certo punto della linea della storia, non sarà più disposto a fare da bersaglio di un gioco politico sadico, sanguinario, spietatamente ingiusto.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org